Cultural StereotypeDi Maio e Salvini sulle riviste di gossip? È la politica che ci meritiamo

Al fidanzamento improvviso di Salvini risponde Di Maio con le foto a Villa Borghese insieme alla sua nuova fiamma. È la cara vecchia regola della distrazione di massa: quando le cose vanno male, meglio spostare l’attenzione altrove. Funziona sempre benissimo

In principio fu Matteo Salvini, che si presenta alla prima del Dumbo di Tim Burton con la sua nuova fidanzata, Francesca Verdini (figlia del discusso Denis) dopo aver raccontato a ogni occasione social possibile la sua solitudine in seguito alla rottura con Elisa Isoardi. Come da copione, gli risponde a stretto giro Luigi Di Maio, che si fa immortalare nei prati romani di Villa Borghese con Virginia Saba, che rilascia non una, non due, ma tre interviste esclusive sui tabloid più letti nelle sale d’attesa del paese reale (“Chi”, “Diva & Donna”, “Di Più”) dichiarando all’Italia intera il loro amore e i loro progetti.

Non è la prima volta che succede. Anzi. Non sorprende più nessuno che gli affari di cuore — e di letto — dei politici siano argomento di discussione pubblica. Dopo il cambio di registro e di paradigma imposto da Silvio Berlusconi sarebbe assurdo fare qualsiasi discorso sulla logica della politica come esercizio di moralità e del politico come esempio virtuoso (ad esempio quando alle foto di Carlo Calenda in costume da bagno si rispondeva ricordando come Aldo Moro volesse farsi ritrarre sempre in giacca e cravatta, pure al mare). Ormai è così. È la disintermediazione, e non c’è niente che possiamo fare. O no?

È una legge non scritta della comunicazione. È un meccanismo che conosciamo perfettamente e non dovremmo più cascarci. Invece, a quanto pare, continuiamo e forse continueremo a cascarci. Quando i tabloid dettano in qualche modo l’agenda mediatica vuol dire che qualcosa di grosso — e di brutto — sta capitando all’orizzonte

È una legge non scritta della comunicazione. Un meccanismo che conosciamo perfettamente e non dovremmo più cascarci. Invece, a quanto pare, continuiamo e forse continueremo a stare al gioco. Quando i tabloid dettano in qualche modo l’agenda mediatica vuol dire che qualcosa di grosso — e di brutto — sta capitando all’orizzonte. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

C’è ad esempio la difficoltà relativa alla crescita zero, dove la realtà (e i mercati) sbugiardano un anno di retorica e propaganda sul pensiero magico per cui grazie alle misure del governo del cambiamento avremmo avuto una crescita al 2%. Oppure ci sono le conseguenze che le generazioni future dovranno pagare su Quota 100 o il caos del Reddito di Cittadinanza. Oppure ci sono i sondaggi che parlano di un governo che non piace al 58,9% degli italiani. E che dire della perdita di consenso che ha subìto il Movimento 5 Stelle in favore dell’astensione (lato sinistra) e della Lega (lato destra) e, in parallelo, la perdita di credibilità che ha avuto la figura politica di Luigi Di Maio. Negli Stati Uniti dicono «when in trouble go big». Quando noi siamo nel panico, invece, la buttiamo nel gossip. Il privato diventa politico nella peggior modo possibile: svuotando la dimensione politica, assorbendolo dentro una comunicazione vuota, sacrificandolo sull’altare della propaganda. Qui non è nemmeno questione di populismo o antipolitica, è questione di paura.

Questo governo, più di ogni altro governo, vive sui social, sui giornali, nelle trasmissioni televisive. Legifera pochissimo, non discute mai in aula, non si fa vedere negli uffici ministeriali, ha consigli dei ministri che durano pochissimo (addirittura meno di un’ora, ogni tanto). Non fa, ma comunica tutto

Se il populismo è un significante “vuoto”, che si riempie di tutto quello di cui c’è bisogno per incontrare il favore della gente, e se la politica contemporanea si muove nello scenario della post-democrazia, per cui tutto è diventato prodotto da comunicare per vendere, si capisce come mai ogni politico faccia a gara per apparire più “pop”, più “smart”, più “vicino”, più “normale” degli altri (e questo piace, come ci racconta il successo di Salvini).

Un gioco a perdere che sottende al bisogno di innescare una propaganda permanente — dove ogni giorno bisogna inventarsi una distrazione per rintuzzare l’interesse dell’audience — e conquistarsi sempre un consenso che non si basa più sulle dinamiche classiche del voto di appartenenza. Un gioco a perdere perché c’è una grande assente, ed è la politica. Questo governo, più di ogni altro governo, vive sui social, sui giornali, nelle trasmissioni televisive. Legifera pochissimo, non discute mai in aula, non si fa vedere negli uffici ministeriali, ha consigli dei ministri che durano pochissimo (addirittura meno di un’ora, ogni tanto). Non fa, ma comunica tutto. Dalla dieta di Salvini alla palestra di Toninelli; dal corso di falegnameria di Di Battista — che non è nel governo ma ci siamo capiti — alla fidanzata di Di Maio, il contatto ossessivo e paranoico con l’elettorato (ogni commento su Facebook una scarica di dopamina; ogni complimento la certezza di fare bene; ogni abbraccio un placebo) andando oltre la sfera di un’azione legislativa riassunta negli slogan e nei tweet, il gossip, il bisbiglio, il rumore di fondo si è attestato come motivo intrecciato alla nostra quotidianità.

Dopo decenni di editoriali, appelli, articoli e analisi sulla deriva di questo modo di fare le cose, e considerando quanto funziona (foss’anche solo per criticare), viene quasi da pensare che se questa non è certamente la politica di cui abbiamo bisogno, è sicuramente la politica che ci meritiamo.