Sturmtruppen, ma anche Cattivik, Nick Carter e tante altre pazzesche invenzioni a fumetti, dalle Cronache del dopobomba fino alle Storie dallo spazio profondo scritte con il suo amico ed ex compagno di scuola Francesco Guccini. Questa è l’eredità multiforme, caustica e goliardica, che ci ha lasciato Bonvi, uno dei più autentici protagonisti dell’Italia del Novecento, investito da una macchina a Bologna il 10 dicembre del 1995 a 54 anni. Un’eredità che, per l’occasione dei 50 anni degli storici soldaten, viene esposta negli oltre 600 metri quadrati di allestimento di Sturmtruppen 50, curato e progettato dalla figlia Sofia Bonvicini e da Claudio Varetto, una mostra con molte tavole inedite che resterà aperta a Palazzo Fava, a Bologna, dal 7 dicembre al 7 aprile 2019.
In molti hanno ripetuto negli anni che inquadrare una personalità sfaccettata, contraddittoria e anarchica come quella di Bonvi è rischioso e forse impossibile. Ma forse non è così complicato, in fondo. In un bell’articolo come quelli che si facevano una volta, pubblicato dal Corriere della Sera l’11 dicembre del 1995, a poche ora dalla sua tragica scomparsa, Cesare Medail scrisse di Bonvi una bellissimo ritratto in cui infilò una considerazione perfetta: «se la biografia di Bonvicini può apparire quella di un uomo contraddittorio, incoerente, un mixer goliardico-dannunziano scaturito chissà come dall’underground della via Emilia», scrive Medail, «a ridargli coerenza restano le sue opere». E, tra queste, svetta Sturmtruppen.
Se uscisse in tempi come quelli che stiamo vivendo, di furiosa miopia collettiva, un fumetto come Sturmtruppen rischierebbe quasi per essere preso come un fumetto contro la guerra o contro il nazismo. E invece, il capolavoro di Bonvi, inventato dal disegnatore emiliano durante una cena a base di gnocco fritto con amici, ormai 50 anni fa, e lanciata a un concorso — poi vinto — di Paese Sera, sono molto, molto di più.
«Se escludi il contesto della guerra di trincea», conferma sua figlia Sofia, curatrice della mostra di Bologna, «Sturmtruppen parla di tutti noi, perché fondamentalmente racconta le vicende quotidiane di un esercito che combatte una guerra perenne contro un nemico che non si vede mai. È la nostra lotta contro il sistema, contro le nostre paure, contro i nostri vizi».
Le parabole a strisce dei soldaten di Bonvi, la cui sfiga maldestra li avvicina senz’altro più all’esercito tricolore del film Mediterraneo che alle spaventose SS, se proprio vogliamo restare nel mondo militare, sono immortali. Lo sono perché sono un ritratto talmente perfetto della surreale idiozia della vita, dell’umanità e del potere, da poter sopravvivere tranquillamente nei secoli dei secoli.
Tafanata dal disagio e dal fango, inquadrata da paradossali regole kafkiane, combattuta grottescamente da fermi, senza mai avere a che fare veramente con il nemico, che è quasi più il capo di turno che un esercito armato. La guerra di trincea che fa da ambientazione alle migliaia di strisce che Bonvi ha scritto e disegnato dal 1968 alla sua morte resiste al tempo perché è la metafora dell’Italia. Di ieri, ma anche di quella di oggi: un paese parodia di se stesso, la cui costante è la miseria umana, l’autocommiserazione, la sfiga e l’idiozia di una classe dirigente inetta e di una popolazione di disadattati.
Sturmtruppen è il Boris del fumetto. Come con la geniale serie televisiva, anche nel teatrino di Bonvi puoi sostituire ai soldaten qualsiasi disgraziato di qualsiasi settore produttivo e sociale dell’Italia che il prodotto non cambierà. E non c’è trucco, né inganno. È solo che gli ingredienti della tragicomica società in cui viviamo sono sempre gli stessi: ipocrisia, frustrazione, disagio, rassegnazione, meschinità, maldestrezza, idiozia, conformismo. Possono passarci sopra i decenni a questa roba, ma non perderà mai un grammo della sua attualità.