«La tragedia delle Gole del Raganello poteva essere evitata», attacca un articolo, «Se avessero guardato le previsioni del tempo si sarebbero salvati», puntualizza un esperto, e un altro aggiunge: «è stato un evento eccezionale, ma prevedibile». Niente da fare, ci sembra quasi un riflesso istintivo ormai, anche di fronte alla forza della natura, dover cercare sempre di dimostrare che potevamo avere sotto controllo le cose, che tutto si può evitare, controllare, dominare, persino la natura.
Dobbiamo mettercelo in testa prima o poi: ogni tanto, soprattutto quando in ballo non ci sono ponti che abbiamo costruito noi, ma gole scavate dall’acqua in millenni, dobbiamo riuscire a fare i conti con la realtà e accettare che spesso non è così. Perché la natura non è al nostro servizio e anche se il nostro sproporzionato potere tecnologico e una certa arroganza positivista ce lo può far pensare, non siamo noi i padroni del capo da gioco e le regole non le dettiamo noi.
Il nostro senso di superiorità rispetto alla Natura e di onnipotenza di fronte alle sue regole non è in realtà un fenomeno così recente. Anzi. Dalla brutta fine di Prometeo, condannato ad essere il pasto quotidiano di un aquila per aver creduto di potersi sostituire agli dei — che altri chiamano la Natura — donando il fuoco all’Umanità, fino al quel povero illuso dell’islandese che nelle Operette Morali di Leopardi finisce, ahilui, mummificato di fronte alla Natura in persona dopo che per tutta la vita l’aveva fuggita, il nostro immaginario è ricco di moniti su quanto sia illusoria la nostra sensazione di onnipotenza.
Evidentemente siamo duri di comprendonio. Perché mai? La risposta è bifida. La prima è una spiegazione, che vale da tanto tempo e che ultimamente potremmo definire come “sindrome di Elon Musk”, è la convinzione ossessiva da parte degli uomini — quasi tutti, mica solo il miliardario sudafricano — di potersi elevare al di sopra delle regole della natura grazie alla tecnologia. E questo succede da sempre, quantomeno da Prometeo in poi, ovvero dalla conquista del fuoco.
La seconda è una spiegazione più interessante e vicina a noi. È quella, tutta novecentesca, che c’entra l’impero pop creato da Walt Disney, «l’ultimo dei figli bastardi del romanticismo», come lo definisce spesso Werner Herzog, che del rapporto conflittuale tra Uomo e Natura ha sempre fatto una delle sue leve creative in quasi tutti i suoi lavori.
Sì,sì, proprio quel Walt Disney lì. Quello che rubando e violentando la lezione delle fiabe di gente come i fratelli Grimm e non capendo fino in fondo la vera lezione romantica, ha preso la natura, implacabile arbitra della vita e della morte, e l’ha resa placida e benevolente, mettendoci in testa la grande baggianata di mamma natura.
Ma la natura non è una mamma, e i suoi cicli sono incuranti di noi. E anche se un certo positivismo scientista continua a tentarci sussurrandoci nell’orecchio che se abbiamo spezzato l’atomo allora possiamo conquistare l’Universo e piegarlo al nostro volere, per fortuna ci resta ancora la lezione di umiltà della filosofia e della letteratura, quella dei Leopardi, per l’appunto, che fino all’ultimo, in quel capolavoro della Ginestra, ci ha ricordato che è sulle pendici dei vulcani e nella terra sotto di noi che si vede il destino dell’Umanità, non certo nel cielo stellato sopra di noi.