IspirazioniElogio di Álvaro Mutis, il più affascinante tra i poeti sudamericani

Classe 1923, il primo libro di poesie l’ha pubblicato a poco più di 25 anni, ma a renderlo grande è stato “Gli elementi del disastro” del 1953. Il suo Maqroll è uno dei personaggi letterari più remoti e magnetici della letteratura del Novecento. Eccolo in tre poesie

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Fu qualcuno – e ne sentii l’appartenenza. Pare che il primo libro di poesie lo abbia pubblicato settant’anni fa, era nato nel 1923, ne aveva poco più di 25, si chiamava La Baldanza. Ma fu l’altro, quello del 1953, dal titolo contrario, in apparenza – perché alla baldoria, all’allegria fa seguito il precipizio e la festa è sempre tra gli speroni – Gli elementi del disastro, a farlo grande. Lo pubblicò a Buenos Aires, era nato a Bogotà e cresciuto, infante, a Bruxelles, perché il papà era un diplomatico colombiano.

Mi sentii bene in quel mondo corrugato dal delirio e dall’umidità, dove l’uomo non si lagna in un rione parigino ma vive nell’urlo, in una giungla; amavo quella decadenza senza fine, ispirata a un patriottismo con l’Eden – quella che forse ti figuri nelle mura gialle di Ortigia, l’unica Gerusalemme possibile in Occaso – amavo l’amare come febbre, la conquista come vanità, rischiare ogni fiato per una immagine di donna intravista all’alba, sotto l’acquazzone, e quelle amicizia che durano tra Anversa e l’Africa inquieta, e il fatto che si è perduti e se ne centellina l’estasi.

Il linguaggio, poi, lo adoravo: pieno di amido retorico, di spossatezza verbale, di guizzi aurorali, fuori tempo, come chi ricrei Bisanzio nel Mato Grosso. Nelle sue Note per un improbabile curriculum vitae questo scrittore che per anni ho letto come un confidente e spacciato come un segreto, che nelle catacombe dell’io decretavo più grande di Julio Cortázar, incomparabilmente più vasto di García Márquez e – ammetto la bestemmia – più divertente di Borges, si diceva così: “Non ho mai partecipato alla vita politica, non ho mai votato e l’ultimo fatto che a dire il vero mi preoccupa in questo campo e che mi riguarda e interessa in modo pieno e sincero è la caduta di Costantinopoli per mano degli infedeli il 29 maggio 1453. Riconosco di non riuscire a risollevarmi dal viaggio a Canossa dell’Imperatore salico Enrico IV, nel gennaio 1077, per rendere omaggio di vassallaggio al caparbio Pontefice Gregorio VII; viaggio di così funeste conseguenze per l’Occidente Cristiano. Di conseguenza sono ghibellino, monarchico e legittimista”.

La nota fu redatta nel 1993, a Città del Messico, e fu sufficiente per indurmi a trasvolare e a stringergli la mano, non fosse che vent’anni dopo, a 90 anni, in quella stessa città, morì, Álvaro Mutis, e io restai con i suoi libri in mano, sentitamente destinati all’oblio per eccesso d’altezza, di luce.

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