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Un paio di “ammazzacaffè” fa ho citato le imperdibili video-chiacchierate tra Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani, super economista a capo del Fondo sovrano dell’Oman. E in diversi mi hanno chiesto approfondimenti sul mestiere da “mille e una notte” di Scacciavillani e su come si diventa quello che consiglia un sultano dove deve mettere i suoi soldi. Allora eccoci qui ad approfondire la questione con il capo strategico del Fondo d’investimenti dell’Oman. Nato a Campobasso nel 1961. Laurea in Economia alla Luiss di Roma, Ph.D. in Economia all’Università di Chicago, dove ha anche insegnato alla Business School. E un curriculum che conta scrivanie eccellenti tra Fondo monetario internazionale a Washington, Banca centrale europea a Francoforte, Goldman Sachs a Londra e gli ultimi 12 anni nella Penisola Arabica, prima in Qatar alla Gulf Organization for Industrial Consulting, poi negli Emirati Arabi Uniti come direttore della Ricerca macroeconomica e statistica del Centro finanziario internazionale di Dubai e infine a Muscat, in Oman, alle dipendenze del Sultano Qabus.
Fabio, come si diventa consigliere di un monarca? “È più banale di quello che uno possa immaginarsi: attraverso la selezione di un cacciatore di teste. La vera difficoltà non è diventarlo, è rimanerlo”.
Per quale motivo? “In generale, nella Penisola Arabica, non è detto che ciò che è logico e assecondato oggi lo sia anche domani. La sfera della verità è a scadenza, come lo yogurt, e tutto è relativo. In sintesi, per la diversa visione tra occidentali e mediorientali. Però i rapporti umani sono ottimi e per chi non conosce questi luoghi e i loro abitanti va detto che Oman, Qatar, Bahrein, eccetera, sono vie di traffico millenarie, aperte al prossimo e tolleranti per tradizione nei confronti delle differenti culture. Tanto per dire, gli omaniti vendevano l’incenso all’Impero Romano”.
Quindi non ti preoccupa l’islamizzazione dell’Occidente? “Ma è una fregnaccia colossale. Paradossalmente è vero il contrario. Il 90% degli abitanti di Dubai sono stranieri. L’80% in Qatar. Il 40 in Oman. E sono il 20% in Arabia Saudita. E in gran parte non sono musulmani. Qui si stanno occidentalizzando e nessuno ne parla. Con un aspetto meraviglioso: non esiste delinquenza. Roma è una delle capitali europee per numero di vittime della strada, pedoni compresi. In Oman se passi con il rosso fai un giorno di carcere e la data la puoi scegliere tu. Il risultato? Nessuno passa con il rosso. La civiltà è qui o a Roma?”.
È uno scenario sorprendente… “Sì, di serena e fruttuosa integrazione, dove l’ambiente è internazionale, si parla inglese e si mantiene la propria identità: io per esempio a Muscat mangio italiano e vado a messa”.
Nello specifico, in cosa consiste il tuo lavoro? “Sostanzialmente devo prevedere i fenomeni economici. In base a determinati assunti e a una certa sensibilità politica sia internazionale che locale, devo immaginare eventi possibili per investire in azioni piuttosto che in obbligazioni o nel petrolio anziché nelle biotecnologie. Per un’analisi economica che parte a livello mondiale, scende nei singoli Paesi e arriva ai settori particolari, come materie prime, utilities, azioni e via discorrendo”.