La presidenza di Donald Trump affronta oggi il suo primo vero esame elettorale dopo due anni contrastati ma politicamente vincenti per un presidente degli stati uniti tanto improbabile quanto umanamente e moralmente disgustoso. Vedremo stanotte cosa ne pensino gli elettori americani del loro presidente e del nuovo Grand Old Party repubblicano (razzista, isolazionista e spendaccione) che, nei tre anni trascorsi da quando iniziò la sua corsa per la presidenza, Trump è riuscito a ridisegnare quasi completamente a propria immagine e somiglianza.
Non sembra ragionevole aspettarsi grandi cambiamenti: tutte le inchieste elettorali danno una probabilità schiacciante che il GOP mantenga il controllo del Senato mentre vale l’opposto per la Camera. Se così dovesse succedere Trump avrebbe qualche difficoltà a continuare a spendere e spandere per comprare voti ma, per il resto, poco cambierebbe. Specialmente in politica estera e nella gestione sempre più aggressiva della questione immigrazione, le posizioni di Trump e del GOP non credo cambieranno. Strategia che vince non si cambia.
C’è ovviamente una grande incognita che tutti si aspettano venga risolta una volta chiusa la tornata elettorale: si chiama Robert Mueller ed è il procuratore che sta indagando sui legami pre-elettorali tra Trump e la Russia. Dopo una serie di notevoli successi nei mesi estivi l’ufficio di Mueller non ha più detto nulla ed oramai siamo tutti in attesa che il post elezioni porti la prossima mossa. Molti democratici sperano questa consista in un’accusa diretta al presidente, ma io non ci giurerei. Non sembrano esisterne i presupposti fattuali anche se l’evidenza veramente in mano di Mueller non è certo di pubblico dominio. In ogni caso, finché il Senato rimarrà in mano repubblicana non credo vi siano le condizioni per l’impeachment che troppi desiderano e Trump non è certo il tipo da cedere e dimettersi anche davanti ad un voto di accusa della Camera. L’uomo che è riuscito a far eleggere un personaggio mediocre e servile come Kavanaugh alla Corte Suprema (forse in Italia la cosa non è evidente ma le mal assortite ed ancor peggio gestite accuse di violenza sessuale hanno finito per trasformarlo in un eroe dell’elettorato repubblicano) vivrebbe un eventuale impeachment come la battaglia finale che potrebbe portarlo alla vittoria fra due anni e ad un secondo termine alla Casa Bianca.
Il fatto rilevante è che oggi, in conseguenza di un trend iniziato durante la presidenza Bush e che da allora si è venuto consolidando, gli USA sono un paese fortemente lacerato ed in continuo conflitto sui temi altri da quelli economici: aborto, immigrazione, razzismo, educazione, collocazione internazionale. È su questa profonda divisione che Trump ha costruito la sua fortuna politica guidando la “minoranza oppressa” alla rivolta e, per ora, alla vittoria. Se volete capire Trump dovete americanizzare Salvini, non Grillo; quest’ultimo essendo il prodotto di una particolare subcultura tutta italiana, mentre il primo incarna un trend culturale e politico comune a molti paesi occidentali dove una parte della popolazione non è in grado di accettare e gestire la crescita economica, culturale e politica del resto delle etnie che popolano il pianeta.
Non vi è dubbio alcuno che, su ognuno di questi specifici temi “non economici”, le posizioni di Trump e del GOP siano minoritarie nel complesso della popolazione USA. Sulla base delle inchieste d’opinione e dei risultati elettorali, è ragionevole stimare che la minoranza “trumpiana” non superi il 40% della popolazione e che tale percentuale sia sostanzialmente minore su temi controversi come le relazioni fra differenti gruppi etnici o il trattamento degli immigranti illegali. Nondimeno, questa minoranza controlla la maggioranza parlamentare per due ragioni cruciali: le particolari regole elettorali USA con l’uso astuto che da trent’anni il GOP ha saputo fare della ridefinizione dei distretti elettorali e la particolarmente alta affluenza al voto degli elettori che appartengono a questo gruppo. Mentre il primo ostacolo appare al momento insuperabile (i distretti vengono disegnati dai singoli stati e devi cominciare dal controllo dei parlamenti statali per ridisegnarli) il secondo definisce oggi, esattamente come due anni fa, il vantaggio trumpiano e l’handicap democratico.
Il fatto rilevante è che oggi, in conseguenza di un trend iniziato durante la presidenza Bush e che da allora si è venuto consolidando, gli USA sono un paese fortemente lacerato ed in continuo conflitto sui temi altri da quelli economici: aborto, immigrazione, razzismo, educazione, collocazione internazionale. È su questa profonda divisione che Trump ha costruito la sua fortuna politica guidando la “minoranza oppressa” alla rivolta e, per ora, alla vittoria
Due anni fa Hillary Clinton perse la corsa alla Casa Bianca ricevendo 3 milioni di voti più di Trump per la semplice ragione che non riuscì a far andare alle urne 250mila suoi elettori addizionali nei tre stati chiave (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin) che aveva scioccamente snobbato durante la campagna elettorale. Il problema dei democratici è ancora quello: non sono capaci di generare una leadership politica che unifichi le loro molteplici anime attorno ad una persona che motivi tutti a contribuire all’azione politica e votare. Obama era riuscito a farlo per un periodo ma è poi diventato un elemento divisivo, non solo nel paese ma nel suo stesso partito, perché non ha lasciato alcuna eredità politica altra da se stesso (non a caso egli è oggi l’esponente democratico maggiormente visibile nella campagna elettorale, fatto del tutto anomalo per un ex presidente) e perché acconsentì alla scelta di Hillary Clinton come candidata presidenziale. Senza un messaggio unificante ed una persona o gruppo di persone che lo incarnino, il partito democratico rischia di rimanere maggioritario (in modo crescente, dato che demografia e sviluppo economico lavorano in suo favore) in un paese governato da un GOP che ne intende trasformare radicalmente svariati aspetti fondamentali. Una situazione paradossale, ma tale è lo stato delle cose oggi negli USA e di questo GOP e Trump sono ben coscienti. La qual cosa spiega anche la particolare veemenza di alcune iniziative e l’urgenza con cui, nella loro azione politica, stanno cercando di cambiare alcune regole del gioco e piantare paletti difficili da rimuovere. Il tempo gioca contro di loro ma il sistema elettorale ed il potere che esso conferisce gioca a loro favore nel breve periodo.
Su questo si vota oggi negli USA e non sulle politiche fiscali o la situazione economica. La quale continua ad essere eccellente da almeno otto anni e lo è grazie alle caratteristiche di fondo della società e del sistema economico USA non certo grazie alle politiche adottate da Obama e Trump, anzi nonostante quelle. Scrivo dalla Cina, dove si discute seriamente e pubblicamente di commercio estero e di “trade war” con gli USA e dove prevalgono due osservazioni. Il commercio con gli USA sta diventando una parte relativamente piccola del commercio internazionale cinese, quindi calma e non cadere nella trappola. La guerra commerciale la vuole Trump per conto di alcuni gruppi socio-economici ristretti e storicamente in via di progressivo declino, quindi adottiamo sanzioni di risposta che siano mirate specificamente a danneggiare quei gruppi e non il complesso dell’economia USA. Se ho inteso quel che i miei interlocutori cinesi mi hanno detto in questi giorni, questa è la scelta strategica che verrà seguita a meno di ulteriori ed aggressive sorprese da parte degli USA.
Queste le previsioni per le urne che si apriranno stasera. Per quelle che verranno aperte fra due anni l’analisi appena svolta indica tre fattori a cui fare attenzione: l’emergenza o meno di un leader democratico che possa galvanizzarne l’elettorato, le mosse future di Mueller e l’immagine che esse daranno di Trump all’elettorato repubblicano, l’evolversi del ciclo economico che presto o tardi porterà ad una recessione. Il marito di Hillary vinse le elezioni del 1992 aprofittando in maniera magistrale (dal punto di vista della propaganda) di una mini-recessione (probabilmente la più debole di sempre) e dell’errore di Bush Senior che alzò di un pelo le imposte violando una sua pubblica promessa. Dubito Trump possa fare un errore del genere nei prossimi due anni.