Arrivano come coltellate, liane di luce che non puoi schivare, serpenti che fanno giubilo nella giugulare. I distici di Silesio vanno assorbiti appena svegli, quando l’alba sfonda l’utero della notte, tenuti sotto la lingua, a sorvegliare la ‘ragione’ e ripeterli, senza ruminare pensiero, altro. “Uomo, nulla è imperfetto: l’arena è simile al rubino/ la rana è così bella come l’angelo serafino”. Basta questa piccola feritoia per avviarci al vivere – il male è non avere parole per dirlo, e muta mutevolezza verso la gioia.
Angelus Silesius (1624-1677), nasce, il giorno di Natale, nell’anno in cui muore il suo maestro di sguardo, Jacob Böhme: è parte dei grandi mistici di Svevia, forse il più spericolatamente ispirato. Nel Seicento l’uomo guarda la Luna e scopre il ‘metodo’ scientifico (Galileo), impone dubbio e geometria (Cartesio) come modo di studiare il mondo scevro da superstizioni, scopre che l’uomo è e non è, una tribuna di contraddizioni (Shakespeare), che l’immaginazione vince la realtà (Cervantes) e che il fedele è solo al cospetto del male e di Lui, senza mediatore che tenga (Lutero). Alla sfera si sostituisce l’ovale, al cerchio, in cui Leonardo inscrive l’uomo, la spirale in cui svanire: l’arte è teatro, maschera, finzione. Perduto Dio nel groviglio dei ragionamenti, il mistico si aggiorna alla vertigine: la poesia rivoluziona la grammatica, procede, senza mezzi verbali, per associazioni, allusioni, svenimenti. Vagabondaggio e minaccia: creatura che s’intrufola nel buco del creato, nella narice del creatore.
“Immensurabile è Dio: eppure lo puoi misurare,/ se misuri il mio cuore, poiché da lui è posseduto”; “Uomo, tutto ti ama, attorno a te fa ressa:/ tutto corre a te per giungere così a Dio”. In Silesio, con proprietà d’estasi, i contrasti sono raffinati in fiamma, l’assurdo è trama divina, sconcerto ha valore di concordia. Proprio l’inaccettabile è il segno del divino; ciò che è ‘giusto’ si stanzia nelle leggi umane. Dio ama pretendendo, è dirompente.
Un amico che mi conosce, mi regala una edizione straordinaria del Pellegrino Cherubico di Silesius. Quella ‘completa’, per così dire, è edita trent’anni fa da San Paolo, per la cura di Giovanna Fozzer e Marco Vannini. La mia, il dono, è una edizione di pregio ma ‘manuale’, da portarsi in giro – e lo faccio, perché, credete, un distico di Silesio è cocaina lirica, se sono annebbiato dal peso umano, apro a caso, leggo, “Dio abita in una luce alla quale non v’è accesso:/ chi non diventa la luce, non lo vede in eterno”.
Continua a leggere su Pangeanews