C’è stato un momento in cui a dispetto della tradizionale scarsa simpatia italiana per la globalizzazione è stata proprio questa a salvarci, o meglio ad attutire la caduta. Durante la crisi del 2011-2013, più duratura e profonda, seppure meno acuta, di quella del 2008-09, fu il commercio estero l’unico a presentare il segno più mentre consumi e investimenti crollavano. Fu un’ancora di salvataggio che si dimostrò duratura. Le esportazioni in aumento furono determinanti anche all’inizio della fase di ripresa dell’economia, dal 2014 in poi.
Oggi siamo all’inizio di un’altra fase di recessione, ogni giorno giungono conferme in tal senso. Anche non volendo affrontare le ragioni che stanno sotto a questa nuova crisi una cosa appare certa. Non ci sarà più il commercio estero a salvarci. Non avremo questa arma al nostro fianco. Non si tratta solo di colpa nostra, vero, il rallentamento dell’economia mondiale, peggiorato dai venti protezionisti che soffiano da ogni dove e si rinforzano a vicenda, influisce. Tuttavia il mancato aumento della produttività in questi anni non può non avere avuto alcun ruolo. Già nel 2017 e 2018 il nostro saldo commerciale con l’estero ha subito dei cali. Nel 2018 si è tornati sotto i 40 miliardi di euro, al di sotto anche dei livelli del 2014 e del 2015. È un peggioramento che ha interessato anche gli altri Paesi, quelli in attivo, come la Germania, e quelli in deficit, come Spagna e Francia.
Tuttavia questi Paesi non stanno affrontando una nuova recessione. In diversi casi stanno avendo un semplice rallentamento. Siamo gli unici ad avere già visto il segno meno davanti alle cifre sulla crescita del PIL per due trimestri consecutivi. Ma è significativo soprattutto che il peggioramento del nostro saldo commerciale sta avvenendo quasi solo nei confronti dei partner extra-europei.
Nel 2018 il nostro è stato l’arretramento più grande, maggiore anche di 10 miliardi, superiore anche a quello della Germania, che avendo un attivo imponente aveva più da perdere. I Paesi extra-europei sono quelli che più stanno crescendo, e nonostante i possibili rallentamenti cresceranno sempre più della vecchia Europa, se non altro grazie a dinamiche demografiche molto più vivaci, a proporzioni molto più alte di popolazione giovane. Essere più fragili proprio di fronte a questi Paesi, nei confronti dei quali si concentra la gran parte del nostro attivo, è più grave.
Se analizziamo l’andamento dei saldi verso i Paesi extraeuropei mese per mese, vediamo chiaramente che è verso la fine del 2018 che ci sono stati i cali maggiori, a testimonianza del fatto che si tratta di un fatto collegato con il recentissimo peggioramento, anche oltre le previsioni, della congiuntura economica. E anzi, non solo il commercio estero non ci salverà dalla recessione, ma è probabilmente questa volta un fattore di aggravamento. Tra l’altro proprio negli ultimi mesi dell’anno siamo stati spesso superati dalla Francia quanto a saldo attivo.
A dimostrazione del probabile ruolo del deterioramento della nostra produttività e competitività vi è anche il confronto tra i trend delle esportazioni e delle importazioni. Nel 2018 l’Italia, come la Spagna, ha avuto un aumento delle importazioni dai Paesi extra-europei superiore a quello di Francia e Germania di più di tre punti. Tra 2013 e 2016 nella gran parte dei casi avevamo messo a segno i cali maggiori invece. Allora era stato anche a causa della crisi dei consumi. Ma nel 2018 l’Italia non ha certo vissuto un boom, nè è cresciuta più di Germania e Francia. Piuttosto possiamo affermare che dal punto di vista energetico è più soggetta alle variazioni dei prezzi di gas e petrolio, e che la competitività delle imprese da un lato ne risente, dall’altro non è in grado di compensare abbastanza questo handicap, come si vede dalle esportazioni che sono cresciute meno che negli altri Paesi
Il fronte del commercio intra-UE appare più tranquillo, siamo sempre stati primi o secondi tra i 4 Paesi più importanti dell’eurozona quanto a crescite annuali dell’export. Non c’è quindi il problema di una fantomatica austerità tedesca che avrebbe danneggiato l’Italia come da ormai tanti anni si paventa. Non è l’Europa il problema, è inutile lamentarsi della scarsa domanda tedesca o nordeuropea chiedendo maggiori deficit a quei Paesi che riescono a mantenere una disciplina di bilancio e contemporaneamente crescere bene. C’è un mondo oltre l’Europa che dovremmo essere in grado di aggredire maggiormente. Non dipende solo da noi, ma non stiamo facendo nulla per essere veramente competitivi. E questo potrà solo peggiorare la nostra nuova recessione.