Avere un computer, uno smartphone o un tablet. Richiedere all’Agenzia delle Entrate un codice univoco di identità digitale, che si chiama SPID. Abilitare la firma digitale ed essere in possesso di una PEC. Studiare per dotarsi di competenze informatiche minime, almeno per capire che cosa sia un file XML e per orientarsi tra le offerte private e a pagamento di programmi gestionali per compilare, gestire e inviare le fatture. Questo è quello che saranno tenuti a fare tutti coloro che, dal 1° gennaio 2019, saranno tenuti a emettere fatture elettroniche.
Il tanto atteso e temuto obbligo di fatturazione elettronica entrerà ufficialmente in vigore proprio a inizio anno e, nonostante la gran quantità di toppe, limiti ed esenzioni apportate in corso d’opera per salvare dal naufragio la più mastodontica operazione di digitalizzazione mai tentata al mondo da un’agenzia tributaria — in Europa ci ha provato solo in Portogallo, ma non è andata esattamente bene — il nuovo sistema potrebbe essere una vera e propria bomba a mano lanciata nel corridoio incasinatissimo del lavoro italiano, che si scambia all’anno circa 1,5 miliardi di fatture, di cui per ora solo 80 milioni circa — il 5,3% — sono elettroniche.
«A trenta giorni dall’entrata in vigore dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica», diceva preoccupato a fine novembre il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani, «sull’intera vicenda regna ancora la confusione. Temiamo che questa situazione possa generare il caos» e proseguiva: «c’è ancora poca chiarezza sulle categorie esentate, c’è un pezzo non irrilevante del Paese privo di una copertura Internet».
«Sull’intera vicenda regna ancora la confusione. Temiamo che questa situazione possa generare il caos»
Nelle idee di chi ha pensato questa operazione si dovrebbe poter recuperare un gettito di IVA sommerso di circa 25 miliardi. Eppure, questa spada di Damocle digitale, progettata e messa in pratica come spesso capita in Italia, ovvero senza alcuna visione generale e senza pensare sul serio alle sue conseguenze, più che uno strumento che sulla carta è portatore di innovazione, semplificazione e nuove opportunità, sembra l’ennesimo vaso di Pandora all’italiana, capace di generare problemi immensamente più grandi dei potenziali benefici. Gli effetti di un marasma del genere, e non soltanto secondo i commercialisti, potrebbero essere devastanti.
Qualche esempio? Il doppio binario tra vecchia fatturazione e fatturazione elettronica, necessario visto che non tutti gli italiani hanno una partita IVA, e che creerà ancora più confusione in un paese come il nostro, la cui fiscalità fa ancora impallidire Bisanzio. O ancora, l’effettiva impossibilità di recepire le norme da parte di tutta una serie di imprese e individui che, in Italia, sono ancora lontani anni luce dal mondo digitale, dettaglio che potrebbe portare, più che all’emersione del nero, a un’immersione di massa da parte di tutti coloro che sono esclusi a livello tecnologico.
Problemi di gestione, insomma, con costi enormi in termini di tempo-lavoro per le aziende e per i privati che dovranno adeguarsi alla cosa (tutti i possessori di partita IVA tranne quelli che sono ancora in regime di minimi o forfettario, ah, e tranne anche gli operatori sanitari) e di soldi da investire per attrezzarsi alla digitalizzazione.
più che uno strumento di innovazione sembra l’ennesimo vaso di Pandora all’italiana, capace di generare problemi più grandi dei benefici
Problemi che genereranno altri problemi, come una palla di neve gettata su un crepaccio innevato può generare una valanga. Problemi relativi al rapporto ancora medievale delle imprese italiane con la tecnologia digitale, ma anche problemi di sicurezza, soprattutto tenendo conto del contesto, una giungla in cui anche le stesse infrastrutture messe a punto dallo Stato non sarebbero attrezzate — ad esultare, almeno sulla carta, saranno gli operatori privati, ma che chi dice che dietro al sorriso abbiano paura anche loro — tanto che potrebbero nascere seri problemi di protezione dei dati personali contenuti nelle fatture, come sollevato a novembre dall’Autorità garante per la privacy.
La fattura elettronica, allo stato attuale delle cose, somiglia più a una corsa verso il dirupo che non a un passo verso il futuro. E anche l’Agenzia delle Entrate, che a partire dalle prime ore dell’anno nuovo dovrebbe garantire la registrazione e la conservazione di una copia di tutte le fatture emesse e ricevute in Italia, non sembra affatto pronta, tanto che la maggior parte degli interessati sarà costretta a ricorrere a un servizio esterno, privato e a pagamento, per poter gestire i flussi di questo nuovo sistema. E se per le grande aziende probabilmente sarà soltanto questione di sprecare risorse e dedicare un mare di ore lavoro alla transizione, per molte imprese familiari o individuali sarà semplicemente un colpo al cuore, che già non se la passava bene prima, ma che ora, finirà strozzato da un processo burocratico che a confronto, quello che ispirò Kafka pare un’area gioco per bambini.