Il cammino di Santiago? Sta diventando un sollazzo borghese. E non possiamo permetterlo

Una ricerca attesta che il cammino di Santiago cambia la vita. In realtà il pellegrinaggio è in piena crisi di identità e sta rinunciando sia al misticismo di Coelho, che alla semplicità del sandalo francescano che all’edonismo bohémien alla Jack Kerouac

Il cammino di Santiago è caro a noi Italiani. Durante l’anno ci riversiamo a migliaia lungo i vari percorsi che portano alla tomba di San Giacomo: sarà la vicinanza geografica, sarà il retroterra culturale cattolico, sarà il passaparola. Ecco allora che non appena si inizia a parlare del cammino dalle nostre parti si solleva un chiacchiericcio assordante e si inizia a parlare uno sopra all’altro. C’è quello che ha l’amico che l’ha fatto cinque volte, c’è il ragazzino graziato dai giudici e mandato a scontare la pena col proprio sudore sul cammino, poi il nonno che lo ha percorso in taxi e il santone con la barba incolta che iniziò il percorso addirittura in Germania. Poco male, si direbbe. Infatti il pellegrinaggio più famoso del mondo è un’esperienza che si perpetua da secoli e secoli: un’occasione davvero unica, di quelle che capitano una volta nella vita.

Nei giorni scorsi i giornali italiani erano tutto un fiorire di articoli sul noto cammino. È successo infatti che in Spagna è stato dato il via ad uno studio che analizzerà gli effetti del pellegrinaggio sul benessere fisico e mentale. La ricerca, alla quale qualunque pellegrino può partecipare, ha come obiettivo quello di valutare l’influenza del cammino sugli stati d’animo, sulla soddisfazione della propria vita, sulla felicità, sulla capacità di pensare al presente e sulla capacità di prendere decisioni in modo consapevole e orientato ai valori. Il progetto Ultreya – ultreya è un saluto di incoraggiamento diffuso tra i pellegrini – vuole insomma confermare una credenza diffusa, ovvero che il cammino di Santiago cambia la vita in meglio. I primi dati confermano questa opinione, mentre sul Corriere della Sera il ricercatore Javier García Campayo parla di alcuni fattori positivi riscontrati tra i pellegrini quali la solitudine, la compagnia, la solidarietà e il dolore fisico.

A parlare con chi il cammino l’ha fatto, si capisce subito che è il pellegrinaggio è un’esperienza indimenticabile. E certo, non ti rivoluziona la vita, ma ti lascia dentro qualcosa che va oltre il ricordo di una vacanza avventurosa: un mix irripetibile di spiritualità, imprevedibilità, sforzo fisico e condivisione. È molto facile tessere le lodi del pellegrinaggio. L’immaginario più diffuso è ricco di e narrazioni esaltanti. Più difficile è metterlo sotto accusa; tant’è che è quasi impossibile incappare in un commento negativo o un’analisi un pochino più approfondita sul perché il cammino “funzioni”. La realtà però è più sfaccettata di quel che si voglia far credere.

È successo infatti che in Spagna è stato dato il via ad uno studio che analizzerà gli effetti del pellegrinaggio sul benessere fisico e mentale. La ricerca ha come obiettivo quello di valutare l’influenza del cammino sugli stati d’animo, sulla soddisfazione della propria vita, sulla felicità, sulla capacità di pensare al presente e sulla capacità di prendere decisioni in modo consapevole e orientato ai valori

Il cammino di Santiago è in piena crisi d’identità. Negli ultimi anni si è allargato di gran lunga il bacino di persone che si sono messe in marcia. Il sito ufficiale parla di più di 300.000 persone all’anno tra chi lo percorre a piedi, in bicicletta o a cavallo. Dovremmo essere felici di questa notizia, non fosse che l’aumento dei viandanti va di pari passo con un altro aspetto: il cammino si sta trasformando in un’esperienza sempre più commerciale e di massa. Centinaia di pellegrini ogni giorno camminano lasciando ciondolare sul proprio zaino la famosa conchiglia con impressa sopra la croce di Santiago come fosse un souvenir. Negozietti che vendono oggettistica legata al cammino, dai semplici ricordini all’abbigliamento tecnico, spuntano come funghi lunghi le strade. Chiaramente la gente ci si fionda in massa. Il percorso segnalato da una freccia gialla, segnale riconosciuto che indica il cammino, a volte viene modificato o allungato di qualche centinaio di metri solo per far passare il pellegrino di fronte a qualche ostello o ristorante compiacente.

Allo stesso tempo il cammino si sta irrimediabilmente imborghesendo. Provate un po’ a pensare a chi ha un mese di tempo per prendersi per sé spendendo una cifra non irrisoria di denaro? Classe media, tanta. Ma non solo. Anche molti single giovani sulla trentina in cerca di avventure – chissà se amorose o no – e molti professori (che evidentemente possono fruttare la pausa estiva per buttarsi in questo genere di esperienze). Pensate che bello trovarsi al ristorante e farsi rovinare il pranzo dai discorsi dei vicini, notabili del sud con la loro boria aristocratica e la tuta da ciclista che passano il tempo a discorrere di sciocchezzuole. Il roaming gratuito in Europa può essere una manna, ma anche una maledizione: moltissime persone negli ostelli passano il tempo sdraiati con lo sguardo fisso sullo smartphone. Le possibilità di socializzazione così si riducono e il pellegrinaggio prende la forma di una storia su instagram: dopo 24 ore è già tutto dimenticato.

Il peggio però si concentra nelle ultime tappe del cammino. Moltissime persone infatti partono da Sarria, che dista circa 100km da Santiago, perché è l’ultimo luogo dove si può partire per avere accesso al documento che attesta di aver compiuto il pellegrinaggio: la compostela. Da qui in poi il cammino si trasforma in una gita della domenica, con orde di discoli rumorosi e autobus pieni di sudcoreani che si riversano per le strade. Quel minuscolo granello di spiritualità che vi era rimasto rimane sepolto sotto una valanga di selfie e casse da viaggio che pompano tormentoni estivi fin dentro i vostri timpani.

Date le premesse, per un giovane l’unica salvezza è quella di fermarsi per un po’ di tempo nelle comuni autogestite. Per fortuna qualche luogo mistico rimane ancora. Un anziano alchimista, qualche chiosco per fermarsi a bere una bibita immersi in un’atmosfera zen, una pietra dalle influenze positive, qualche tau francescano al collo dei viandanti, un lungo tramonto sull’oceano

Che dire poi della fila infinita per prendere la compostela? Appena arrivati a Santiago c’è giusto il tempo di visitare la basilica e poi ci si mette l’anima in pace ad aspettare il proprio turno per ricevere il documento. A Finisterre una ragazza sudcoreana ha provato più volte ad ottenere un documento che attestava di aver camminato fin ai piedi dell’oceano. La giovane però, furbescamente, aveva percorso l’ultimo tratto da Santiago in autobus. Alla fine ce l’ha fatta ad ottenere quel pezzo di carta, ma a che scopo? Poi me l’ha spiegato: in sudcorea quel documento vale dei crediti formativi da spendere nel mondo del lavoro e dell’università.

Date le premesse, per un giovane l’unica salvezza è quella di fermarsi per un po’ di tempo nelle comuni autogestite che si possono trovare lungo il cammino. Qui almeno c’è davvero la possibilità di conoscere persone fuori dall’ordinario. Sempre cercando di non cadere in quel mood fatale dove la quantità di canne fumate diventa tale da distrarre il viandante dall’imperativo sobrio del cammino. Per fortuna qualche luogo mistico rimane ancora. Un anziano alchimista, qualche chiosco per fermarsi a bere una bibita immersi in un’atmosfera zen, una pietra dalle influenze positive, qualche tau francescano al collo dei viandanti, un lungo tramonto sull’oceano.

Il cammino di Santiago rimane un’esperienza da fare, non lo dico con la minima esitazione. Ma cerchiamo di tornare all’antico significato, abbattiamo questo muro di volgare massificazione e imborghesimento collettivo del pellegrinaggio. La crisi d’identità si fa sentire in un cammino che sta rinunciando sia al misticismo di Coelho, che alla semplicità del sandalo francescano che all’edonismo bohémien alla Jack Kerouac. Non vorrei che poi ci rimanesse alla memoria solo una breve storia su instagram.

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