Agroalimentare: per l’Ue la sostenibilità vale 10mila miliardi (ma l’Italia la snobba)

La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha presentato il Rapporto strategico annuale su 17 obiettivi che entro il 2030 puntano a rendere il nostro pianeta un posto più giusto e vivibile. Dal cibo all’agricoltura, dall’energia, allo sviluppo urbano. Un potenziale ancora ignorato dalla politica

PHILIPPE HUGUEN / AFP

La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha presentato il Rapporto strategico annuale sull’implementazione e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) entro il 2030 promossi dalle Nazioni Unite. I 17 obiettivi e i relativi 169 sotto-obiettivi, noti anche come Agenda 2030, mirano a rendere il nostro pianeta un posto più giusto e vivibile, intervenendo su una pluralità di aspetti: dalla povertà alla fame, dalla salute ai cambiamenti climatici, dall’istruzione all’uguaglianza sociale. Il rapporto presentato dal Parlamento UE sottolinea esplicitamente che «raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile nell’area del cibo, dell’agricoltura, dell’energia, dello sviluppo urbano e della salute potrebbe aprire opportunità di mercato superiori a 10mila miliardi di euro». Nonostante l’immenso potenziale, però, questa opportunità non ha ricevuto finora l’attenzione che meriterebbe, soprattutto nel nostro Paese.

Il tema della sostenibilità non è certo una novità per l’Unione europea, ma è attraverso la definizione degli SDGs da parte delle Nazioni Unite che esso è diventato centrale nell’agenda politica comunitaria, anche alla luce degli impegni internazionali assunti dai vari Stati membri. Questi impegni si fondano sulla consapevolezza che il pianeta in cui viviamo dispone di risorse limitate e che quindi ogni attività posta in essere dagli esseri umani dovrebbe fondarsi su un’organizzazione strategica più efficiente dal punto di vista della sostenibilità ambientale, economica e sociale. L’obiettivo delle istituzioni europee è raggiungere i target di sviluppo sostenibile individuati dall’Onu entro il 2030 con risultati equamente distribuiti tra tutti gli Stati membri, senza lasciare nessuno indietro. Per fare ciò, è necessario che le politiche decise a livello internazionale e comunitario trovino effettiva attuazione all’interno degli Stati membri, per poi scendere ulteriormente lungo questa sorta di “piramide della sostenibilità” fino ad arrivare agli enti locali e ai singoli cittadini e alle imprese.

Un prodotto realizzato in maniera più sostenibile e in grado di raggiungere i target degli SDGs deve valere di più di un prodotto che invece non rispetta queste regole


Raffaele Maiorano

Da ormai diverso tempo, infatti, la figura dell’imprenditore agricolo e agroalimentare è cambiata, ed è impossibile tornare indietro. La politica agricola comunitaria (PAC), in relazione al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, pur mantenendo al centro l’assicurazione del reddito per gli agricoltori, riconosce la nuova natura dell’imprenditore agricolo che, infatti si pone al tempo stesso come attore che, da un lato, garantisce una produzione agroalimentare sostenibile (ad esempio mantenendo un alto livello di sicurezza alimentare) e, dall’altro, fornisce anche beni pubblici e servizi ecosistemici (ad esempio tutela il patrimonio ambientale, produce – auspicabilmente sempre di più – energia rinnovabile, recupera gli scarti di produzione secondo un modello di economia circolare ecc.).

Il tema della sostenibilità, tuttavia, non può essere affrontato solamente a livello di governance e di policies, ma occorre che quest’ultime siano capaci di incentivare le imprese a investire nella sostenibilità ambientale, economica e sociale. In altre parole, leggi e norme sono sicuramente uno strumento importante per il raggiungimento di questi obiettivi, ma l’impresa oggi vede calare dall’alto regole e non percepisce l’importanza degli SDGs stessi: la sostenibilità non deve “strozzare” gli imprenditori o obbligarli a sostenere nuovi costi, ma è effettivamente un’opportunità di investimento e di guadagno.

Di conseguenza, se l’obiettivo è rafforzare la capacità di produrre cibo o materie prime poi utilizzate per il food che siano il più possibile sostenibili dal punto di vista ambientale, è fondamentale che i prodotti che al termine del ciclo produttivo arrivano nelle mani dei consumatori possano godere di una maggiore valorizzazione. Un prodotto realizzato in maniera più sostenibile e in grado di raggiungere i target degli SDGs deve valere di più di un prodotto che invece non rispetta queste regole. Per raggiungere questo obiettivo risulta cruciale, da un lato, realizzare un’importante operazione di educazione e di informazione (che riguardi tanto il produttore quanto il consumatore) e, dall’altro, mettere in piedi un sistema di incentivi pubblici che facilitino gli investimenti in questo settore valorizzando gli sforzi degli imprenditori. Insomma, lo Stato può fare la sua parte con un’illuminante attività regolatoria, i cittadini-consumatori possono e devono informarsi, e le aziende devono affermare la propria centralità fondata sulla responsabilità. Le organizzazioni del settore, in primis Confagricoltura, sono pronte ad affrontare questa sfida. È ora che anche il governo e il legislatore facciano la loro parte.

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