Storie di successoFreeda, il femminismo pop è diventato un successo editoriale

È stato definito il fenomeno mediatico del 2017. Ecco cosa si nasconde dietro le storie e i social della startup coloratissima che si pone l’obiettivo di riempire il “buco” nel mercato dell’informazione femminile della generazione millennial

L’hanno chiamato “il fenomeno mediatico del 2017” e “il punto di riferimento sui social per le giovani donne”. Se appartenete al gentil sesso e avete meno di trentacinque anni, ci sarete incappate sicuramente sui social: Freeda, la nuova startup editoriale femminista in versione “pop”. Vale a dire, una coloratissima e disinvolta vetrina social dove le ragazze sono il perno di un universo in transizione. E dove non mancano nemmeno i gattini.

Freeda, dal canto suo, si definisce “un progetto, e un mondo, fatto di persone che vogliono cambiare le cose, rompere gli schemi e dar vita a una nuova era per il mondo femminile”. E in effetti il format scardina quella che è stata la classica impostazione dell’informazione fino ad oggi. Tutti i contenuti, dagli articoli ai video (brevi e molto attrattivi) vengono pubblicati ad altissima frequenza sui canali social (quelli dove le ragazze trascorrono buona parte delle loro giornate), raggiungendo il target direttamente nel proprio feed a suon di sponsorizzazioni massicce. Il sito, infatti, altro non è che una landing page per rimandare direttamente a notizie fruibili come “instant articles” sui social network.

I numeri, per una “testata” nata nemmeno due anni fa, sono quasi da capogiro: 1,5 milioni di like su Facebook, 900mila follower su Instagram e 36mila su YouTube (il canale lanciato più di recente), con 24 milioni di profili unici raggiunti, di cui oltre la metà di sesso femminile, e 30 milioni di visualizzazioni video al mese. Ma chi si cela dietro al successo di Freeda? E soprattutto, con quale strategia è arrivata a bucare il web in maniera così plateale?

Fondata da Andrea Scotti Calderini, ex direttore della divisione crossmedia e branded entertainment di Publitalia, e da Gianluigi Casole, proveniente invece da Holding Italiana Quattordicesima, oggi H14 (anche questa della famiglia Berlusconi), Freeda si pone l’obiettivo di riempire il “buco” nel mercato dell’informazione femminile della generazione millennial, puntando a diventare “la voce più forte e indipendente delle donne tra i 18 e i 34 anni”.

Un progetto, e un mondo, fatto di persone che vogliono cambiare le cose, rompere gli schemi e dar vita a una nuova era per il mondo femminile

A partire dal nome – nelle intenzioni dei fondatori, Freeda è il femminile di freedom – la mission è infatti di trasmettere «il cambiamento epocale che sta accadendo alla condizione femminile», come spiega la editor in chief Daria Bernardoni. Come? Raccontando «storie di donne che hanno rotto barriere e migliorato la società grazie alla loro forza». Così, basta scorrere il “muro” di Freeda su Facebook per incontrare le storie di personalità tra le più diverse, da scienziate a make up artist, da attrici a sportive, che con il loro lavoro e i loro sogni hanno contribuito a cambiare il destino di tutte le donne.

Perché, soprattutto, Freeda punta a ispirare. E lo fa, da un lato, adottando quella filosofia tutta americana secondo cui l’individualità e l’aspirazione personale sono la chiave del successo, e dall’altro trattando anche i temi più vicini agli interessi delle ragazze contemporanee, dal semplice “che cosa regalo a Natale?” al “Come capire se sei innamorata”, mescolati a tematiche più impegnate come l’omosessualità, l’aborto e il matrimonio.

Il modello di business, malgrado il successo suggerisca l’adozione di una complessa strategia, è in realtà molto semplice e basato sull’offerta di servizi di comunicazione e marketing per aziende, orientati al target di riferimento. In sostanza, attraverso contenuti ad hoc, branded content e pubblicità nativa, i brand (principalmente nel settore moda, bellezza e beni di largo consumo) possono acquisire visibilità e ulteriori clienti.

Freeda è il femminile di freedom: la mission è infatti di trasmettere “il cambiamento epocale che sta accadendo alla condizione femminile”, come spiega la editor in chief Daria Bernardoni

Naturalmente, contro questo sistema non è mancato chi ha puntato il dito, chiamandolo «un progetto editoriale iper-aggressivo dove i contenuti femministi o pseudo-tali funzionano come cavallo di Troia per diventare parte delle “conversazioni” delle giovani millennial, in modo poi da vendere l’enorme quantità di dati così ottenuti alle imprese che vogliono sfruttare quel target per le proprie strategie aziendali». In due parole, una sorta di «pinkwashing corporativo» che sfrutta gli interessi delle ragazze per aumentare i propri introiti.

Stando alle dichiarazioni dei fondatori, però, il contenuto pubblicitario oggi pesa solo per il 10% sui contenuti. E in ogni caso non sembra che il management abbia una particolare motivazione a nascondere le proprie aspirazioni espansionistiche, anche a livello territoriale. A maggio di quest’anno la startup ha raccolto 10 milioni di dollari di investimento (nel round di finanziamento sono stati coinvolti il fondo francese Alven Capital, la società di investimenti U-Start e i business angels Stefano Sala di Publitalia, Henri Moissinac, ex head of mobile di Facebook, e Paloma Castro Martinez, ex global director corporate affairs di Lvmh), per un processo di internazionalizzazione partito dalla Spagna e che arriverà a toccare diversi paesi dell’Europa e dell’America latina. «Il nostro obiettivo è accrescere la nostra offerta di contenuti premium a utenti e partner, differenziando ed espandendo il nostro modello di business. Oggi il branded content è la nostra prima fonte di ricavo», aveva dichiarato il fondatore Casole.

Non solo: tra i piani della startup ci sono anche la distribuzione di nuovi contenuti ad Amazon e Netflix e il lancio di nuove forme di capitalizzazione come prodotti, eventi o esperienze a pagamento. L’obiettivo finale? Quadruplicare il fatturato, che già alla fine del primo anno aveva raggiunto 1 milione di euro, e «costruire un media brand per le donne di tutto il mondo», secondo le parole di Scotti Calderini.

Geniali e astuti o brutti e cattivi, insomma? Per il momento, Freeda si è piazzata tra le dieci startup finaliste dello StartupItalia! Open Summit 2018, vincendo lo Special Award Media, e la sua crescita sembra inarrestabile. Con un successo così (i contenuti pubblicati registrano tassi di interazione mensili tra i più alti al mondo nel segmento dell’editoria femminile) forse nemmeno Chiara Ferragni avrebbe potuto fare di meglio. Applausi ai gattini, dunque.

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