Fra poco meno di due mesi sarà un anno dacché le Elezioni Politiche del 2018 ci hanno detto che si era pronti a entrare in un mondo nuovo e che, in questo mondo nuovo, non ci sarebbe più stato posto per la sinistra — e soprattutto per il centrosinistra — così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’anni. Possiamo prendercela con gli elettori che hanno voltato le spalle a ogni partito dell’arco progressista (dal Pd a Potere al Popolo), possiamo prendercela con lo Spirito del Tempo che da anni sta spingendo verso forme di rappresentanza inedite e modalità di costruzione del consenso così spregiudicate da rendere l’inaudito plausibile, ma sono solo scuse cui non crede più nessuno. Dopo un anno da quel voto che ha solo ratificato un cambio di paradigma fondamentale in atto da molto più tempo (e in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Brasile) c’è una sola cosa che non è cambiata, ed è la sinistra in Italia.
A marzo scrivevo su questo giornale che lo scenario avrebbe potuto rappresentare una possibilità di rinascita per la sinistra. Era l’ennesimo Anno Zero. Il più grande fallimento della storia recente doveva diventare l’occasione per ripartire. Resettare i gruppi dirigenti, fare un discorso serio sulle ragioni della sconfitta e rinnovare la piattaforma tematica. Ovviamente, niente di tutto questo è stato fatto. Questi partiti, stringi stringi, sono stati puniti non solo per politiche percepite come distanti dalle “esigenze della gente” (formuletta vuota che non vuol dire niente ma che funziona quando hai contro partiti come i Cinque Stelle, che possono usarla a piacere risultando credibili) o per un atteggiamento arrogante e sprezzante (da sempre il peccato originale che nessuno perdona al politico italiano), ma anche perché non hanno avuto veramente niente da dire. In anno in cui si potevano fare moltissime cose si è preferito concentrarsi sulla rivendicazione stizzita, sul più italiano dei rosicamenti (fino al paradosso di un Pd che attacca la Lega sul decreto sicurezza risultando più di destra di Salvini; oppure che attacca i Cinque Stelle accusandoli di fare esattamente come il Pd sulle banche: wait, what?) e sul vero problema insito nella classe dirigente di tutta la sinistra italiana: il politicismo.
I resti di LeU – che doveva danzare sulle macerie del renzismo e invece si è ovviamente andato a frantumare nella sua stessa inconcludente – che aspettano una vittoria di Nicola Zingaretti al congresso del Partito Democratico. Congresso di cui non sta parlando nessuno e che sta vedendo uno stanco balletto attorno a nomi e “chi sta con chi” tra il governatore del Lazio, il segretario reggente uscente Maurizio Martina, il tenutario dell’ortodossia leopoldina Roberto Giachetti (in tandem con Anna Ascani, e un giorno sarà il caso di parlare seriamente del maschilismo della sinistra italiana), quel Dario Corallo che forse è stato l’unico a non avere niente da perdere per attaccare tutto senza preoccuparsi del tornaconto elettorale e Francesco Boccia, che chissà che fine ha fatto. Nessun programma, nessun tema, nessuna parole chiave o prospettive per il futuro. Di speranza e attrattiva nemmeno a parlarne. È come se il Partito Democratico si sia ormai rassegnato a una irrilevanza incompatibile con la sua missione storica (l’unione dei riformismi e la vocazione maggioritaria). Altri tempi. Vi ricordate quando il congresso del Partito Democratico sembrava l’anticamera per i governo del paese, riusciva a dettare l’agenda della discussione pubblica e non serviva solo per determinare i pesi interni in vista delle prossime elezioni europee? Europee che vedranno la galassia “espansa” a sinistra del Pd coagularsi attorno all’ennesimo Uomo Forte capace di accentrare su di sé tutta l’attenzione e redistribuire un po’ di posti nella speranza di superare quel solito e psicologico 4% a cui sembra ormai condannata. Luigi De Magistris, che dovrebbe guidare questo ennesimo cartello destinato a sciogliersi il giorno dopo, doveva rappresentare il nuovo, ma non è riuscito a guadagnarsi l’attenzione necessaria per essere veramente percepito come alternativo.
Vi ricordate quando il congresso del Partito Democratico sembrava l’anticamera per i governo del paese, riusciva a dettare l’agenda della discussione pubblica e non serviva solo per determinare i pesi interni in vista delle prossime elezioni europee?
Così come nessuno si interessa più del destino di chi per anni è stato visto come il problema numero 1 della sinistra. Proprio lui, Matteo Renzi. Poche settimane fa tutti davano per certa una scissione, lo strappo a destra in cui l’ex Presidente del Consiglio dava vita al suo nuovo soggetto (è circolato pure un nome: Cittadini ) da costruire insieme alla “società civile”, probabilmente quella che oggi sarà in piazza a Torino a sostenere un sì indiscriminato a tutto, e ai delusi di Forza Italia. Oggi nessuno ne parla più, e forse anche da qualche parte tra Roma e Firenze qualcuno ha visto sondaggi non proprio incoraggianti.
Così, mentre in Inghilterra Jeremy Corbyn sta ricostruendo il Labour lavorando sulla classe dirigente del domani e ponendo le basi per un nuovo partito socialista e laburista; mentre negli Stati Uniti l’opposizione a Trump riparte da Alexandria Ocasio-Cortez, il suo socialismo pop e le sue proposte di tassazione per i più ricchi; mentre in Spagna Podemos governa con i socialisti garantendo al partito di Pedro Sánchez una stampella a sinistra necessaria in tempi di risveglio degli impulsi più abbietti e conservatori della società (la rivista Jacobin ha recentemente indicato in Vox un pericolo concreto per il ritorno del fascismo nel continente), la sinistra in Italia — proprio lì dove ne avrebbe più bisogno — non sta facendo e non sta dicendo niente.
E nel non dire niente si sta attaccando a qualsiasi cosa che sia in grado di essere un po’ opposizione. La Chiesa Valdese che accoglie i migranti; Papa Francesco che sottolinea l’importanza della solidarietà umana; Sergio Mattarella, unico faro in questa lunga notte (a conferma che la sinistra democristiana ha superato lo scoglio del secolo molto meglio di chi stava nel PCI e ancora si ostina ad una stanca ostalgie); ma anche Rino Gattuso, colonnello berlusconiano la cui massima opposizione è stato dire al ministro dell’Interno di occuparsi di politica, e Claudio Baglioni, non certo il più politicizzato tra i cantanti italiani, che ha detto parole di assoluto buon senso contro la gestione dei migranti da parte del governo.
La sinistra oggi è ridotta a un meme che vive nelle pagine e nei gruppi Facebook in cui quei pochi ragazzi rimasti cercano disperatamente di contrastare il bomberismo e il salvinismo culturale (una prevaricazione fessa propria di un bullismo alla Nutella) a colpi di citazioni ironiche, sarcasmo spuntato e citazioni che non capisce nessuno senza costruire nessun tipo di massa critica né possibilità di convertire la risata digitale a consenso reale
Il problema è che questo vuoto politico non risponde a una domanda che nella società c’è. Ed è una domanda di equità, di superamento dei problemi legati alla deriva incontrollata del capitalismo (e le disuguaglianze che ha generato), di sicurezza che però dovrebbe essere sicurezza sociale e non deriva securitaria che crea solo ulteriore divisione e rabbia. L’idea di sinistra in questo paese esiste, ma non esiste nessuno in grado di incanalare e offrire una visione alternativa alla società immaginata dal Movimento 5 Stelle, dalla Lega Nord e dai loro rispettivi partiti sovranisti e populisti in giro per l’Europa e per il mondo. E il vero dramma è che degli attuali partiti di sinistra non interessa più niente a nessuno.
Il congresso del Pd? Relegato nelle pagine di politica interna dei giornali. Il destino di LeU? Nessuno si ricorda nemmeno più che cosa fosse LeU. I movimenti spontanei in giro per il paese? Buone pratiche che però non sono in grado di guadagnarsi nessun ruolo da protagonista. I vari partiti e partitini? Atomi destinati a scomparire. La sinistra oggi è ridotta a un meme che vive nelle pagine e nei gruppi Facebook in cui quei pochi ragazzi rimasti cercano disperatamente di contrastare il bomberismo e il salvinismo culturale (una prevaricazione fessa propria di un bullismo alla Nutella) a colpi di citazioni ironiche, sarcasmo spuntato e citazioni che non capisce nessuno senza costruire nessun tipo di massa critica né possibilità di convertire la risata digitale a consenso reale.
La citazione dell’interregno di Gramsci è una delle più abusate ma efficaci per descrivere l’attuale situazione. Ma nella spoliticizzazione dell’Italia preconizzata da Pier Paolo Pasolini i Mostri non solo hanno prosperato, ma si stanno prendendo tutto. Quella domanda di sinistra rimarrà inevasa, bloccata da qualche parte nella nostalgia di un futuro perduto e un posizionamento politicista intelligentissimo ma che là fuori — tra le famose “persone” che una volta a quei partiti addirittura si iscrivevano — non interessano davvero a nessuno. E dopo un anno di insopportabile melina comincia a venire il dubbio che alla domanda “che fare” l’unica risposta da dare, ormai, sia “niente”.