Ma… chi ho invitato a cena? Pensavo fosse una donna, alquanto disinibita – perciò, fugacemente bella. Invece.
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Rewind. Esattamente due mesi fa il Saggiatore mi invia un libro stuzzicante fin dal titolo (Pornage. Viaggio nei segreti e nelle ossessioni del sesso contemporaneo), sapendo chi sono, un sessomane mentale, un poeta della masturbazione onirica (non si spiega, altrimenti, perché non mi abbiano inviato i libri di Vittorio Sereni e di Franco Fortini). Chiedo di intervistare l’autrice. Prima mi dicono, “lei stessa ci teneva che tu lo avessi”, riferendosi al libro (il che lusinga il mio ego alla John Holmes), poi fanno, va bene, ma “se ti va bene” che l’intervista sia “scritta”. Ci sto, ovviamente.
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L’intervista la pubblico su Pangea il 30 giugno scorso, con un titolo di cui mi faccio vanto (“I tabù li ho salutati da un pezzo, non giudico neanche chi fa sesso con il suo motorino…”) scrivendone, perché è ben scritto, come del “romanzo dell’epopea porno”. Insomma, dall’intervista si passa allo scambio di mail, a mail segue mail, da cosa nasce cosa e, insomma, chiedo a Barbara di scrivere per Pangea. Prima facciamo un’altra intervista – rigorosamente scritta – pubblicata il primo agosto scorso, con sottotitolo che manda in furia i lettori virili di Pangea (“…le trans sono una vera calamita, non c’è uomo che non le desideri”), poi Barbara si produce in una lettura viziosa – ma filologicamente esatta – di Lolita, affermando (titolo di cui vado virilmente orgoglioso, che “Lolita non è una ninfetta vergine, ma una ragazzina sessualmente assassina, che usa Humbert a suo piacimento”. L’articolo piace, pare, perché lo cita Paolo Di Paolo – in verità, cita il titolo – su la Repubblica, oggi, 20 agosto (“…sul sito Pangea ha di recente riletto Lolita di Nabokov…”), in merito a una questione spinosa che si rifà al mio interrogativo ‘genetico’: ma… chi ho invitato a cena?
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Secondo Natalia Aspesi, giornalista di fama che ha scritto brutti libri, infatti, Barbara Costa non esiste. La Aspesi, scrivendo di Pornage su ‘Robinson’, inserto culturale de la Repubblica, il 19 agosto scorso, ieri, giunge a questa sconcertante conclusione. “Sospetto che Pornage l’abbia scritto un uomo non più giovane e appassionato fruitore quotidiano di porno, o meglio ancora un gruppo di bontemponi che se la sono spassata investigando e cliccando”. Dopo aver gettato la pietra, però, la Aspesi ritira la mano, distilla una manciata di spine sui coglioni dei guardoni, “Chi si nasconda dietro il marchio di Barbara Costa è privo di interesse, quindi non si scaverà nel mondo editoriale per conoscerne l’identità. Si eviterà ovviamente di chiamarla l’Elena Ferrante del porno”. Dunque, secondo la Aspesi io avrei invitato a cena “un uomo non più giovane”, anzi, “un gruppo di bontemponi”, o meglio, “un marchio”. A questo punto, mi tocco le palle foderandomi l’inguine con la cintura di castità, di castrità.
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