Un arsenale con cui poter scatenare una guerra, oppure, semplicemente, con cui arricchirsi in maniera smisurata. La maxi operazione della Digos di Torino, che ha trovato in casa di Fabio Del Bergiolo, Alessandro Michele Aloise Monti e Fabio Amalio Bernardi (tre militanti di estrema destra), pistole, carabine d’assalto, munizioni e un missile aria-aria, riporta l’Italia indietro nel tempo. E non solo ai sanguinosi anni di piombo. Il Bel Paese torna a essere un attore di peso all’interno degli scambi transfrontalieri, nel ruolo di crocevia di rotte clandestine che viaggiano sui binari malavitosi di Cosa Nostra, della Camorra, della ’Ndrangheta e della Sacra Corona Unita. Il traffico illegale di armi è in crescita continua dal 1996 e tra i maggiori Paesi coinvolti, col pregio di essere tra i più longevi, troviamo l’Italia.
Salvo colpi di scena, come la conferma da parte delle forze dell’ordine di una mera attività da collezionista di Fabio Del Bergiolo, il quale secondo il suo avvocato, interpellato da Le Monde, è un semplice “appassionato di armi, che scrive su riviste online e potrebbe essere paragonato a un collezionista di oggetti archeologici”, l’indagine della Digos piemontese porterà alla luce un nuovo commercio sommerso di armi, che di nuovo, tuttavia, ha ben poco.
La realtà, illustrata dall’ultimo rapporto dell’Istituto di ricerche internazionali dell’Archivio Disarmo (Iriad), stima che nel mondo è in circolazione oltre un miliardo di Salw, armi piccole e leggere, di cui due terzi nelle mani di attori non statali e civili. Le Salw sono responsabili del 90% delle uccisioni avvenute nel corso di tutti i conflitti che si sono susseguiti dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, con vittime civili che costituiscono mediamente il 70-80%. L’Italia, nonostante l’impegno con il governo Gentiloni (Legge 25 ottobre 2017, n. 163) e un sistema informatico di tracciabilità più stringente e collegato con gli altri paesi Europei, con lo scopo di disincentivare gli acquisti e di controllarne i passaggi di proprietà, continua a vivere criticità importanti in questo settore.
L’Europol ha indicato la ‘Ndrangheta, i gruppi criminali albanesi e la Sacra Corona Unita fra le organizzazioni maggiormente coinvolti nel commercio illegale di armi. Le dimensioni di tale mercato sono difficilmente calcolabile, sebbene la proporzione legata al valore del commercio italiano autorizzato, che secondo l’ultimo report governativo si attesta su 5,2 miliardi di € di autorizzazioni e 2,5 mld€ di trasferimenti definitivi nel corso dell’anno 2018, ammonterebbero a circa il 10-20%, ovvero fra i 520 milioni e il miliardo di dollari.
I depositi sino-sovietici localizzati nei Balcani occidentali e le stesse manifatture private e officine clandestine, rendono l’ex zona rossa una perfetta zona franca dove fare la spesa, senza pressione alcuna. Se poi si è un ex ispettore antifrode della dogana, come Fabio Del Bergiolo, il passaggio transfrontaliero diventa un gioco da ragazzi
Nel periodo tra il 2010 e il 2015, l’Italia è stata medaglia d’argento per sequestri di Salw con 493 casi documentati, mentre si è aggiudicata l’oro per lo Stato europeo con il maggior numero di incidenti con armi da fuoco, con 1.589 casi, un terzo dei totali dell’Unione Europea. All’interno del Mediterraneo allargato si contano tre rotte principali, tra cui quella balcanica, che coinvolge la Bosnia, l’Italia, la Croazia e la Slovenia, raggiunge l’Europa occidentale, l’Africa e il Medio Oriente, passando dai Paesi dell’Europa meridionale.
Il connubio, come rivela il rapporto finale del Progetto Fire (Fighting Illicit Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level), coordinato dal centro Transcrime dell’Università Cattolica, tra mafia e Balcani è totale. I depositi sino-sovietici localizzati nei Balcani occidentali e le stesse manifatture private e officine clandestine, rendono l’ex zona rossa una perfetta zona franca dove fare la spesa, senza pressione alcuna. Se poi si è un ex ispettore antifrode della dogana, come Fabio Del Bergiolo, il passaggio transfrontaliero diventa un gioco da ragazzi.
La Relazione annuale dei servizi segreti, ha evidenziato, inoltre, come “la crisi ucraina ha suscitato l’interesse dell’estrema destra, scatenando però un vivace dibattito interno che ha determinato il formarsi di due fronti: l’uno, favorevole alle istanze nazionaliste di Kiev; l’altro, solidale con gli indipendentisti delle regioni orientali dell’Ucraina, sostenuti da Mosca”, il che – oltre a spiegare l’interesse degli indagati al conflitto armato nella regione ucraina del Donbass – porta a pensare a un ulteriore via di commercio nascente proprio da quei teatri di guerra dove le armi di certo non smettono di arrivare.
Dalle valutazione dell’organizzazione Small arms survey, la più accreditata nel settore, in Italia (dati riguardanti il 2017) ci sarebbero 8,6 milioni di armi tra legali e illegali. Nel Bel Paese, secondo il Censis, “si contano 1.398.920 licenze per porto d’armi, considerando tutte le diverse tipologie (dall’uso caccia alla difesa personale), con un incremento del 20,5% dal 2014” quindi complessivamente “c’è un’arma da fuoco nelle case di quasi 4,5 milioni di italiani (di cui 700.000 minori)”. E le restanti armi, allora, da dove provengono?
L’Iter amatoriale di Camorra e Cosa Nostra ha cambiato respiro: le armi rubate nelle armerie, o alle forze dell’ordine o a privati cittadini (anche è emerso come circa il 70% dei furti di armi a danni di privati cittadini in Campania, sono invece cessioni volontarie ai mafiosi che, in questo modo, garantiscono una protezione e si assicurano armi ‘pulite’ per compiere omicidi), non bastano più
L’Iter amatoriale di Camorra e Cosa Nostra ha cambiato respiro: le armi rubate nelle armerie, o alle forze dell’ordine o a privati cittadini (anche è emerso come circa il 70% dei furti di armi a danni di privati cittadini in Campania, sono invece cessioni volontarie ai mafiosi che, in questo modo, garantiscono una protezione e si assicurano armi “pulite” per compiere omicidi), non bastano più. La gran parte delle armi utilizzate da Camorra e Sacra Corona Unita proviene dall’Albania e dalla ex Yugoslavia, come ad esempio nel caso delle pistole Tokarev e delle mitragliette AK. Il sodalizio, come sottolinea la Commissione Antimafia, ha consentito ai clan italiani di ottenere rifornimenti sia via mare sia via terra: dai Balcani le armi attraversano il mar Adriatico in imbarcazioni, mentre dal Nord Italia su carichi legali trasportati da camion o, in piccole quantità, su auto private.
Appannaggio delle famiglie mafiose dei Fasciani, Triassi e D’Agati, sul litorale romano, invece, secondo la Direzione investigativa antimafia, c’è più una tendenza all’investimento, con una capitalizzazione dei profitti derivanti dal traffico di armi in “attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici e segnatamente delle attività di ristorazione e di balneazione”.
Armi piccole, quindi, pistole semi-automatiche, revolver, fucili, carabine, fucili d’assalto, ma anche armi leggere, come mitragliatori grandi, lanciagranate manuali e montabili e cannoni anti-aereo. E se il venditore non è la mafia, c’è sempre il dark web: nascoste ma non troppo nella parte più profonda e oscura di internet dove si compra e si vende di tutto, rintracciabili tramite gruppi Facebook e pagate con i bitcoin (così da non lasciare tracce). Insomma, missile permettendo, non c’è poi molto da sorprendersi nel vedere gruppi estremisti armati fino ai denti, in quanto l’Italia stessa è un frusciante cumulo di polvere da sparo.