In Europa la sinistra radicale è moribonda, travolta anche dall’onda verde alle ultime elezioni europee. Secondi in Germania e Finlandia, terzi in Francia subito dopo Macron e Le Pen, quarti in Regno Unito dove superano i conservatori e oltre il 10% in Irlanda, Lussemburgo e Austria, aumentano in Belgio, Svezia, Paesi Bassi, ottenendo un seggio insperato in Portogallo nonostante il Pessoas-Animais-Natureza fosse abituato a percentuali da prefisso telefonico. Al Parlamento europeo saranno il quarto eurogruppo con 69 seggi, 19 in più dei 50 ottenuti nel 2014 e potrebbero entrare per la prima volta nella maggioranza con liberali, socialisti e popolari. La teoria di chi studia i fenomeni politici è che una parte rilevante del successo dei verdi sia dovuta alla contemporanea discesa della sinistra radicale che ha ottenuto solo 38 seggi su 751 e sarà l’ultimo eurogruppo dell’Europarlamento. In 14 stati su 28 l’estrema sinistra non esiste e solo in 7 Paesi UE ha ottenuto più di un seggio. Non è più vista come la novità in grado di cambiare lo status quo. L’elettorato storico e i giovani che votano per la prima volta hanno passato in parte ai verdi il testimone della politica capace di inseguire un’utopia. «La causa verde è trasversale, non impone di schierarsi in un recinto politico definito come invece spinge a fare il voto a sinistra. Per questo la causa ambientalista ha attirato con più facilità i giovani che tradizionalmente il primo voto lo danno a partiti radicali o comunque contrari allo status quo. I giovani di oggi non sono più legati alle ideologie classiche come destra e sinistra, non si sentono per forza legati a una comunità così ristretta» spiega Alice Masoni, ricercatrice di comunicazione politica alla Vrije Universiteit Brussel.
E dire che cinque anni fa esplose il fenomeno della sinistra populista: Podemos in Spagna e Syriza in Grecia, erano diventati il simbolo di una sinistra capace di attrarre i giovani e prendere tanti consensi. Da una parte il linguaggio populista e nazionalpopolare di Pablo Iglesias, dall’altro la promessa di Alexis Tsipras di liberare la Grecia dalla politica di austerity. Questi due modelli avevano portato alla nascita di partiti di sinistra radicale competitivi in tutta Europa: dalla Polonia alla Slovenia. Addirittura una lista senza classe dirigente ed elettorato con un leader straniero, L’altra Europa per Tsipras è riuscita a superare il 4% eleggendo tre eurodeputati.«Però la spinta propulsiva della sinistra radicale si è fermata con il referendum indetto da Tsipras nel 2015 per rifiutare il piano proposto dalla troika (Commissione europea, Banca Centrale Europea Fondo Monetario Internazionale,ndr) per ripagare i creditori internazionali in cambio di un nuovo finanziamento», spiega Jacopo Custodi dottorando di ricerca alla Normale di Pisa in scienze politiche e sociologia, specializzato nello studio della sinistra radicale e l’identità nazionale «Il 60% dei greci vota per il rifiuto ma Syriza in una notte ribalta il voto e ne approva uno uguale se non peggiore. Torna così nei ranghi, smettendo di essere un partito ribelle e abbandonando l’idea di cambiare lo status quo». Cinque anni dopo Tsipras è costretto a indire le elezioni perché Syriza è stato superato alle elezioni da Νέα Δημοκρατία. Non un partito qualunque, ma quello che che ha portato alla crisi dei conti pubblici in Grecia. Qualcosa è cambiato.
Neanche Podemos è messa meglio. Anche se resta il partito di sinistra più forte d’Europa ha abbandonato sempre più la componente di populismo di sinistra che ha garantito tanti voti in passato. «All’inizio usavanto messaggi ambigui e trasversali che potevano arrivare a tutti poiché generici: la lotta contro la casta e la corruzione sono due dei tanti temi studiati a tavolino da Iglesias con tanto di inchieste telefoniche e sondaggi per tastare il polso della popolazione», chiarisce Custodi. «Ora il discorso di Podemos è diventato più classista: parla molto più di welfare e politiche sociali, opponendosi alle grandi concentrazioni di ricchezze». Senza contare lo spostamento a sinistra del Partido Socialista Obrero Español di Pedro Sanchez che ha costretto il partito di Iglesias a posizioni sempre più radicali. «Il cittadino spagnolo di sinistra ma moderato si rivede in Sanchez anche perché Podemos si è mostrato molto vicino alla questione catalana e la maggior parte della popolazione spagnola è favore della Spagna unita. A questo bisogna aggiungere la paura dell’ottimo risultato alle elezioni nazionali di Vox, il partito di ultradestra, che ha fatto scattare l’idea del voto utile a favore dei socialisti visti come unico argine», spiega Masoni.
Il vero flop è stato quello di Diem25, il movimento paneuropeo fondato dall’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis per creare una terza via politica tra l’austerità e l’antieuropeismo ma non ha eletto neanche un eurodeputato
L’altro partito della sinistra populista in crisi è La France Insoumise, creato nel 2016 da Jean-Luc Mélenchon che alle elezioni presidenziali arrivo quarto, ma a soli 500mila voti al ballottaggio, superato di pochissimo da i repubblicani di Fillon e l’ex Front National di Marine Le Pen. Due anni alle elezioni europee del 26 maggio ha preso solo il 6% (e sei seggi), come i socialisti nonostante abbia provato ad attrarre i voti dei gilet gialli proponendosi come riferimento politico «Mélenchon era considerato troppo radical chic per i gilet gialli, troppo intellettuale per essere considerato da loro un’alternativa all’elite di Macron», spiega Masoni. Alle ultime elezioni europee invece sono arrivati terzi Le Verts, al 13% che nel 2017 nemmeno avevano presentato un candidato e si erano limitati ad appoggiare il candidato socialista Benoit Hamon. «Però bisogna contare che da sempre la sinistra radicale va bene solo alle presidenziali e male in tutte le altre elezioni, chiarisce Custodi, senza contare che mancavano i voti del partito comunista che lo aveva appoggiato nel 2017, ma sicuramente i verdi hanno intercettato meglio il voto di protesta».
Il vero flop è stato quello di Diem25, il movimento paneuropeo fondato dall’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis per creare una terza via politica tra l’austerità e l’antieuropeismo. Per farlo ha creato lo European Spring, ovvero un’Internazionale progressista ma senza coinvolgere gli altri partiti di sinistra. «Un errore strategico madornale. Hanno mandato una mail all’ultimo a Podemos e France Insoumise dicendo a partiti più strutturati di aderire al loro movimento. Come se un Iglesias potesse stare dietro Varoufakis così, senza preavviso», ironizza Custodi. Se escludiamo Die Linke, nato dalla scissione col partito socialdemocratico tedesco nel 2007 che da dodici anni ha sempre gli stessi leader, lo stesso programma, e lo stesso elettorato, e viaggia sempre intorno al 5%, nel mare del crollo delle sinistre, l’unica isola felice è il Portogallo dove l’estrema sinistra ha ottenuto sei seggi grazie al Bloco de Esquerda. Per capire la politica portoghese non si possono usare categorie europee. Hanno avuto la dittatura fino agli anni Settanta. Si è creato un regime politico dove non esiste una destra radicale, e la sinistra è molto forte. Ma anche lì i verdi sono riusciti a rosicchiare qualcosa: sia il Partido Ecologista os Verdes (anche se in coalizione col partito comunista) e il Pan sono gli unici partiti verdi del Sud Europa a ottenere seggi.
L’onda ambientalista non si è diffusa da una formazione politica che è riuscito a convincere i giovani, ma il contrario.Tutto è nato dal movimento Fridays for future di Greta, non legata ad alcun partito. Questa sedicenne non ha detto quale partito appoggiare ma ha dato ai giovani un simbolo per mobilitarsi e andare al voto
Il successo dei verdi non è dovuto solo al calo delle sinistre europee. «L’onda ambientalista non si è diffusa da una formazione politica che è riuscito a convincere i giovani, ma il contrario.Tutto è nato dal movimento Fridays for future di Greta, non legata ad alcun partito. Questa sedicenne non ha detto quale partito appoggiare ma ha dato ai giovani un simbolo per mobilitarsi e andare al voto», spiega Masoni. Il nuovo vento politico ambientalista venuto dalla generazione Z, i nati dopo il 2000, ha soffiato in tutta Europa, ma solo nel Centro e Nord Europa ha trovato i mulini adatti. Ovvero partiti strutturati con una storia importante alle spalle come il Die Grünen in Germania.
Chiariamo una cosa: i verdi non hanno stravinto dappertutto: mancano nell’Est e Sud Europa.in Spagna, Italia e Grecia non hanno superano la soglia del 4% per poter entrare nel Parlamento europeo. «In Italia manca l’offerta politica. I verdi sono ancora fermi agli anni Novanta quando c’era Pecorario Scanio» chiarisce Masoni. «Europa Verde ha comunque fatto bene al 2.29%, contando che prima non esisteva nulla del genere. Però è stata un’occasione sprecata. La candidatura all’ultimo di Pippo Civati avrebbe potuto catalizzare l’attenzione sulla lista ma ha deciso di ritirarsi per le frequentazioni di altri candidati con esponenti di destra. Un suicidio politico. Scelte etiche condivisibili ma se decidi di entrare nella lista devi farlo in modo visibile», spiega Masoni. Senza contare la mossa astuta di Zingaretti dedicare la vittoria delle primarie a Greta Thunberg che ha attirato molti giovani pro ambiente.
L’onda verde sfonda, travolge la sinistra estrema ma non è detto che il futuro sarà perfetto. Non tutti i verdi d’Europa sono uguali: tutti sono a favore della lotta al cambiamento climatico ma quando si parla di diritti civili e politiche economiche nascono le differenze e non sono tutti di estrema sinistra. «Il fenomeno dei verdi è stato spesso descritto come compatto ma il problema è che sono eterogenei all’interno, alcuni guardano al centrodestra, altri a sinistra e rischiano di dividersi al Parlamento europeo, soprattutto su alcuni temi caldi. In fondo è già stato così con il Gue che ha accolto la sinistra verde nordica cinque anni fa. E a pensarci bene gli stessi verdi tedeschi sono da una parte progressisti per i diritti civili ma liberali dal punto di vista economico» conclude Custodi.