Bastone e carotaIl premio Strega? Un inchino al consueto. Ecco chi dovrebbe vincerlo davvero

Il premio Strega dovrebbe scoprire nuove penne e stregare, invece è un Sanremo della letteratura: premia chi è già grande. L’edizione più bella? Fu quella in cui vinse “Il Gattopardo”. E solo perché Tomasi di Lampedusa era già morto. Ecco cinque nomi che meriterebbero veramente la vittoria

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Il bastone. Questo articolo si svolgerà per frammenti, in onore al geniale Ennio Flaiano, corrosivo corsivista, affascinante aforista, affabulatore onirico, che nel 1947 si pappò il Premio Strega – un premio più frantumato che frammentario – con un romanzo bellissimo, Tempo di uccidere.

*I Quattrocento “Amici della domenica” mi fanno l’effetto dei pittori della domenica: dilettantismo da fine settimana, idea della letteratura come ‘diletto’, come svago, come qualcosa di cui sparlare tra il Ninfeo, la tartina radicale, lo struscio di pelliccia della vecchia imbarbarita da troppa ricchezza.

*I Quattrocento “Amici della domenica” sono, in realtà, i nemici del linguaggio, vorrebbero, pure numericamente, essere i Parlamentari della letteratura, esigerebbero, fosse per loro, il trono da Onorevole, pensano di poter legiferare sulle patrie lettere, di poter governare i flussi digestivi dell’editoria. A questo punto, che siano democraticamente votati – o radiati.

*In realtà, chi non lo sa, in letteratura – per fortuna – non esiste la democrazia, ma il genio, che è sovrano. La democrazia, in letteratura, è il peggiore dei mali: basta ammirare quali idiozie svettano nelle classifiche librarie.

*I Quattrocento, in effetti, sono una oligarchia – e chi vince il Premio Strega, ogni anno, dal 1947, è soltanto uno, lui. Il premio, per sua natura, esige un re – non c’è il secondo, non c’è ‘consolazione’ né consolato tra i perdenti. Il premio istituisce una gerarchia.

*Non parlate di ‘gerarchia’ nelle fauste aule del Premio Strega, però: agli svampiti verrà in mente soltanto il ‘gerarca’, che è sempre fascista. Per questo, sfacciatamente, quelli del Premio Strega pigliano per il cu*o il prossimo, nominano una rissa di aspiranti allo Strega, che vanno facilmente in estro perché nessuno li ha cagati fino a un attimo prima, fino ad ora: ora la Fata Turchina della celebrità si è accorta di loro.

*Quest’anno l’ipocrisia dello Strega è da record: hanno nominato 57 aspiranti, manco fosse un concorso canoro, un reality qualsiasi.

*Non possono premiarne soltanto uno e basta? Fosse così, però, non ci sarebbe nulla di cui dire – di un premio non conta il premiato ma il pettegolezzo che c’è dietro. Lo scrittore, saltimbanco, petulante, si presta, a quattro zampe.

*Becera pratica per foraggiare le buone intenzioni di tutto il colosseo editoriale, tanto a fare fatturati colossali sono sempre i soliti.

*Facciamo una scommessa. Tra i 5 che si contenderanno lo Strega finirà quella storia modesta di scappatelle presunte di Marco Missiroli e il libro di Antonio Scurati, il quale, incapace di scrivere un romanzo intorno al tracotante phisique del Dux, ha optato per il libro di Storia, più noioso di un manuale scolastico (che ha il pregio hemingweyano, per lo meno, della sintesi).

*La cinquina dello Strega è come l’Oscar a Hollywood, il dicastero del politicamente corretto. Insieme agli scrittori paludati, plauditi e fotogenici – ma vincerà Missiroli, perché premiare Scurati significherebbe, implicitamente, omaggiare Mussolini – saranno ammessi in finalissima Laura Pariani (una donna ci vuole, la stampa Madama Sgarbi, ci vuole anche lei), Claudia Durastanti (una giovane donna ci vuole, stampa sempre Madama Sgarbi, propone quel volpone di Furio Colombo) e magari Nadia Terranova (propone ‘Pigi’ Battista, che non è proprio Contini ma neanche Proust, stampa Einaudi; una cinquina ‘al femminile’, si sa, favorisce i titoloni sui giornali). Per variare sugli abiti da sera, non mi spiacerebbe Mauro Corona. Lo ha proposto Aldo Cazzullo, ma cosa ci fa Cazzullo tra gli ‘Amici della Domenica’, gli Onorevoli della letteratura, ha scritto un capolavoro e me lo sono perso?

*Tutti dicono di non volere i premi, salvo scrivere romanzi ‘sanremesi’, propri allo Strega – e se dovessero vincere lo Strega, tutti a schernirsi, non me l’aspettavo, non me lo meritavo, mai nessuno che dica ciò che pensa, questo (mi auguro): non potevo che vincere io perché sono il più bravo, nessuno di voi è degno di leggere la mia opera, branco di porcelli analfabeti.

Facciamo una scommessa. Tra i 5 che si contenderanno lo Strega finirà quella storia modesta di scappatelle presunte di Marco Missiroli e il libro di Antonio Scurati, il quale, incapace di scrivere un romanzo intorno al tracotante phisique del Dux, ha optato per il libro di Storia, più noioso di un manuale scolastico (che ha il pregio hemingweyano, per lo meno, della sintesi)

*Tiziano Scarpa ha vinto il Premio Strega dieci anni fa, con Stabat Mater. Quando l’ho detto, in pubblico, si è un po’ piccato: mi ricordano sempre per un premio che mi è stato dato, non per ciò che ho dato io al mondo, per il fatto, chessò, che sono un uomo buono, che sono capace a fare qualcosa di buono. Già.

*70 anni fa ha vinto lo Strega Giovanni Battista Angioletti con La memoria, ne avete memoria? Appunto.

*Il Premio Strega nasce per convalidare l’ovvio, è un po’ una cretinata in patè: che senso ha premiare uno scrittore di fama? Italico vezzo: invitare a cena il personaggio illustre, inchinarsi al cospetto del consueto. Vent’anni fa il premio va a Dacia Maraini; trent’anni fa a Giuseppe Pontiggia; quarant’anni fa a Primo Levi; cinquant’anni fa a Lalla Romano. Tutti costoro non vengono ‘scoperti’ dal Premio Strega, hanno già stregato il mondo letterario con le loro opere.

*Il Premio Strega dovrebbe essere affare di stregoni, dovrebbe stregare, invece è un esercizio burocratico compiuto sul ciglio di un calice di champagne.

*Il 17 marzo i 57 candidati saranno passati al rogo del “Comitato del premio” – dove manca uno scrittore di genio – e scremati. Ne resteranno 12, alimentando l’ulteriore trama del perbenismo – vedrete, daranno contentino & biscottino a qualche piccolo editore, poveretto, così si crede figo. Sono 12 come i discepoli, tra questi uno sarà eletto in Paradiso, il Pietro su cui fondare il nuovo Parlamento della letteratura italiana. E il traditore? Il premio, in sé, è di per sé un tradimento.

*Ma perché allo Strega non premiano i poeti? Ah, è vero, la poesia non vende e il premio è servo del dio mercato, serve a far vendere qualche copia in più.

*60 anni fa il Premio Strega va al Gattopardo. Tomasi di Lampedusa era passato ad altra vita da un bel po’, l’hanno sepolto nel luglio del 1957. Fu l’edizione più bella. In assenza d’autore parla soltanto l’opera, i giornalisti non hanno di che chiacchierare e nessuno chiede allo scrittore un parere sul governo attuale o un autografo – che è la stessa cosa. Dovremmo premiare i morti, hanno l’eleganza di non fare chiasso.

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La carota. In questo caso, il gioco è svelto: vi spiattello la mia cinquina tra i 57 in lizza. Al posto delle tediose inettitudini sessuali del Carlo Pentecoste ipotizzato da Missiroli, per sopravvivere alla mascelluta noia del Mussolini reinventato da Scurati – e ridotto a livida macchietta – preferisco due romanzi diversamente storici. L’epopea di Magellano (Castelvecchi) firmata da Gianluca Barbera, dilagante, che divampa emozioni, e Verso Sant’Elena (Bompiani) di Roberto Pazzi, romanzo conchiuso, risolto – meno di 200 pagine, scrittura incisa nel diamante – che narra la vita di Napoleone dalla sconfitta, dalla chiatta su cui l’Imperatore è tradotto in esilio. Contro l’opacità civica che impera tra i protagonisti dei romanzi italici, poi, opto per Il risolutore (Rizzoli), il romanzo in cui Pier Paolo Giannubilo racconta, con sfavillante lingua dark, la storia – vera – di Gian Ruggero Manzoni. Amo senza condizioni, poi, la scrittura di Veronica Tomassini, che con Mazzarrona (Miraggi Edizioni) ha raccolto l’oro tra i perduti, ha deposto ceri e parole di lucidità tra gli indegni, dicendo gli indicibili con lo strazio di una mistica. Il quinto di cotanto convegno lo vado a scegliere oltre la frontiera dei 57. In effetti, mi sembra di astronomica cecità aver dimenticato di segnalare Il grande peccatore (Bompiani) di Ferruccio Parazzoli, che narra le oscurità inaccettabili e la vertigine di Dostoevskij e Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri) di Andrea Tarabbia, romanzo straordinario, dall’incastro magnetico – una lettera di Igor Stravinskij che dettaglia a un prof la scoperta di una biografia secentesca di Gesualdo da Venosa – che specula sui rapporti tra male e arte, tra delitto e purezza, tra crudeltà e perfezione. Un libro troppo complesso, troppo ‘romanzo’, forse, per accedere nel club degli illustri onorevoli.

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