Le giornate ormai si sono decisamente allungate. Lo dico a ragion veduta, perché ancora alle sette c’è il crepuscolo, nello specifico un cielo tra il rosa e il viola che lo guardi e ti metti a piangere come neanche la canzone di Daniele Silvestri e Rancore.
Lo guardo dal mio rifugio, qui sulla strada che si inerpica verso l’autostrada, a un paio di chilometri dall’Ariston.
Sanremo, per chi non la conoscesse, è una cittadina piuttosto strana. Praticamente la attraversa una sola strada, con poche variabili, strada che, durante la settimana del Festival diventa più trafficata del set di una gang bang.
Perché, strano a dirsi, ma durante il Festival di Sanremo, Sanremo diventa il Festival. Come succede con le infiltrazioni in una casa fatta prevalentemente di parquet, capace che non te ne accorgi, poi ti alzi e trovi le assi tutte sollevate, incurvate, ormai è tutto bagnato, umido.
Tutti parlano del Festival, in giro, nei bar, per le strade. Anche le vetrine dei negozi parlano del Festival, come quegli inquietanti cartonati con cui volendo qualcuno, un qualcuno con qualche problema, si fa un selfie.
Anche il conflitto di interessi è sulla bocca di tutti. Quasi a ogni uscita Baglioni lo cita. Anche durante le interviste e le conferenze stampe. Spesso facendo battute sceme, atte dal suo punto di vista a anestetizzare il tutto, in realtà chiaro segno di nervosismo. Nervosismo che aleggia ovunque, dietro le quinte, nei Vito fermi davanti agli hotel
Io non sono esattamente la persona che si vede più spesso in giro in questi giorni, per ragioni che se avete seguito i nostri articoli non faticherete a capire, ma ogni tanto mi va di respirare l’aria che tira, ma oggi ho deciso di andare verso Casa Sanremo a piedi, attraversando praticamente tutto il centro cittadino. Il risultato è stato esaltante. Primo perché ho capito come non ci sia niente come la televisione per renderti popolare. No, non parlo di popolarità di nicchia, di quelle che magari si sviluppano geograficamente o in certi segmenti sociali. Parlo proprio della popolarità vera, quella per la quale tutti, ma proprio tutti tutti sanno chi sei, conoscono il tuo nome, la tua faccia, chi sei e cosa fai o hai fatto. E l’ho capito senza neanche bisogno di fermarmi a parlare, ma semplicemente camminando e ascoltando, guardando le facce della gente.
Fermi tutti, non sto certo parlando di me. Che io sia una fottuta rockstar, altro che Achille Lauro o Morgan, è cosa nota già da tempo. Sto parlando del vero protagonista di questo Festival, o almeno coprotagonista: Ferdinando Salzano. Il suo nome è sulla bocca di tutti, evocato, pronunciato, chiacchierato. Anche il conflitto di interessi è sulla bocca di tutti. Quasi a ogni uscita Baglioni lo cita. Anche durante le interviste e le conferenze stampe. Spesso facendo battute sceme, atte dal suo punto di vista a anestetizzare il tutto, in realtà chiaro segno di nervosismo. Nervosismo che aleggia ovunque, dietro le quinte, nei Vito fermi davanti agli hotel come in quelli in giro, nei luoghi dove sono dislocate le postazioni radio su Sanremo, suppongo in sala stampa, se mai ci fossi andato potrei dirlo con maggiore sicurezza. Si legge di porte sfasciate negli alberghi, si legge di cantanti nervosi duranti le interviste, si legge di una compatta controffensiva dei mangiatori di tartine, tutti lì a sminuire, a esaltare l’inesaltabile, a fare da coro laddove dovrebbero fare le voci soliste.
Io, che voce solista sono, passeggio sul lungo mare, e penso che in fondo Sanremo è Sanremo anche per questo, per quella capacità unica di monopolizzare l’attenzione di tutti per una settimana, senza mai avere davvero qualcosa da raccontare. Come un Twin Peaks da cui è impossibile scappare, anche qui con nani che parlano al contrario e con padri che diventano mostri assassini. Solo con un clima decisamente migliore.