Ad agosto, quando si parte per le vacanze, si getta nella valigia tutto ciò che serve per vivere qualche settimana lontani da casa. Vestiti, crema solare, costume da bagno, beauty-case: anche quest’anno il popolo italiano si prepara ad addentrarsi tra le fitte corsie delle autostrade, sfidando il caldo torrido e le litigate familiari. Da qualche anno però, c’è un compagno fedele che accompagna le nostre giornate di villeggiatura: lo smartphone. Le cartine e i dépliant sono stati sostituiti dalle mappe online, dai siti di informazione e soprattutto dalle tantissime app ideate ad hoc per servire al meglio i turisti. Se mi trovo in una grande città e devo spostarmi velocemente, non farò altro che controllare sull’app di trasporto cittadino quali sono i mezzi più vicini e rispettivi orari. Se ho bisogno di informazioni e gli infopoint sono troppo lontani da raggiungere a piedi (sotto il sole cuocente), posso collegarmi direttamente all’apposita applicazione, che in modo pratico e veloce mi offrirà una panoramica dell’offerta di musei, eventi e monumenti a cui fare visita.
Lo smartphone è dunque il più grande alleato del turista. Basta però solo allargare di poco l’orizzonte mentale e cambiare prospettiva per accorgersi che quest’assistenza continua risponde esclusivamente alle logiche dell’edonismo. Nulla di male, per carità. Ma le potenzialità delle app possono risolvere problemi molto più stringenti di cercare un luogo di attrazione per passare un pomeriggio in compagnia: parliamo dell’accoglienza e dell’inserimento dei migranti all’interno del tessuto sociale delle nostre città. Già da qualche anno infatti si è creato un certo interesse nei confronti delle applicazioni che aiutano i migranti ad affrontare le sfide di una nuova vita in un paese che non si conosce.
Oggi i migranti sfruttano le nuove tecnologie per ricostruire le proprie vite. La rivoluzione digitale ha un ruolo importante nel migliorare la qualità di vita dei rifugiati, nel pianificare i viaggi da un paese all’altro e per aiutare l’integrazione nella loro nuova patria. L’impatto della tecnologia è enorme sulle vite di tutti, ecco perché a Copenaghen nel 2008 Christopher Mikkelsen ha lanciato l’app Refunite, una piattaforma che aiuta i rifugiati a mettersi in contatto con i propri cari di cui si sono perse le tracce e che conta ad oggi più di un milione di registrazioni. Il progetto si è poi evoluto ed è diventato un incubatore di innovazione tecnologica per aiutare i migranti. Un esempio? L’organizzazione sta da poco lavorando su un sistema di comunicazione a basso costo in un campo di rifugiati in Kenya. Il sistema utilizza i telefonini delle persone come trasmettitori, consentendo comunicazioni su larga scala a basso costo.
Gli smartphone sono delle macchine potenti, che utilizzate per uno scopo comune possono fare la differenza. Ciò accade anche in Svezia, dove l’applicazione Welcome App collega rifugiati e volontari direttamente tramite il proprio telefonino
Gli smartphone sono delle macchine potenti, che utilizzate per uno scopo comune possono fare la differenza. Ciò accade anche in Svezia, dove l’applicazione Welcome App collega rifugiati e volontari direttamente tramite il proprio telefonino. Un richiedente asilo può così ricevere in tempo reale informazioni sulle società locali, sui negozi di alimentari economici, o su come iscrivere il figlio a una squadra locale di calcio. Il tutto senza portare via molto tempo ai volontari, che posso rispondere alla richiesta di un rifugiato come fosse un messaggio di un amico su whatsapp.
Le lingue utilizzate dall’applicazione sono svedese, arabo, farsi e inglese. Proprio le lingue sono un tema caldo nell’ambito dell’integrazione dei migranti. Questo perché un nuovo cittadino non potrà mai entrare a far parte di una comunità se ne ignora la lingua. Per questo motivo un rifugiato siriano ora residente nel sud est della Turchia, Mojahed Akil, ha lanciato un’applicazione per smartphone che collega gli utenti ad interpreti che posso fornire traduzione orale e scritta in tempo reale in turco, arabo e inglese. Tarjemly Live conta ad oggi più di 40.000 utenti e 81 traduttori che assicurano un servizio 24 ore su 24.
È chiaro che il nord europa fa da capofila nel mettere le nuove tecnologie a servizio dei rifugiati. Da noi, per assurdo, si è giunti invece a casi di applicazioni come Ruspadana, il gioco per schiacciare i migranti con la ruspa prima approvato e poi rimosso dall’App Store. Come in molti altri stati europei anche nel nostro paese è attiva Refugee aid app (RefAid), applicazione per smartphone lanciata in Grecia e promossa (tra gli altri) da Save The Children e Medici Senza Frontiere che mostra a rifugiati e ad associazioni una mappa di tutti i servizi che vengono assicurati dalle associazioni umanitarie attive sul territorio europeo. Ma anche in Italia un poco alla volta si sta sviluppando una certa sensibilità sull’argomento. Uno dei primi esempi positivi di inventiva tricolore riguarda un gruppo di giovani studenti italiani, premiati all’”Accenture Connected Digital Hackathon” – sfida internazionale promossa da Expo 2020 per condividere e sperimentare le tecnologie più innovative tra ragazzi e professionisti di tutto il mondo – nel novembre del 2017 grazie all’app per migranti “Open World”. L’idea è quella di aiutare i migranti che arrivano in un nuovo Paese a mettersi in contatto con i famigliari e amici già presenti, così come ottenere assistenza per le complicate pratiche burocratiche. Interessante notare che tra le tre funzioni previste c’è anche quella della chat sviluppata tramite tecnologia blockchain: essenziale per comunicare in tempo di guerra e sotto dittature.
È chiaro che il nord europa fa da capofila nel mettere le nuove tecnologie a servizio dei rifugiati. Da noi, per assurdo, si è giunti invece a casi di applicazioni come Ruspadana, il gioco per schiacciare i migranti con la ruspa prima approvato e poi rimosso dall’App Store. Ma anche in Italia un poco alla volta si sta sviluppando una certa sensibilità sull’argomento
Nel concreto invece è stata la Caritas italiana a fare il primo passo, grazie all’app MIgradvisor che aiuta i migranti ad orientarsi lungo tutta la penisola, presentata a febbraio di quest’anno. L’app, consultabile in lingua inglese, francese, araba e italiana, è in grado di indicare il servizio più vicino alla persona in difficoltà. Parliamo di centri di ascolto della Caritas diocesana, così come di una stazione della polizia, o di un banale ufficio postale. All’interno sono presenti anche numeri utili per le emergenze e consigli per chi è vittima di abusi; mentre una parte dell’app è tutta dedicata ai minori non accompagnati.
Sul territorio invece non sembrano esserci molte applicazioni di sostegno ai rifugiati. A Venezia esiste la “M-APP: Migranti APP”, “una mappa online della Città Metropolitana di Venezia dove sono visibili tutti i servizi rivolti agli immigrati o con alti tassi di utenti immigrati offerti sia dal settore pubblico che dal privato sociale”. L’app nasce come strumento di conoscenza e consultazione sia per operatori, così come per gli amministratori e gli utenti. A Trieste invece una mappa simile esiste già da qualche anno ed è stata ideata dalla Kapamo Srls, progetto che si rivolge alle persone affette da problemi come disabilità intellettiva e analfabetismo funzionale. L’idea di base è semplice: la mancata conoscenze della lingua, così come trovarsi stranieri in un territorio, diventano ostacoli insormontabili che rendono la persona – almeno temporaneamente – disabile.
Il fermento che si sta creando attorno alle nuove piattaforme sta generando nuovi modi di vivere la solidarietà che vanno oltre la prima accoglienza e il sostegno materiale. La vera forza di queste app sta nel superamento della retorica dei barconi, per aprire invece a tematiche più quotidiane e concrete
Sempre sul tema dell’accoglienza, a marzo del 2018 il Politecnico e il Comune di Milano hanno organizzato un hackathon per dare forma ad un servizio tecnologico di supporto e orientamento per i migranti della città, con conseguenti polemiche da parte di Fdi. In quell’occasione fu l’assessore al Welfare Piefrancesco Majorino a dire che “rendere più accessibili i servizi ai nuovi cittadini, superando ostacoli come quello della lingua, è un primo passo fondamentale per l’integrazione”. Infine, fonti vicine a Linkiesta.it spiegano che anche il comune di Bologna sta studiando un’app che svolga una funzione di supporto nei confronti dei rifugiati locali.
Traduzioni, informazioni in tempo reale, sostegno nella ricerca dei propri cari dispersi e molto altro. Il fermento che si sta creando attorno alle nuove piattaforme sta generando nuovi modi di vivere la solidarietà che vanno oltre la prima accoglienza e il sostegno materiale. La vera forza di queste app sta nel superamento della retorica dei barconi, per aprire invece a tematiche più quotidiane e concrete. Lo smartphone ce l’abbiamo noi e ce l’hanno anche i rifugiati, facciamocene una ragione. Non solo, ce lo avranno anche i cittadini di domani. Le tecnologie informatiche sono la nuova cosa pubblica: si riparte da qui per cambiare la politica.