Con l’estate, gli editori vanno in letargo. Allora, seduto come il fachiro in atto di violenta contemplazione, senza il flauto per imbonire i cobra ma con la cerbottana ad aizzarne l’incazzatura, mi metto a dare i voti. Seguendo due criteri di massima:
- Capacità di scoprire il nuovo, fare, cioè, editoria di scoperta, di avanscoperta, ardita, arguta, creativa;
- Relazione con il proprio ‘catalogo’; cioè: capacità di dar vita a un coerente ‘progetto editoriale’, a una identità letteraria.
I criteri si esercitano a patto che:
- l’editore sia un ‘transatlantico’, comunque una nave da crociera, comunque un editore di peso, spadroneggiante (i piccoli, le piccole zattere editoriali, a meno che non siano canaglie che speculano sui sogni delle gallinelle letterarie da spennare, sono al di là del giudizio, spesso ‘cornuti e mazziati’, fanno un grande lavoro di scoperta e guadagnano zero o quasi). Chi non c’è nella lista tiri un sospiro di sollievo.
Ecco le pagelle dell’annata editoriale.
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Iperborea: 9. La suprema Emilia Lodigiani è diventata griffe – è la Coco Chanel dell’editoria – grazie ai contenuti, certo – ha fatto di Arto Paasilinna un ‘caso’, ha pubblicato i testi eccentrici e migliori di Cees Nooteboom –, ma pure (consapevole del detto biblico che ‘la forma è il contenuto’) inventandosi una grafica e un formato librario indimenticabili. Esito: la rivista The Passenger è l’ennesimo azzardo riuscito e i ‘Miniborei’ sono l’ennesima scommessa vinta. Tra i libri indimenticabili usciti quest’anno, al di là dello scavo geologico nei classici del Nord – Halldór Laxness su tutti, specie di Faulkner islandese –, Tu l’hai detto di Connie Palmen, massacrante indagine romanzesca nel rapporto d’amore tra Sylvia Plath e Ted Hughes e Jungle Rudy di Jan Brokken, una sorta di Lord Jim ambientato in Amazzonia, con Fitzcarraldo a fare ciao ciao sulle spalle di Werner Herzog. In qualche modo, Iperborea è il fenomeno opposto a Sellerio (voto: 5), che ormai vive di briciole di Camilleri e di giallisti in vasca (speriamo che la riscoperta de Il console onorario di Graham Greene sia un segno di uscita dal sonnambulismo editoriale). Di Sellerio non resta che la veste grafica, eccelsa; forse Iperborea è favorita dal fatto di non pubblicare italiani.
Bompiani: 8. Nonostante sia proprietà Giunti (che non è ancora riuscita a darsi una identità letteraria; voto: 5), a 90 anni dalla nascita Bompiani pare risorta. Premio Strega in cassa – grazie ad Antonio Scurati: voto pessimo all’autore, autore di un libro illeggibile, voto massimo all’editore che ha creduto in un progetto narrativo ‘mostruoso’ (tre tomi da quasi mille pagine cadauno) sulla storia di Benito Mussolini. Ottima alternanza tra ‘grandi firme’ (Roberto Pazzi, Ferruccio Parazzoli) e nuovi autori (Emanuele Altissimo, ad esempio), azzeccati gli stranieri (Annie Dillard, Olga Tokarczuk), ottimi repertori (“I discorsi politici dei Premi Nobel per la letteratura”, volume curato da Daniela Padoan; l’“Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale” di Andrea Cortellessa), alto il rapporto con i classici canonici del proprio catalogo (da Albert Camus a Marguerite Yourcenar, da Oscar Wilde a Kurt Vonnegut, spesso in nuova traduzione). Dicono che apriranno alla poesia. Eccellente. I cobra fanno la lingua a cuore.
Romanzi atipici e antipatici ai logopedisti del verbo come Le galanti di Filippo Tuena e La zattera della Medusa di Franzobel, che fanno, letteralmente, letteratura, può pubblicarli, oggi, soltanto il Saggiatore
Il Saggiatore: 8. Libri scelti con metodo, insoliti, senza tema di andare fuori tema, di contrastare la moda imperante. Romanzi atipici e antipatici ai logopedisti del verbo come Le galanti di Filippo Tuena e La zattera della Medusa di Franzobel, che fanno, letteralmente, letteratura, può pubblicarli, oggi, soltanto il Saggiatore. Anche in questo caso, ottima la gestione cardiaca tra classici – Witold Gombrowicz, Allen Ginsberg, Burroughs, Jean Genet, le lettere di Ezra Pound a Joyce – e scommesse (Marco Lupo e Francesco Iannone su tutti). Encomiabile il lavoro dentro alcuni poeti ritenuti capitali (Elio Pagliarani, Vittorio Sereni, Franco Fortini). Simile il fenomeno Bollati Boringhieri (voto: 7) autorevole, di norma, nella saggistica, anche divulgativa, con scelte azzeccate nella narrativa, perfino italiana (Andrea Tarabbia, finalista al Campiello, ha scritto uno dei più bei romanzi della stagione, Madrigale senza suono; Eliana Bouchard è tra le raffinate scrittrici di oggi).
Neri Pozza: 7. Nella saggistica di taglio letterario non sbagliano quasi mai. Da Giorgio Agamben (dovete vedere però il lavoro miliare che fa con Quodlibet, casa editrice al di là del maniero delle mode e delle attrazioni circensi ‘da classifica’: voto 8 perché lo snobismo smaglia il mio cinismo) a Domenico Quirico, da Marzio G. Mian (il suo reportage sull’Artico è bellissimo) a Nick Hunt (Dove soffiano i venti selvaggi è un libro lirico e riuscito) alla raffinata biografia di Wyndham Lewis firmata da Stenio Solinas, si legge sempre o quasi che è un piacere. Hanno un certo talento nell’importare scrittori stranieri ancora sconosciuti, di pregio (Il falco di Hernan Diaz è romanzo di aggraziata ferocia).
La Nave di Teseo: 6 e mezzo. Al netto della quantità eccessiva di cretinate – il libro di Baglioni, quello della Morante, quello di Farinetti, di Franceschini, di Kim Rossi Staurt e del primo politico che passa, meglio se con esperienza cinematografica, e la filiera di romanzi marshmallow di Coelho – bisogna dare atto a Elisabetta Sgarbi di aver pubblicato bei libri (quelli che piacciono a lei, la zarina dell’editoria, per lo meno), tra grandi nomi – Scerbanenco, Giovanni Comisso, Jonathan Lethem, Luca Doninelli – e buone letture – Claudia Durastanti, Viola Di Grado. Soprattutto, ha creato, quasi dal niente, un altro polo editoriale oltre ai soliti porti, mummificati. Ricca d’audacia, ogni tanto fa poesia. Potrebbe fare meglio.
Fazi: 6. Galleggia. Azzecca qualche buon libro – Il ragazzo di Marcus Malte e In un chiaro gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo di Roland Schimmelpfennig sono romanzi al vetriolo, che restano come cocci di vetro in viso – per il resto vivacchia e vaneggia – non basta ingaggiare Alessandro ‘Dibba’ Di Battista per avere il Cristiano Ronaldo degli editor. La storia attuale di Fazi, ricalca quella, pur d’altro orientamento letterario, di minimum fax e di Marcos y Marcos, case editrici nate da una forte propulsione ideale, ora sgonfia. Con mestizia e sapienza, trottano. Attendo lo scatto.
Edizioni E/O: 5 e mezzo. Il successo produce squilibri. Elena Ferrante ha vampirizzato la casa editrice, azzeccano un libro ogni dieci. Buona l’idea di rinnovare la collana ‘Le cicogne’ raccogliendo “il meglio del catalogo” (da cui scelgo: Il minotauro di Benjamin Tammuz, Cassandra di Christa Wolf, tutto Bohumil Hrabal): così si costruisce una identità.
Ad Adelphi si tributa un culto pubblico consueto: libri d’infallibile bellezza fanno sentire tutti – me compreso – più intelligenti di ciò che sono
Adelphi: 5. Ad Adelphi si tributa un culto pubblico consueto: libri d’infallibile bellezza fanno sentire tutti – me compreso – più intelligenti di ciò che sono. Eppure, pure il calesse di Calasso mostra scintillanti segni di stanchezza. Scavare con ostinazione nei grandi autori non dà garanzia di trovare sempre perle – Magia di Yeats e il Borges sul Tango sono ottimi spunti per un articolo di giornale (conditi da ottimi titoli per far abboccare gli allocchi), ma non aggiungono nulla al genio dei due autori, anzi. Alcuni titoli, poi, non sono proprio frutto degli aquilotti adelphiani (Robert Eisler, quello di Uomo diventa lupo, è stato scoperto otto anni fa da Medusa; Aua di Knud Rasmussen è quasi la copia de Il grande viaggio in slitta pubblicato qualche anno prima da Quodlibet). Il progetto editoriale più snob d’Italia si avvilisce a pappa per tutti i palati. A questo punto, sia lode alle ed1izioni SE (voto: 8), che ripescano libri-zombie, esauriti, bellissimi, da scovare inabissandosi nei mercatini.
Guanda: 5. Se penso che Guanda ha avuto l’ardire di pubblicare le Bagatelle per un massacro di Céline nella traduzione di Giancarlo Pontiggia e l’introduzione di Ugo Leonzio – pamphlet poi ritirato dal mercato –, che editava la collana dei ‘Poeti della Fenice’ con titoli di sgargiante bellezza – da Blok a Segalen, da Gerard Manley Hopkins a Robert Lowell –, che pubblicava i pensieri di Chamfort e Novalis e Blanchot e Vladislav Chodasevic, il poeta prediletto da Nabokov, mi domando se facciano ancora letteratura. Stampano Sepúlveda, l’anno scorso hanno vinto lo Strega con un – brutto – libro della Janeczek. Pare siano vivi. Tra un Gibran un Bukowski un Dylan Thomas e un Pasolini – spesso, la solita pappa in piatto grafico diverso – regnano su un passato che non passa. Del resto, non hanno un passo, non lasciano traccia.
Einaudi: 5. Confusi, circonfusi di storia, paiono annaspare nella periferia dei giorni. Quando devono puntare su un cavallo ‘di razza’ pigliano il somaro che si crede Joyce – Marco Missiroli. Eccellono nei classici, nelle curatele importanti – chessò, la nuova traduzione di Guerra e pace e il miliare (ma utile a chi?) lavoro dentro Il vangelo di Marcione –, la narrativa italiana si fa dimenticare, quella straniera azzecca qualche titolo – e ci mancherebbe: sono Einaudi, hanno i soldi per comprare il meglio… Insomma, sembra di aggirarsi in un palazzo settecentesco, bellissimo, le candele sono ancora accese, ma il ballo è finito da un pezzo.
Mondadori: 4. Per carità, stampano libri. I ‘Meridiani’ dovrebbero essere la collana editoriale canonica del nostro Paese: sono riusciti a editare le Opere di John Keats sette anni dopo gli Scritti (manco fosse Platone) di Eugenio Scalfari, è tutto dire. Il confronto con la ‘Pléiade’ Gallimard è impari. Per carità, stampano libri. Tanta narrativa, troppa, di tutto un po’. Quanto al resto, stanno riuscendo a disintegrare la collana più autorevole di poesia in Italia, ‘Lo Specchio’, con Maurizio Cucchi che pubblica se medesimo e i soliti dinosauri lirici e gravi errori di strategia editoriale (per gli Haiku di Zanzotto, la riedizione di Melville, Apollinaire e la Spaziani andava trovato spazio negli Oscar). Per carità, stampano libri. Mondadori dovrebbe essere l’editore di riferimento in Italia, per qualità di visione e di contenuti e di sfida: è l’esatto specchio di questo Paese. Un pantano. Al confronto, editori come Donzelli (voto: 7; ottima la collana di letteratura per l’infanzia) e Marsilio (voto: 7; ha la più raffinata collana di classici in Italia, la ‘Letteratura universale’) giganteggiano per spavalderia di idee e di proposte.
Rizzoli fa ancora libri? Li confondo con quelli Garzanti (voto: 4), che soffre dello stesso problema. Editori che stampano tanto, un po’ di tutto
Feltrinelli: 4. Esiste solo per ciò che resta del catalogo abilmente sputtanato. Per fortuna ci sono ancora Malcolm Lowry (trattato con didascalica cura), Hermann Broch, Boris Pasternak, Marguerite Yourcenar, Henry Miller, brandelli di Mishima. Adesso ti sparano Chiara Gamberale, Lorenzo Marone, Concita De Gregorio sperando possano sostituire le vecchie glorie. Non basta la bella collana di classici a rinverdire i fasti di un editore in collasso di idee.
Rizzoli: 4. Rizzoli fa ancora libri? Li confondo con quelli Garzanti (voto: 4), che soffre dello stesso problema. Editori che stampano tanto, un po’ di tutto – non bastano singoli ‘colpi’, come, in casa Rizzoli, Il risolutore di Pier Paolo Giannubilo, a far primavera – dilaniati da un passato troppo importante, privi di identità. Dovrebbero guardare a Bompiani, per uscire dall’impasse. L’editoria è stata fatta da uomini avventati, non da lindi amministratori delegati; da pirati, mica da avventurieri in cravatta.
Longanesi: s.v. Il confronto con il passato – che serve ad aggiogare il futuro, a far più splendido il nuovo giorno – è impietoso. Nella mitica collana ‘La Gaja Scienza’ ora si pubblica Rebecca Fleet allora Giuseppe Berto, Sherwood Anderson, Kafka nella traduzione di Henry Furst, Carson McCullers; oggi si stampano Enigma di Clive Cussler e Ninfa dormiente di Ilaria Tuti (ma i dormienti, qui, sono i laccati editor, altro che le ninfe) allora spiccavano La mia Antonia di Willa Cather, L’amore è difficile di Knut Hamsun, Dry Martini di John Cheever, I passi perduti di Alejo Carpentier, un autentico capolavoro. Ovviamente, non sono nato ieri, i libri si devono vendere. Siamo pieni di ottima letteratura, in effetti. Basta alzare lo sguardo oltre l’orizzonte dell’ovvio. E essere degni del marchio che si indossa.
Solferino: s.v. Pensando che fare libri sia come compilare il quotidiano – “tranquilli, prima o poi quella pagina bianca si riempie…”, diceva il mio vecchio direttore – la casa editrice del Corriere della Sera è un esempio di come non si debba fare editoria. Titoli banali, confusi – dalla guida montana ai ricordi di Riccardo Muti, da Aristotele a Lella Costa – in stile americanoide, a rimorchio di ciò che impone la cronaca spiccia. Dovrebbe essere una ‘nuova’ casa editrice, pare un brontosauro. Disastrosa.
Sem: s.v. Pasticciaccio. Alternare Antonio Moresco a Meghan March significa pigliare per scemi i lettori. Non facciano i demoniaci fighetti. Piuttosto, mi dicono siano esteti nelle feste fascinose. Che genio: tramutare l’abulia editoriale in gioco, atto, evento. I libri come pretesto al gesto, al brindisi, all’olé, all’esubero di Pan e di Peter Pan. Questo è il futuro. Voto: 10 per la simpatia, la necessità ‘sociale’, la preveggenza.