Fake news: a meno che non le crei, sei la vittima

Con i social i gradi di separazione tra le persone sono scesi da sei a cinque. Aggiungendo la raccolta dati, la viralità e i costi ridotti del mezzo, sono diventati una svolta per la propaganda. Per questo dovremmo essere consapevoli che le fake news non sono mai casuali, ma sempre studiate

Certo il nome rimanda a qualche film o a qualche racconto complottistico, ma l’esistenza e la natura delle psyopsè tutt’altro che un mistero, tant’è che, tanto per fare un esempio, la pubblicazione NATO contenete la dottrina sulle psyopsè tranquillamente scaricabile in rete.

Le psyops sono formalmente una branca delle Information Warfare, ossia di quel ramo delle operazioni militari che ha a che fare con l’acquisizione e l’uso delle informazioni da un lato e con la manipolazione delle informazioni in uscita dall’altro.

Sempre secondo la dottrina NATO, i principali scopi delle psyops sono indebolire la volontà dell’avversario o dell’opinione pubblica potenzialmente avversa; rafforzare l’impegno dell’opinione pubblica amica; ottenere il supporto e la collaborazione di una opinione pubblica non allineata o indeciso. Va da sé che, pur sostanzialmente simili nello scopo, dottrine di altri Stati come Cina o Russia differiscono sensibilmente da quella occidentale, soprattutto nei mezzi utilizzati e nei soggetti coinvolti.

Che le campagne militari non siano una questione limitata alla mera contrapposizione di truppe è cosa nota da sempre: già Sun Tzu aveva scritto né “L’Arte della guerra”che “…il massimo dell’abilità consiste nel piegare la resistenza del nemico senza combattere”. Ciò è diventato nel tempo tanto più vero quanto più, per portare avanti una campagna militare, si è dimostrato necessario il supporto della popolazione.

L’uso delle psyops, pur se ancora denominate diversamente, è stata pressoché sempre fatto; ciò che nel tempo è cambiato è essenzialmente il modo, ossia il veicolo principale della diffusione dei messaggi e ciò, ovviamente, principalmente a causa dell’evoluzione della tecnologia a disposizione.

Fino a qualche anno fa per descrivere il concetto era molto usato il temine “propaganda”, arte in cui i nazisti furono i primi ad intuire le potenzialità del mezzo cinematografico nella diffusione dei messaggi di Stato. Si pensi ad esempio a Leni Riefenstahl che, con opere come “Il trionfo della volontà” o“Olympia”, segnò un nuovo livello di superamento del linguaggio scritto della carta stampata o visivo dei manifesti attraverso l’utilizzo del cinema.

L’uso del cinema ha tuttavia evidenziato col passare del tempo un problema: per quanto possa essere diffuso, un progetto cinematografico ha tempi di produzione lunghi e costi elevati. Ciò lo ha reso un mezzo con dei limiti strutturali via via sempre più avvertiti, soprattutto in un’epoca, come quella attuale, in cui i master message hanno valenza pressoché quotidiana e occorre una estrema flessibilità e velocità nel veicolare i messaggi.

Il primo superamento è avvenuto con la diffusione di internet: la moltiplicazione dei soggetti in grado di comunicare diffusamente.

L’uso delle psyops, pur se ancora denominate diversamente, è stata pressoché sempre fatto; ciò che nel tempo è cambiato è essenzialmente il modo, ossia il veicolo principale della diffusione dei messaggi e ciò, ovviamente, principalmente a causa dell’evoluzione della tecnologia a disposizione

Precedentemente, la diffusione dei contenuti, rimaneva appannaggio di pochi soggetti tecnicamente attrezzati. L’espansione della rete e la nascita dei blog, allargano invece notevolmente i soggetti in grado di diffondere idee, notizie, fondamentalmente ogni tipo di contenuto.

Tuttavia, anche con internet, la diffusione delle informazioni e dei messaggi rimaneva sostanzialmente “punto-punto”: ogni sorgente doveva diffondere i propri messaggi, utente per utente, con un effetto tutto sommato limitato, come una sorta di visus a diffusione per contatto diretto in cui ancora pochi soggetti, dotati di un numero di contatti elevato, potevano permettersi una conoscibilità diffusa.

La svolta reale arriva con la diffusione dei social network e della funzione di rilancio dei link, con cui la diffusione si trasforma da “a contatto diretto” in “aerea”.

Il tutto si basa originariamente sulla teoria dei sei gradi di separazione: chiunque al mondo è collegabile con chiunque altro con una catena di conoscenze di appena sei livelli. Tutto ciò, in combinato all’elevato numero di persone coinvolte come utenti, comporta che, potenzialmente, chiunque possa far arrivare il proprio messaggio a chiunque altro sul pianeta, semplicemente attraverso il rilancio da parte della propria cerchia di conoscenze. Il tutto con una differenza significativa: grazie ai social, i gradi di separazione non sono più sei.

Prendendo ad esempio in considerazione gli studi sugli algoritmi di Facebook, effettuati in collaborazione con i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, il 99,6 per cento delle coppie di utenti risultano separate da cinque gradi (sei passaggi), mentre il 92 per cento è separato da solo quattro gradi (cinque passaggi): i social hanno in pratica ridotto notevolmente le distanze fra gli utenti. Riduzione ancora maggiore se si prendono in esame coppie a base omogenea (stessa nazione, stessa età o stesso interesse di base, che sia politico, tematico o di intrattenimento). In pratica la diffusione dei contenuti in ambienti più o meno omogenei, risulta pressoché istantanea.

Vanno poi aggiunti due ulteriori fattori di rilievo: l’avvento dei social ha, per la prima volta nella storia, consentito una raccolta massiva di dati personali degli utenti, tale da permettere una perfetta targetizzazione dei contenuti. In pratica notizie attagliate in modo sartoriale sulle predisposizioni di ciascun soggetto ricettore.

Secondo, ma non meno importante, l’efficacia di un contenuto non dipende tanto dall’autorevolezza della fonte, quanto dalla viralità dello stesso, con l’effetto paradossale che un contenuto diventa attendibile semplicemente per essere stato visualizzato e rilanciato un numero elevato di volte, prescindendo completamente dalla propria veridicità. Ossia, detto banalmente, una notizia diventa verosimile tanto in quanto piace agli utenti l’idea che sia vera.

Vantaggio della cosa? Costi estremante contenuti, alla portata di chiunque, affiancati da una efficacia che, se gestito bene lo strumento, è oggettivamente di alto livello, potenzialmente fino ad influenzare concretamente una opinione pubblica, influendo sul il risultato di elezioni e consultazioni popolari.

Tuttavia, anche con internet, la diffusione delle informazioni e dei messaggi rimaneva sostanzialmente “punto-punto”: ogni sorgente doveva diffondere i propri messaggi, utente per utente, con un effetto tutto sommato limitato: La svolta reale arriva con la diffusione dei social network e della funzione di rilancio dei link

Che la cosa preoccupi effettivamente i Governi occidentali è evidente: basti pensare alla vicenda Cambridge Analytica, all’inchiesta portata avanti dall’ F.B.I. sulle presunte influenze russe nell’elezione di Trump o, per restare in aria di casa nostra, alla recente vicenda degli account fasulli, creati per attaccare la figura del Presidente Mattarella durante le consultazioni per la formazione dell’attuale Governo.

In pratica, ad un costo infinitesimale rispetto a quello di un sistema d’arma moderno, si può influenzare la politica di uno Stato terzo, senza colpo ferire.

Fin qui la cosa ha funzionato su due basi. Primo: gran parte degli utenti semplicemente non è in grado di capire se una notizia trovata in rete sia o meno vera. A questi si aggiunge una parte di utenza che, anche se teoricamente in possesso delle capacità di verificare eventuali fake news, accetta per vera una presunta notizia, semplicemente perché conforme al proprio modo di pensare. Banalmente, il politico X non mi piace? La notizia che lo vede coinvolto in questo o in quello scandalo è sicuramente vera e la rilancio ai miei contatti.

Secondo, l’introduzione per approssimazioni successive, nel dibattito pubblico di tesi sempre più radicali. Ciò ha permesso ad idee precedentemente considerate impresentabili dall’opinione pubblica, di entrare nella discussione, inizialmente come radicali, quindi, affiancate da altre ancora più radicali, come sempre più moderate e addirittura in certi casi ragionevoli e maggioritarie. Il tutto con delle tempistiche necessarie ad ottenere l’effetto voluto sempre più breve, passato via via dall’ essere misurato in anni ad esserlo in mesi o settimane.

Quale invece lo svantaggio? Principalmente il fatto che il tutto funziona solamente grazie all’utilizzo, come veicolo indispensabile per la diffusione virale dei messaggi, di social network, Facebook, Twitter e Instagram primi fra tutti, che continuano a detenere la proprietà degli account creati e che, potenzialmente, possono a loro piacimento bloccare determinati profili o contenuti. Questo aspetto in particolare, fin qui relativamente poco significativo, si avvia ad essere centrale a causa delle azioni intraprese dalle piattaforme per autoregolamentarsi.

Le attività sui social rientrano pienamente nella categoria psyops? Nel metodo, negli obiettivi perseguiti e negli soggetti messi a bersaglio si direbbe di sì. Tuttavia, per definirle tali da un punto di vista dottrinale, manca ancora la prova del diretto coinvolgimento di uno Stato come esecutore delle attività. Prova che difficilmente si manifesterà in tempi brevi, al netto di indagini attualmente in corso, proprio in virtù della estrema flessibilità dello strumento informatico: il fatto che i server da cui un determinato “attacco” parte siano su suolo russo o cinese non è sufficiente per investire della responsabilità dell’attacco lo Stato ospite.

Tutto questo per dire cosa? Una banalità forse, a cui tuttavia si fa sempre troppo poco caso: quando ci imbattiamo in post virali che creano sdegno, in notizie evidentemente false con miglia e migliaia di condivisioni, o ancora al centro di un improvviso bombardamento di un master message da parte di migliaia di account appena nati, non siamo di fronte a reazioni casuali, a post fatti tanto per o all’innocua voglia ditrollare da parte di qualche giovane smanettone

Cosa c’è da aspettarsi per il futuro? Difficile dirlo. Certamente le dinamiche dei social non sono più una sorpresa e gli Stati tecnicamente evoluti stanno prendendo le loro precauzioni. In quest’ottica vanno inquadrati i tentativi europei e statunitense di una sempre più stringente normativa in materia di utilizzo dei dati personali, della proprietà intellettuale e dello strumento informatico più in generale.

Anche le piattaforme social diffuse in occidente, molte delle quali parte integrante della galassia Facebook, stanno restringendo le maglie dei propri controlli interni, riducendo progressivamente la possibilità di essere passivamente utilizzati come mezzo di diffusione di notizie e account fake, proprio per diminuire i possibili contrasti con i Governi e le ricadute finanziarie che ne deriverebbero.

Va però tenuto presente che una parte significativa delle utenze nel mondo dei social fa riferimento a piattaforme, ad esempio VKONTAKTE in Russia e WeChat in Cina, che pur del tutto sconosciute in occidente, sono praticamente leader di settore per le popolazioni di riferimento.

In ogni caso, nell’eventualità in cui gli attuali social network diventino meno ospitali come mezzo di diffusione dei messaggi, probabilmente occorrerà identificarne altri. Chissà che non valga la pena tenere d’occhio l’evoluzione delle applicazioni legate nel prossimo futuro all’I.o.T(Internet of Things) e alla blockchain, mondi dalle potenzialità enormi di cui stiamo assistendo appena alle fasi iniziali di sviluppo.

Tutto questo per dire cosa? Una banalità forse, a cui tuttavia si fa sempre troppo poco caso: quando ci imbattiamo in post virali che creano sdegno, in notizie evidentemente false con miglia e migliaia di condivisioni, o ancora al centro di un improvviso bombardamento di un master message da parte di migliaia di account appena nati, non siamo di fronte a reazioni casuali, a post fatti tanto per o all’innocua voglia ditrollare da parte di qualche giovane smanettone.

Statisticamente è molto più probabile ci si trovi in mezzo alla attività ben studiata da qualcuno per ottenere un obiettivo predeterminato, sia esso a breve o lungo termine. Ossia ci si trova di fronte all’equivalente, in ambito informazioni, di un dislocamento di truppe. Prescindendo dal fatto che l’origine sia uno Stato estero, un gruppo politico o di interesse economico, rimane quindi una cosa di una certa serietà, e che andrebbe di conseguenza trattata con altrettanta serietà. Vale a livello superiore (uno Stato, un gruppo politico o di altro interesse che non ne tenga adeguatamente conto, parte con uno svantaggio iniziale difficilmente colmabile) come per i singoli: ogni volta che rilanciamo una notizia senza accertarci se sia vera o falsa non commettiamo semplicemente una leggerezza, contribuiamo ad un fenomeno che si regge proprio su questo. Si potrebbe dire che, parlando di fake news, se non fai parte della soluzione, fai parte del problema.

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