Tra i due litiganti Tria gode: il ministro dell’Economia è in una botte di ferro

Basta una sua dichiarazione e lo spread cala. Mercati, Bce, Bruxelles e Mattarella lo sostengono nella partita a scacchi contro Salvini e Di Maio. Di Tria c’è bisogno. E le migliori carte in mano sono le sue

JOHN THYS / AFP

Gli scacchi si giocano in due, ma Giovanni Tria si è lanciato in un esperimento ardimentoso, impegnandosi in una partita a tre: lui, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. A chiunque tremerebbero i polsi, non al ministro dell’economia. Chi lo ha seguito in questi giorni, nelle uscite pubbliche e nell’audizione in Parlamento, è rimasto sorpreso dalla sua imperturbabilità. Piccolo, fragile all’apparenza, occhialoni, abito grigio stazzonato da professore d’altri tempi, voce piana e flebile, ma nient’affatto monotona, una nota di ironia che lo accompagna come il basso continuo in una partitura barocca. Soprattutto, solido, sicuro, sordo alle rodomontate di Di Maio o agli strattoni di Salvini. In mezzo alle turbolenze politiche, tra i continui zigzag di questa campagna elettorale permanente che sfocerà forse (così si dice in questi giorni) in elezioni anticipate a primavera, Tria guida la barca del Tesoro lungo una rotta che ha tracciato da tempo e ha spiegato a tutti in ogni occasione:

1) rispettare le compatibilità di bilancio non significa accontentare Bruxelles o cedere alla speculazione, ma rassicurare i mercati che alla fine della fiera esprimono le aspettative dei risparmiatori e in economia le aspettative, non smette mai di ripetere il professore, sono fondamentali. In soldoni ciò significa che il 27 settembre, quando verrà presentata la variazione al documento di economia e finanza, bisogna scrivere una percentuale dell’1,6% l’unica che, a fronte di una crescita del pil nominale (compresa l’inflazione) del 2,5% e di un costo del debito di poco superiore, consente di mettere in conto una pur lieve riduzione del debito pubblico. È a questo che guardano le agenzie di rating e i mercati, insieme alla stabilità, l’altra variabile fondamentale che però è soprattutto politica.

​2) occorre ridurre il prossimo anno la pressione fiscale, in modo magari modesto, ma chiaramente percepibile e non con misure una tantum; a suo avviso sarebbe meglio spostare il peso dalle imposte dirette a quelle indirette, lasciando crescere l’Iva e usando i 12,4 miliardi di euro necessari, per ridurre e semplificare le aliquote Irpef. Su questo c’è una opposizione netta di entrambi i suoi avversari nel gioco degli scacchi, quindi il ministro dovrà mediare ed è pronto a farlo. Dove si arresterà questa trattativa non lo può sapere nessuno, nemmeno Tria. Ma c’è tempo fino alla seconda metà del prossimo mese, quando si dovrà presentare la legge di bilancio.
La flat tax non esiste. Semmai si parla di scendere dalle attuali cinque aliquote a quattro o a tre; sugli scaglioni i tecnici del ministero stanno facendo calcoli (dei costi) e simulazioni (dell’impatto redistributivo). In ogni caso, l’imposta resterà progressiva come vuole la costituzione e non proporzionale come ha promesso Salvini. Si può adottare un’aliquota unica, ma ciò richiede di riformulare deduzioni e detrazioni per rispettare la progressività, una operazione complessa che impegna tempo e denaro. Dunque, si vedrà in futuro, certo non nel 2020 quando verranno riscosse le imposte del 2019;

3) l’altro pilastro della Trianomics è un aumento degli ammortizzatori sociali. Il ministro si fa professore e sottolinea che l’Italia, come l’intero mondo occidentale, è nel bel mezzo di una colossale rivoluzione tecnologica che comporta una riconversione dell’economia e ha dato uno scossone agli equilibri sociali. Non è facile, anche in questo caso ci vuole tempo e denaro. Nessuno finora ha trovato al ricetta miracolosa, anche se la ripresa economica molto forte in paesi come Stati Uniti e Germania ha consentito di lenire le ferite della grande crisi. Il reddito di cittadinanza, da questo punto di vista, è una goccia nel mare, costosa e inefficace se non funzionano i centri per l’impiego che allo stato attuale sono poco più dei vecchi uffici di collocamento. Realisticamente nel 2019 si potranno dare alcuni segnali, piccoli, ma visibili, cominciando un lungo percorso, nella speranza che nel frattempo non cambi il vento della congiuntura.

4) meglio lasciar perdere ogni velleità di nazionalizzare tutto il nazionalizzabile, il capitalismo di stato ha fatto il suo tempo. Il ritorno all’Iri – Tria lo ha detto chiaramente – rischia di essere il ritorno alla Gepi, la Società Gestioni industriali nata nel 1971 per raccogliere le imprese fallite: fino al 1992 ebbe a disposizione 4 mila miliardi di lire (circa due miliardi di euro) e vi finirono 347 aziende compresa la Maserati. Un pasticciaccio brutto, emblema di uno stato ospedale non proponibile non solo per mancanza di mezzi, ma perché ha fatto fallimento.

Ogni volta che il ministro parla, lo spread si riduce, quando gli altri sbraitano, lo spread sale. Una prova che gli investitori stranieri e i risparmiatori italiani tutto sommato hanno fiducia in lui

I pilastri due e tre recepiscono le priorità del contratto di governo, sia quelle leghiste sia quelle grilline, ma con ricadute concrete e non demagogiche. Salvini e Di Maio faranno fuoco e fiamme, ma riusciranno a strappare solo qualcosina in più. Il quarto punto scontenta Di Maio, ma non del tutto Salvini perché nonostante le tirate nazionaliste “il capitano” si rende conto che non potranno tornare i tempi della Dc fanfaniana; in ogni caso il suo elettorato non è statalista, chiede protezioni, però sotto forma di denaro da gestire a proprio piacimento.

Il primo pilastro, invece, mette Di Maio e Salvini l’uno contro l’altro ed entrambi contro Tria: sia la Lega sia il M5S vogliono più deficit per fare cose diverse. Il ministro non si scompone. Chi lo segue, lo ascolta, lo scruta, ha l’impressione di trovarsi davanti a un consumato negoziatore. Che cosa gli dà tanta sicurezza? Quante divisioni ha Tria? Si è detto che ha due sostegni forti, innanzitutto Sergio Mattarella, presidente della Repubblica e poi Mario Draghi, presidente della Bce, il quale in questi giorni è sceso in campo direttamente citando in modo inusuale l’Italia e i rischi che le incertezze politiche e programmatiche creano per il paese e l’Europa intera. Finora si sono dette solo parole, tuttavia hanno già prodotto danni – ha ammonito Draghi. Dunque Tria sembra in una botte di ferro, però a metterlo davvero al sicuro sono due altre circostanze, una esterna e una interna.

La prima circostanza riguarda i mercati: ogni volta che il ministro parla, lo spread si riduce, quando gli altri sbraitano, lo spread sale. Una prova che gli investitori stranieri e i risparmiatori italiani tutto sommato hanno fiducia in lui. È vero che nei mesi scorsi abbiamo avuto una fuga di capitali, ma poteva essere molto peggio. Uno studio dell’UBS fresco di stampa calcola gli effetti sullo spread delle diverse ipotesi di deficit pubblico: sotto o attorno al 2%, lo spread pur restando nettamente oltre i duecento punti base, non è destinato a schizzare più in alto. Oltre quel livello non si può escludere un downgrading del debito italiano con una corsa a vendere Btp.

Il fattore interno ha a che fare con le mire politiche dei due partiti di governo. Entrambi mostrano una gran voglia di menare le mani e arrivare alla resa dei conti

Il fattore interno ha a che fare con le mire politiche dei due partiti di governo. Entrambi mostrano una gran voglia di menare le mani e arrivare alla resa dei conti. Ma Salvini ha bisogno di consolidare il suo takeover di Forza Italia; Berlusconi ci sta, ponendo molte condizioni, dalla messa in sicurezza di Mediaset alla spartizione elettorale di comuni e regioni. Dunque la Lega ha bisogno di tempo, almeno fino alla prossima primavera, per costruirsi una sponda e un’alternativa. Il M5S morde il freno, tuttavia in questo momento si è troppo indebolito per poter rischiare le urne. Nella divisione delle spoglie ha ottenuto più di Salvini, però non ha soluzioni di ricambio né vie d’uscita: va da solo alle elezioni e parte in svantaggio. In conclusione, tutto rafforza la resilienza di Tria: mercati, Bce, Bruxelles sono dalla sua parte, ma gioca soprattutto a suo favore la debolezza di fondo che, al di là della propaganda, blocca Lega e Cinquestelle. Oggi come oggi, sia chiaro. Del doman non v’è certezza.

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