Se dovessimo definire il nostro Paese sulla base della gestione dei rifiuti dovremmo dirci ritardatari, confusi, incapaci di mettere in sicurezza le nostre eccellenze e di risolvere i problemi. Un Paese che potrebbe eccellere in economia circolare e che invece pur potendo vantare alcuni primati nel settore, non ha ancora raggiunto il disaccoppiamento tra crescita economica e crescita dei rifiuti. Lo certificano Ispra e SNPA con l’edizione 2019 del Rapporto Rifiuti Speciali. In Italia aumenta la produzione di rifiuti speciali: nel 2017 sfiora i 140 milioni di tonnellate, quasi il 3% in più rispetto al 2016, crescono soprattutto gli speciali non pericolosi (+3,1%) mentre quelli pericolosi restano pressoché stabili (+0,6%, ossia 60mila tonnellate). Il Paese anche in questo settore è leader nel riciclo, con un +7,7% della quantità di rifiuti speciali avviata al recupero di materiali e un -8,4% di quella mandata a smaltimento. Il recupero di materia, arrivato al 67,4% del totale gestito, è la forma prevalente di gestione dei rifiuti speciali. I numeri ci dicono che l’Italia deve recuperare terreno sul fronte della prevenzione dei rifiuti e accelerare la transizione verso un modello di sviluppo circolare, in cui si consumano meno risorse ed energia e dove gli scarti di un’impresa diventano la materia prima di un’altra. Obiettivi che possono essere utilmente perseguiti grazie all’ecodesign – ovvero attraverso la progettazione di prodotti che arrivati a fine vita possano essere disassemblati e le cui componenti possano essere riutilizzate – e con forme di fiscalità ambientale che penalizzino lo smaltimento in discarica rispetto alla prevenzione e al riciclo.
Ma soprattutto vanno emanati i cosiddetti decreti end of waste che definiscono quando e secondo quali criteri un rifiuto smette di essere qualificato come tale per poter essere riutilizzato come materia prima seconda. E proprio questo è il tasto dolente. Perché l’economia circolare è un fronte avanzato su cui le imprese, almeno quelle che guardano al futuro, ci sono e rispetto al quale è la politica a essere in ritardo. Come si legge bene nella norma sull’end of waste (EOW) che il governo ha voluto inserire a colpi di maggioranza nel decreto Sblocca Cantieri. Una norma assolutamente inadeguata, che nelle more dell’adozione di linee guida nazionali da parte del Ministero dell’Ambiente riporta in capo alle Regioni le autorizzazioni per gli impianti EOW per il recupero dei rifiuti e che soprattutto blocca gli investimenti e l’innovazione. La misura fa infatti riferimento al D.M. 5 febbraio 1998 e successivi, senza tenere conto di quanto è successo negli ultimi vent’anni in questo Paese in termini di innovazione e di brevetti. Un ritardo che rivela un problema culturale. Sull’end of waste non si riesce a normare, tanto che ancora mancano i criteri per molti materiali, però il Parlamento ha già avviato due indagini conoscitive: la prima per far conoscere ai legislatori questo settore, la seconda per indagare sui falsi end of waste. Che è un po’ come dire che nasce prima la truffa dell’originale. Una situazione a sua volta figlia della cultura del sospetto che pervade soprattutto una parte della maggioranza.
il governo gialloverde non crede nell’ambiente. Non a caso quelle pochissime leggi ambientali che abbiamo approvato o stiamo esaminando sono ad invarianza finanziaria. Come dire che i 19 miliardi di sussidi che diamo alle attività dannose per l’ambiente sono intoccabili e che sulle politiche ambientali non si metterà un euro
Ma di cosa parliamo quando diciamo rifiuti speciali? Il maggior contributo arriva dal settore delle costruzioni e demolizioni, che con oltre 57 milioni di tonnellate produce il 41% dei rifiuti speciali. Le attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento ambientale rappresentano il 25,7% del totale (quasi 36 milioni di tonnellate), l’insieme delle attività manifatturiere il 21,5% (quasi 30 milioni di tonnellate). Rispetto ai rifiuti da costruzione e demolizione è in atto una dialettica ‘frizzante’ tra ministero, tecnici e Associazioni di categoria del settore sulle bozze dei regolamenti end of waste, per introdurre nella norma criteri innovativi che favoriscano l’economia circolare, aggiungendo incentivi per la demolizione selettiva e nuove soluzioni di raccolta per i rifiuti che attualmente vanno dispersi nel territorio. Una menzione a parte merita anche l’import-export di rifiuti speciali: nell’anno di riferimento abbiamo importato oltre 6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e ne abbiamo esportate circa 3, quelli importanti sono per la maggior parte rottami ferrosi al servizio delle acciaierie del Nord mentre tra quelli che esportiamo prevale l’amianto, per cui abbiamo scarsa capacità di trattamento.
A livello di macroarea geografica è il Nord che produce più rifiuti speciali, quasi 81 milioni di tonnellate, seguita dal Sud con quasi 33 milioni e dal Centro con circa 25. Considerando le singole regioni, invece, la Lombardia da sola produce il 22,2% del totale dei rifiuti speciali nazionali, seguita dal Veneto e dall’Emilia-Romagna. Gli impianti di gestione dei rifiuti speciali operativi sono 11.209, di cui 6.415 al Nord, 2.165 al Centro e 2.629 al Sud. Il primato per numero di impianti va sempre alla Lombardia con ben 2.176 infrastrutture. Dati che parlano di una dotazione impiantistica assolutamente disomogenea lungo lo Stivale, con territori particolarmente penalizzati.
E qui arriviamo a un’altra caratteristica fondamentale dell’economia circolare: richiede consenso sociale. Peccato che la politica abbia da tempo rinunciato ad essere l’arte della mediazione tra interessi diversi, che nella campagna elettorale permanente affrontare le dinamiche territoriali per realizzare gli impianti che servono, come quelli per il riuso o per il trattamento dell’organico, non conviene. Perché rischia di far perdere qualche consenso. In fondo la questione è tutta qui: il governo gialloverde non crede nell’ambiente. Non a caso quelle pochissime leggi ambientali che abbiamo approvato o stiamo esaminando sono ad invarianza finanziaria. Come dire che i 19 miliardi di sussidi che diamo alle attività dannose per l’ambiente sono intoccabili e che sulle politiche ambientali non si metterà un euro. Le lobby fossili possono dormire sonni tranquilli.