Musica afro-italianaFemminismo e nuove generazioni: il rap di Karima a cavallo tra Roma e la Liberia

Nata a Roma da genitori liberiani e definita “la versione italo-liberiana di M.I.A., Karima è una rapper che mescola ritmi afro ad uno spirito funky. I suoi testi parlano di femminismo e di seconde generazioni: “se non ti lasci opprimere dalla diversità, ne può nascere qualcosa di unico”

da Youtube

Mentre racconta della propria vita, Karima ha la voce dolce e il tono delicato di chi è abituata a rispettare gli altri e non vuole essere invadente. Quando canta, però, si trasforma in una pantera e la sua arte, che sia in forma di musica, scrittura o fumetto, lancia messaggi che non lasciano spazio ai convenevoli. L’hanno spesso definita la versione italoliberiana di M.I.A., l’artista di origini tamil con la quale ha in comune l’atteggiamento da “cattiva ragazza”, i versi di denuncia e il sound worldbeat. Il suo stile è influenzato dalla musica afro, che innesta sul talento da beatmaker mischiato a uno spirito funky, ma lei rivendica un’identità che, partendo dalle tante influenze, punti con determinazione alla libertà espressiva.

Anna Maria Gehnyei è nata a Roma da genitori liberiani, arrivati nel 1978 pensando di fermarsi in Italia solo per poco. Invece, quando negli anni successivi è scoppiata la guerra civile in Liberia, non si sono più mossi e sono diventati sempre più attivi nell’ambito della comunità liberiana, fino a diventarne un punto di riferimento. «Mio padre è stato uno dei primi liberiani a entrare in Europa e mia madre è stata per anni presidentessa della comunità. Non c’è liberiano che non sia passato da casa mia» dice con orgoglio Karima. A proposito della sua famiglia, racconta di avere una gemella e una sorella più grande, che però è rimasta in Liberia quando i suoi hanno lasciato l’Africa. «L’abbiamo recuperata quando aveva 13 anni e al momento del nostro incontro ci siamo trovate di fronte due vite incredibilmente diverse: io nata a Roma e lei, invece, cresciuta con mia nonna durante la guerra. Tra noi comunicavamo inpidgin english, che è la mia lingua madre».

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