Immagini storicheNon scherzate: realizzare la foto del buco nero è stata un’impresa titanica

Nonostante il contorno possa sembrare sfocato, il lavoro dietro a un semplice scatto è gigantesco e difficile da immaginare per chi non è del settore. Un altro miracolo della scienza e della collaborazione degli esseri umani

EUROPEAN SOUTHERN OBSERVATORY / AFP

L’immagine del buco nero, anche se storica, è senza dubbio un po’ sfocata. Ma lamentarsi di questo sarebbe molto sbagliato. Tutto sommato, fotografare una pura distorsione dello spazio tempo non è semplice. Anche perché come tutti sanno (o meglio: calcolano), i buchi neri hanno una gravità così forte da non lasciar passare nemmeno la luce. Il risultato è che finora non esisteva un’immagine reale di un buco nero, anche se il concetto è stato popolarizzato da diversi film a tema fantascientifico (uno su tutti, Interstellar: qui il buco nero è una sorta di portale tempo-spaziale per i viaggi nell’universo).

Come illustra questo video, il lavoro dietro a un semplice scatto è stato straordinario. Anche solo dal punto di vista concettuale: il buco nero (si tratta del buco nero della galassia M87) è distante, enorme e, soprattutto, rende per sua natura difficilissimo mappare il suo orizzonte degli eventi, cioè quella “superficie limite oltre la quale nessun evento può interessare un osservatore esterno”. Sarebbe come, spiega il filmato, stare a New York e contare le palle da golf di un campo di San Francisco. Ma un trucco c’è, ed è proprio nei gas che, attratti dalla forza di gravità del buco, quando sono nei suoi pressi si scaldano tanto da emettere calore e, di conseguenza, luce. Ed è proprio quella luce a costituire il contorno del buco nero e, al tempo stesso, la testimonianza della sua esistenza.

Il problema, fino a oggi, era che proprio che queste onde arrivano sulla Terra quasi piatte. E, per rilevare un buco nero di quelle dimensioni, sarebbe servito un telescopio grande come la Terra. E noi, in un certo senso, lo abbiamo: è una rete globale fatta di più telescopi e da istituti di ricerca in tutto il mondo. Ogni telescopio è sincronizzato con orologi atomici, per ridurre la percentuale di errore, e tutti insieme hanno registrato le onde pervenute.

Il passaggio e l’unione di tutti i dati raccolti non è avvenuto via internet, troppo limitato per trasmetterli tutti, ma attraverso hard disk inviati presso un supercomputer che si è occupato di ricostruire le immagini. Solo quest’ultima ha richiesto due anni per essere messa a punto.

Tanto per capire che non si tratta di una Kodak.

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