Tratto dall’Accademia della Crusca
Nel Dizionario di toponomastica: storia e significato dei nomi geografici italiani di Giuliano Gasca Queirazza et al. (Torino, UTET, 1990) alla voce Valdarno si legge:
Il nome è usato in Toscana per indicare due tratti della valle dell’Arno non precisamente definibili. L’uno, il Valdarno di Sopra (o Superiore), si stende per circa 40 km a monte di Firenze; è compreso tra la gola dell’Imbuto, a valle di Arezzo, e la stretta di Incisa. L’altro, il Valdarno di Sotto (o Inferiore), corrisponde al tratto compreso tra la gola della Gonfolina, a valle della conca di Firenze, e la confluenza dell’Era (cfr. LUI XXIV, 21).
Nel DOP alla stessa voce (per cui si dà anche, come “meno comune”, la forma non univerbata Val d’Arno) si specifica che si tratta di un “top[onimo] m[aschile]” il quale ricorre anche in associazione alla denominazione di cinque comuni dell’area, come appunto Figline Valdarno luogo da cui ci scrive Roberto. Si riporta poi un esempio da Boccaccio, “io ho un podere verso il Valdarno di sopra”. In calce troviamo l’annotazione: “anche la Vald’Arno, oltre che il Val d’Arno, per indicare (meno com.) tutto quanto il bacino dell’Arno”(qui e nei successivi esempi i grassetti sono miei).
Sappiamo quindi che si tratta di una voce maschile, frequentemente resa in grafia univerbata e distinta da quella femminile che appare invece sempre in forma scissa. La forma femminile indica l’intera valle individuata dal corso del fiume, dal Capo d’Arno, la sorgente sul Monte Falterona, fino a Bocca d’Arno, la sua foce nei pressi di Marina di Pisa. Il toponimo maschile Valdarno si riferisce a due distinte zone, una a monte e una a valle di Firenze, la cui “somma” non copre comunque l’intera valle (ne sono escluse sia Pisa, sia Firenze, nonché la prima parte del bacino dalla sorgente fino al punto in cui, come scrive Dante in Purgatorio, XIV, v. 48 l’Arno “torce il muso” ad Arezzo e cambia direzione).
L’alto bacino dell’Arno ha dunque figura d’un U, l’una delle due gambe essendo formata dal Casentino e l’altra dal Valdarno sopra Firenze, ove Montevarchi e S. Giovanni con Figline e Pontassieve sono le terre principali. A Pontassieve l’Arno piega a ponente e con lungo corso rettilineo va verso il mare, formando la Vald’Arno inferiore che è la parte più cospicua del suo territorio (Silvio Pieri, Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma, Accademia dei Lincei, 1919, p. 1).
Il passo mostra un’opposizione di genere tra il Valdarno, quello di sopra, e la Vald’Arno inferiore, ma è forse possibile ipotizzare che in questo caso ci si riferisse alla valle oltre Pontassieve e non solo a quel particolare territorio indicato con Valdarno inferiore.
Anche nel sito della Regione Toscana si parla ufficialmente dei Consorzi di bonifica di Alto, Medio e Basso Valdarno, di Valdarno aretino o pisano, di manifestazioni denominate Mercatale del Valdarno. Quest’ultima sequenza ci dà lo spunto per un’ulteriore osservazione: se la forma Valdarno viene usata senza specificazione di solito ci si riferisce a quello di sopra. Troviamo un esempio nel titolo di questa raccolta di lettere di Filippo Nesti, paleontologo e conservatore del Museo di fisica e storia naturale di Firenze, a Ottaviano Targioni Tozzetti, edite a Pisa nel 1825 in cui si citano fossili reperiti nel Valdarno superiore.
Dalla citazione riportata nel DOP sappiamo che l’uso del maschile era già testimoniato nel Trecento; abbiamo la possibilità di verificare almeno in parte la diffusione di quest’uso attraverso la ricerca sul corpus della Bibit Biblioteca Italiana.
In un testo riferibile al XIV secolo, la Cronicadi Pisa, troviamo attestazioni del maschile in riferimento a due territori distinti benché non identificabili in modo certo con la partizione più recente:
[…] e puosensi in prima a oste nello Valdarno di Firenze, e poi a San Casciano di Firenze, là dove fue il popolo e cavalieri di Pisa molto affannati, e straziati in molti paesi per sua gente, et per quelli di San Mignato.
Ma li Fiorentini, quando era l’oste a Pistoja, corsero su lo terreno di Pisa, e arsono gran parte dello Valdarno di Pisa.
Sappiamo quindi che si tratta di una voce maschile, frequentemente resa in grafia univerbata e distinta da quella femminile che appare invece sempre in forma scissa. La forma femminile indica l’intera valle individuata dal corso del fiume, dal Capo d’Arno, la sorgente sul Monte Falterona, fino a Bocca d’Arno, la sua foce nei pressi di Marina di Pisa
In altri testi dello stesso periodo la forma è introdotta da preposizione semplice (in Valdarno, di Valdarno) per cui non possiamo dedurne il genere; possiamo però ipotizzare che quest’uso, molto diffuso nei secoli successivi, sia testimonianza dello status di toponimo del termine e non di generico sintagma indicante la valle del fiume Arno. Nella trecentesca Nuova cronica di Giovanni Villani troviamo esempi sia con la preposizione semplice, sia con quella articolata, sia con articolo o aggettivo. In molte delle attestazioni la forma è introdotta da preposizione semplice di per indicare la provenienza di un casato (“Carlino de’ Pazzi di Valdarno”) o è associata al sostantivo paese (che non è comunque da intendersi nel significato odierno):
E per le dette cavalcate il paese di Valdarno e di Greti le terre non murate stavano in grande tremore.
Nello stesso testo, laddove deducibile, il genere è sempre maschile.
E questo fiume d’Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne de la Vernia, ove il beato santo Francesco fece sua penitenzia e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a piè di Poppio, e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso a la città d’Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo de la nostra città di Firenze. E poi uscito per corso del nostro piano, passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto a piè di Fucecchio, e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, raccogliendo in sé molti fiumi, passando poi quasi per mezzo la città di Pisa ove assai è grosso, sicché porta galee e grossi legni; e presso di Pisa a V miglia mette in mare; e il suo corso è di spazio di miglia CXX.
Come si può vedere anche la denominazione dei due territori è già una di quelle usate ancor oggi. Ci sono poi due attestazione di Valdarno di ponente in luogo di quello di sotto.
A parte le attestazioni nella Cronica di Pisa, in Boccaccio e Villani, gli altri testi del secolo XIV mostrano sempre la preposizione semplice (in Valdarno o di Valdarno); così anche la maggior parte di quelli quattrocenteschi, a esclusione del Memoriale di Giovanni Portoveneri in cui il toponimo è usato al maschile (vi torna ad apparire anche il Valdarno di Pisa) e del Comento di Cristophoro Landini Fiorentino sopra la Comedia di Dante Alighieri che mostra un’occorrenza al maschile (le altre sono sempre introdotte da preposizione semplice).
Autori del Cinquecento usano il maschile, come Machiavelli e Guicciardini, o, come il Vasari, la forma introdotta da preposizione semplice. Interessante una testimonianza nella Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello (1544):Indi la valle, mosso c’hebbe questo Demonio i nuvoli e ’l vento dice, che venuto la notte, coperse di nebbia quella parte de la valle, per la quale Arno corre, e che si contiene da Pratomagno (monte sopra Firenze XX miglia, che divide Valdarno dal Casentino) fin al gran giogo de gli Apennini […] (commento a Purgatorio, V, 115-123).
In questo passo, Valdarno è usato senza indicazione dell’articolo, a differenza di Casentino (la porzione di territorio corrispondente al bacino del primo tratto dell’Arno) che è introdotto dalla preposizione articolata.
Il corpus Bibit testimonia per i secoli successivi ancora l’uso della preposizione semplice o del maschile. Anche nel caso delle molto più rare testimonianze della grafia scissa Val d’Arno il genere, se deducibile, è sempre maschile dalle origini fino all’Ottocento.