A proposito del dovere volteriano di immolarsi per il diritto altrui alla bestemmia e al sacrilegio politico (o religioso), la discussione in corso – discussione è una parola grossa – orchestrata dai “liberali senza se e senza ma”, che darebbero la vita per il sacrosanto diritto di Altaforte di eccettera eccettera… mostra almeno tre macroscopici errori oggettivi, proprio in senso liberale. Di cui ai “liberali senza se e senza ma” non importa nulla, perché non solo – e ci verremo – non sono “senza se e senza ma”, ma non sono nemmeno liberali.
Il primo errore rimanda al popperiano paradosso della tolleranza, che portò il filosofo inglese a teorizzare il dovere dell’intolleranza con gli intolleranti. La tolleranza non è solo un sentimento o un dovere morale; è in primo luogo un sistema di governo del pluralismo e del conflitto culturale e sociale. Il problema della tolleranza è che deve “funzionare”, cioè deve servire a preservare i principi della società aperta, di cui è a un tempo un presupposto costituzionale e un’espressione culturale.
La tolleranza, cioè la massima apertura alla libera espressione del pensiero – di qualunque pensiero – deve servire a produrre tolleranza, cioè a contenere lo scontro delle idee e degli interessi in termini pacifici. Non è vero che dal punto di vista liberale sia, in ogni caso, doveroso accettare l’espressione di idee violente, a condizione che queste non siano materialmente “agite”. Ciò che porta a prediligere un atteggiamento più condiscendente o uno più restrittivo in questi casi è una valutazione di opportunità, legata alle conseguenze delle due alternative. In base a questo principio, ad esempio, si è scelto di discriminare pesantemente la libertà di parola degli integralisti islamici in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia, al punto che un editore o un autore che volesse plaudire alla “grandezza” dell’Isis con le stesse parole con cui Polacchi di Altaforte ha omaggiato la “grandezza” del fascismo rischierebbe ben di peggio che la semplice esclusione dal Salone del Libro o un processo per apologia di reato.
Altaforte non è stata censurata, non c’è stato alcun libro bruciato, non c’è stato niente di “repressivo” rispetto all’attività dell’editore e dei suoi autori.
Rispetto al paradosso della tolleranza è vero che i liberali hanno orientamenti pratici diversi e ve ne sono molti (e per quello che conta, io mi annovero tra questi) di orientamento più radicale, che preferiscono di gran lunga la tolleranza di opinioni intrise di violenza e spirito di sopraffazione, rispetto alla loro repressione legale, in considerazione delle conseguenze della scelta alternativa. Fare apparire, ad esempio, Polacchi un martire della libertà (cosa che non è) significa cadere in una contraddizione che consentirà ai nemici della tolleranza di segnare un punto importante, senza affatto preservare la società nel suo complesso dalla penetrazione di opinioni violente, cui proprio la repressione rischia di offrire la giustificazione di una resistenza eroica e necessaria. In generale, insomma, nelle società avanzate, la possibilità di arginare e neutralizzare queste opinioni è più legata alla ricchezza del dibattito civile, che a un uso intransigente del potere repressivo. La tolleranza, con tutti i suoi rischi, ha un diverso e migliore rapporto costi benefici. In ogni caso, anche questa è una valutazione di opportunità, che va verificata sul campo, non una mera posizione di principio.
C’è poi un’altra ragione, apparentemente “tecnica”, ma molto rilevante, che rende la repressione legale inefficiente ed è che gli spazi di comunicazione delle idee ormai, in larghissima misura, non sono più controllabili da parte del potere legale e dunque proibire la partecipazione di Altaforte al Salone del libro lo priva di uno spazio ufficiale, ma tutto sommato irrilevante, mentre l’esclusione in sé assume, su tutti i media, un riscontro e un significato generale che favorisce la diffusione delle opere e del brand dell’editore escluso. L’unico editore escluso dal Salone, infatti, è l’unico di cui sappiamo tutto, comprese le idee e le gesta del suo principale azionista.
Infine, c’è un’ultima ragione che fa prevalere la diffidenza liberale per l’utilizzo del potere repressivo rispetto al timore del contagio di idee violente. Per limitare la circolazione delle idee, bisogna legittimare un potere di intervento politico, che tende “naturalmente” all’espansione e ad essere utilizzato in modo sempre più arbitrario, con il rischio di essere “democraticamente” consegnato – lo vediamo proprio con Salvini– a un nemico della tolleranza, che lo userebbe per un fine opposto: imporre la non tolleranza dei tolleranti.
Per tutto queste ragioni, molti, tra cui il sottoscritto, avrebbero preferito una presenza di Altaforte al Salone del libro di Torino, dopo che gli era stato concesso uno stand di 10mq. Ma queste ragioni non c’entrano nulla con la denuncia della censura.
Per molti “liberali” Altaforte è un editore da difendere, perché CasaPound non è un nemico da combattere
Altro errore: Altaforte non è stata censurata, non c’è stato alcun libro bruciato, non c’è stato niente di “repressivo” rispetto all’attività dell’editore e dei suoi autori. La censura è vietare la pubblicazione o la diffusione dei libri, non rifiutare a un editore da parte di un ente culturale o fieristico lo spazio per uno stand. Non esiste un “diritto civile” a partecipare a una fiera – del libro, del mobile, del tartufo… – ed è perfettamente legittimo che l’ente che l’organizza valuti l’opportunità di concedere o meno lo spazio a un espositore. Anche in questo caso esiste un orientamento, che io prediligo, a organizzare gli eventi culturali e in generale l’attività di comunicazione secondo una logica onnicomprensiva e non esclusiva – diciamo: il “modello Radio Radicale” – sul presupposto che una rappresentazione quanto più aderente alla realtà del dibattito culturale sia quella in grado di difendere gli ideali del pluralismo e della tolleranza, anche dai suoi nemici interni, perché favorisce la pratica del confronto civile. Consentire un ampio spazio di parola, anche in ambiti dichiaratamente antifascisti, a un editore che rivendica le sante virtù del manganello e della violenza politica, può servire a neutralizzarlo più di una potenziale esclusione e a immunizzare l’opinione pubblica dal contagio dell’intolleranza. Ma questa neutralizzazione deve funzionare. E soprattutto non può fondarsi sull’idea irenica della “conversione” dell’intollerante grazie alle miracolose virtù del dibattito pubblico. Chi tiene il manganello in mano in una piazza, se lo porta in testa anche in un qualunque dibattito.
E veniamo al terzo errore. Nessuno di quei “liberali”, che non si sono limitati a giudicare un errore la scelta del Salone del Libro, ma hanno censurato la censura di Altaforte come una violazione di un diritto indisponibile, fino a paragonarla a un “rogo di libri”, avrebbe mosso un dito e detto una parola se un’analoga esclusione avesse toccato un loro nemico politico ovvero soggetti ritenuti, a differenza dei fascisti di CasaPound, davvero pericolosi per la tenuta dell’ordine democratico (per come pensano che tale ordine sia e vada difeso). Costoro non sono tolleranti radicali, ma paraculi liberali (termini che, in Italia, spesso sono sinonimi). Polacchi per loro è diventato una sorta di eroe anticonformista e un martire del “pensiero unico”, malgrado al centro dello scandalo vi sia il libro-intervista dell’assoluto padrone della politica italiana e un pensiero tutt’altro che di opposizione, ma ormai culturalmente egemonico, come dimostra la sinistra coincidenza tra l’esclusione di Altaforte dal Salone del Libro e le gesta squadristiche del suo partito di riferimento, CasaPound, a Roma contro una famiglia rom assegnataria di una casa popolare. Il problema – anzi, se mi posso permettere: il problema dei problemi – è che per questi “liberali” Altaforte è un editore da difendere, perché CasaPound non è un nemico da combattere. E con questo si torna dal cielo azzurrino dei principi ipocriti alla terra fangosa, ma vera della politica.