Il ministro dell’Interno ha avuto la possibilità di applicare il cosiddetto decreto sicurezza bis non appena entrato in vigore. La Sea Watch 3 è stata la prima nave destinataria del provvedimento di divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali italiane, in conformità a quanto previsto nel decreto stesso. Ciò nonostante, com’è noto, il capitano della nave ha violato tale interdizione, con la motivazione di portare al sicuro le persone a bordo, in condizioni precarie ormai da molti giorni.
Era stato esposto in un articolo precedente come la nuova normativa introducesse un pericoloso meccanismo, in base al quale il ministro dell’Interno, di concerto con quello dei Trasporti e della Difesa, dispone del potere di chiudere le acque italiane alle navi che effettuano soccorsi in mare di stranieri irregolari. Infatti, con il decreto sicurezza bis, che trasfonde in norme di legge principi già contenuti in circolari emanate dal Ministro dell’Interno nei mesi scorsi, le navi che svolgono operazioni di salvataggio di stranieri irregolari divengono automaticamente colpevoli del reato di traffico di migranti, di cui all’art. 12 del Testo unico sull’immigrazione: ciò in base all’assunto che il salvataggio sia in realtà una fase del preventivato e intenzionale trasporto di tali persone per favorirne l’ingresso illegale sul territorio nazionale. Secondo tale azzardato automatismo, che configura una sorta di presunzione di colpevolezza a carico delle navi che raccolgono naufraghi, il loro passaggio in acque italiane diviene “non inoffensivo”, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o comunque tale da mettere a rischio “ordine e sicurezza pubblica”: pertanto, in applicazione del decreto richiamato, esso può essere vietato dal ministro dell’Interno. Chi contravvenga al divieto rischia una sanzione amministrativa (da 10.000 fino a 50.000 euro), il sequestro (e la confisca) della nave in caso di reiterazione, oltre a un’eventuale sanzione penale.
Il provvedimento con cui il ministro dell’Interno ha dato veste giuridica ai propri proclami in tema di immigrazione sembra non aver considerato il fatto che il ministro stesso, così come le disposizioni nazionali, trova limiti invalicabili in disposizioni di rango superiore. Di conseguenza, quella “onnipotenza” che il titolare del Viminale pare aver voluto manifestare con l’emanazione di quel decreto può essere decisamente ridimensionata mediante la ricognizione normativa del quadro delle regole internazionali vigenti. Tale ricognizione – già effettuata dall’Onu, nella lettera inviata al governo italiano nello scorso mese di maggio, per stigmatizzare il contenuto delle citate direttive del ministro dell’Interno e del decreto sicurezza bis in via di emanazione – dimostra chiaramente come, a fronte della necessità di porre al riparo persone vulnerabili, eventuali finalità previste da altre norme passino necessariamente in secondo piano.
Il ministro stesso, così come le disposizioni nazionali, trova limiti invalicabili in disposizioni di rango superiore
L’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Montego Bay), stabilisce che ogni Stato “ha il dovere di (a) prestare assistenza a qualsiasi persona trovata in mare che rischi di perdersi; (b) procedere il più velocemente possibile al salvataggio delle persone in difficoltà, se informato del loro bisogno di assistenza (…)”. Analoghi obblighi sono precisati nella Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) e nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR). Quest’ultima, in particolare, con riguardo alle attività di ricerca e soccorso, afferma che “i soggetti interessati devono assicurarsi che l’assistenza sia fornita a qualsiasi persona in difficoltà in mare, e ciò a prescindere dalla nazionalità o dallo status di tale persona o dalle circostanze in cui la stessa si trova”; e che le operazioni di soccorso e assistenza dei naufraghi si concludono solo con il loro sbarco in un porto sicuro. Quanto esposto rende palese che la tutela della vita umana – richiamata anche all’art. 6 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici – prevale su qualunque tipo di regolamentazione o di decisione politica o amministrativa tesa a qualsivoglia obiettivo diverso. Come rilevato dall’ONU nella lettera citata, ciò trova anche conferma nel Protocollo contro il traffico di migranti via terra, via mare e via aria (art. 19), nonché nelle clausole di riserva del Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini (art. 14), entrambi a integrazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale: “Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e dei singoli soggetti ai sensi del diritto internazionale, compresi il diritto internazionale umanitario e la legislazione internazionale sui diritti umani (…)”.
In conclusione, la lotta contro il traffico di migranti, cui il decreto sicurezza bis è finalizzato, non può essere accampata quale legittimo motivo per ostacolare operazioni di ricerca e soccorso in mare, cioè non può scalfire gli obblighi in materia di diritti umani stabiliti dalle convenzioni sopra richiamate. Dunque, sulla base di quanto fin qui spiegato, quando il ministro dell’Interno si chiede se sia normale che il comandante della Sea Watch 3 “venga da noi a dire: me ne frego delle leggi italiane”, gli si dovrebbe replicare che è normale, anzi doveroso, che il comandante di una nave osservi le norme dei trattati poste a garanzia della vita umana anche laddove ciò avvenga in violazione di altre norme. Al vertice del Viminale potrebbe essere altresì obiettato che è solo il comandante della nave, e non chi sta a terra, a poter valutare le reali condizioni delle persone a bordo poiché è l’unico soggetto che in concreto dispone di tutti gli elementi necessari ad adottare ogni misura per la loro tutela, assumendosene le responsabilità conseguenti. Al ministro dell’Interno potrebbe anche essere ribattuto molto altro: peccato che i suoi interlocutori nei talk show o nelle interviste stentino a farlo.