Il crollo del ponte Morandi? Era stato previsto in una poesia di Gianni Rodari

La poesia di Rodari che parla di ”un ponte crollato”, del cemento armato, e di un ladro diventato ricco, è stata molto diffusa sui social subito dopo il crollo del ponte Morandi. Una precisa, e tragica, prefigurazione del futuro

La pratica di trovare profezie nelle opere d’arte è antichissima. È stato fatto con l’Eneide di Virgilio: i “centoni virgiliani” sono stati fino al Medioevo un diffusissimo mezzo di divinazione. La stessa Commedia di Dante è stata usata per trarre auspici di varia natura. E anche altre opere sono state usate a questo scopo. Nel 1756 Giacomo Casanova riuscì ad evadere dalla prigione insepugnabile di Venezia, i Piombi, grazie ad un passo dell’Orlando Furioso di Ariosto, che gli indicò la data precisa: “tra il fine d’ottobre e il capo di novembre”. Proprio la notte del 31 ottobre Casanova riuscì a scappare dalla prigione.

Singolare che nei giorni immediatamente successivi alla sciagura del ponte Morandi a Genova si sia diffuso, nel tam tam di whatsapp e sui social, questa poesia di Gianni Rodari (1920-1980), scritta nel 1962 (il ponte Morandi sarebbe stato inaugurato cinque anni dopo). Rodari, scrittore e poeta attento all’infanzia, è stato anche tra i principali teorici dell’arte dell’invenzione narrativa con “Grammatica della fantasia” (1973). E in effetti, letta oggi, la sua poesia risulta una triste premonizione.

C’è chi dà la colpa
alle piene di primavera,
al peso di un grassone
che viaggiava in autocorriera:
io non mi meraviglio
che il ponte sia crollato,
perché l’avevano fatto
di cemento ‘amato’.
Invece doveva essere
“armato”, s’intende,
ma la erre c’è sempre
qualcuno che se la prende.
Il cemento senza erre
(oppure con l’erre moscia)
fa il pilone deboluccio
e l’arcata troppo floscia.
In conclusione, il ponte
è colato a picco,
e il ladro di ‘erre’
è diventato ricco:
passeggia per la città,
va al mare d’estate,
e in tasca gli tintinnano
le ‘erre’ rubate.