È l’unico leader socialista alla guida di un grande Paese europeo, ma anche se ha vinto le elezioni da ottanta giorni non riesce a formare un governo. Ancora una volta il Partido socialista obrero español (Psoe) di Pedro Sanchez non ha trovato un accordo con il movimento populista di sinistra Unidas Podemos (Up) di Pablo Iglesias. In ballo c’è il ministero del Lavoro che entrambi i partiti pretendono, ma in realtà sembra più una questione di principi, ripicche personali e calcoli elettorali. Quello che doveva essere il governo più a sinistra della storia spagnola rischia di rimanere solo una suggestione. Si avvicinano così le quarte elezioni in quattro anni, un’altra chance di ribaltare il risultato per il tridente di centrodestra, formato dal partito popolare, il nazionalista Vox e il movimento liberale Ciudadanos. L’unica notizia positiva per la sinistra europea è che il Partito democratico italiano non è l’unico movimento tafazziano del Continente. A farsi male da soli sono bravissimi anche al di là dei Pirenei.
Ieri il Parlamento spagnolo ha bocciato per la quarta volta l’investitura di Sanchez, la seconda in tre giorni. Un record negativo per il leader socialista, diventato il premier incaricato più fallimentare della storia spagnola con quattro voti di investitura persi. Roba da far rivalutare la gestione imbarazzante di Pierluigi Bersani come presidente del Consiglio incaricato nel 2013. Il partito socialista operaio ha vinto le elezioni del 28 aprile, ma non può governare da solo perché il Parlamento è spaccato in cinque grandi partiti, più alcuni piccoli movimenti indipendentisti e regionalisti. Il Psoe ha 123 seggi più un deputato della comunità autonoma della Cantabria. Servono almeno 52 voti in più per raggiungere la maggioranza. Per farlo basterebbero i 42 seggi di Unidas Podemos più qualche nazionalista catalano e basco. Ma UP si è astenuta e ancora una volta Sanchez è andato incontro al fracaso, come lo chiamano in Spagna: 155 voti contrari, 124 a favore e 67 astenuti.
L’atmosfera politica è quella della corrida, ma qui i tori sono convinti di essere tutti matador
Pablo Iglesias ha proposto davanti al Parlamento un patto dell’ultimo minuto: rinunciare alle pretese sul ministero del Lavoro in cambio delle deleghe alle politiche attive per l’occupazione. Un tentativo tardivo di trovare una quadra che non è piaciuto ai socialisti. Una reazione figlia della frustrazione dopo 45 giorni di negoziato per creare un “governo di cooperazione”. Non sono abituati ai ritmi italiani. Il Psoe aveva offerto a UP la Vice Presidenza per gli Affari Sociali e tre ministeri: quello della Salute, l’Economia abitativa e sociale e il dicastero “Consumo e uguaglianza”. Ma nessun portafoglio economico. Fin troppo per i socialisti, troppo poco per Podemos che da sempre ha l’ambizione di cambiare il mercato del lavoro spagnolo, considerato troppo liberista. Lo scontro è anche culturale. Podemos è nato dal movimento del 2011 degli Indignados in contrapposizione al partito socialista. Si sente più onesto e superiore antropologicamente. I socialisti invece temono di lasciare ministeri importanti a una classe politica che considerano poco competente e senza esperienza nella gestione del bilancio. Vi ricorda qualcosa? Senza contare che i due partiti la pensano diversamente sull’indipendenza della Catalogna. Iglesias ha sempre definito i leader indipendentisti catalani in carcere dei “prigionieri politici”, mentre i socialisti all’inizio favorevoli a una maggiore autonomia catalana, sono rimasti scottati dall’atteggiamento intransigente dei catalani che pretendevano un tavolo di negoziazione per l’indipendenza in cambio del voto favorevole all’ultima legge di bilancio. Con la bocciatura di ieri però si è aperto anche un piccolo fronte tra i due partiti indipendentisti catalani che governano insieme la regione ma si sono comportati in modo diverso.Esquerra republicana de Catalunya si è astenuta, mentre Junts per Catalunya ha votato contro. Sanchez potrà lavorare anche su questa rottura. Perché qualsiasi alternativa a un governo socialista sarebbe una catastrofe per le speranze degli indipendentisti.
La Spagna è troppo divisa per avere un solo partito al comando
Sanchez forse ha preso troppo alla lettera il proverbio cinese: «Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico». Non ha cercato l’appoggio degli indipendentisti catalani e baschi per avere mani libere sulla questione catalana e ha sperato fino all’ultimo che tutti gli altri partiti si astenessero permettendo un governo monocolore con appoggio esterno, o al massimo un esecutivo con Podemos. In Spagna l’astensione non vale come voto contrario e già in passato l’ex premier Mariano Rajoy ha governato per due anni grazie all’astensione degli altri partiti. Però nessun consigliere politico gli ha fatto capire che gli altri leader avrebbero applicato metaforicamente lo stesso proverbio. E a forza di tergiversare il cadavere politico rischia di essere lui. Ieri in serata Sanchez ha detto in un’intervista a Telecinco che non mollerà. La prossima mossa potrebbe essere chiedere l’astensione al Partito popolare e ciudadanos. Ma tre anni fa quando Rajoy gli chiese di fare lo stesso, rifiutò mettendo l’allora premier davanti alla sua incapacità di formare una maggioranza. Che alla fine si trovò grazie all’astensione di Podemos. Perché i popolari e Ciudadanos dovrebbero fare un favore a Sanchez?
I partiti potranno continuare a negoziare fino al 23 settembre. Secondo le ultime indiscrezioni il re Felipe VI darà un ultimo tentativo a Sanchez. Senza accordo o con una nuova bocciatura, il re scioglierà Las Cortes Generales, le due Camere del Parlamento spagnolo, e si voterà il 10 novembre. C’è chi dice che sotto sotto Sanchez sia tentato da nuove elezioni. Gli ultimi sondaggi danno il partito socialista al 33%, quattro punti in più del risultato di aprile. Con più seggi potrebbe trattare da una posizione di forza con Podemos. Ancora una volta. La Spagna è troppo divisa per avere un solo partito al comando. Il rischio è che si torni alla casella di partenza. L’atmosfera politica è quella della corrida, ma qui i tori sono convinti di essere tutti matador.