Mai credere alle parole dei marinai. Potrebbe succedere, come del resto è accaduto, di pensare che una postazione desolata nelle isole Svalbard fosse, nell’antichità, un grande centro urbano. È il caso di Smeerenburg, avamposto olandese nel profondo nord risalente al XVII secolo, quando il traffico di olio di grasso di balena era monopolio di Amsterdam e delle città vicine.
I marinai partivano con la bella stagione per passare mesi a cacciare le balene della Groenlandia, scelte come preda perché più grasse e più lente degli altri esemplari. Una attività che, per fortuna, non ha più ragione di essere: all’epoca, però, la produzione di olio da candela, fonte principale dell’illuminazione dell’Europa centrale, era essenziale. E con le ossa delle balene producevano corsetti e sostegni per le gonne. Insomma, per spregiudicati commercianti quali erano, si trattava di un business fiorente.
E Smeerenburg era il centro principale delle loro attività. Qui sostavano e vivevano per i mesi della caccia, e qui trasformavano il grasso degli animali in olio. Secondo le leggende nate poco dopo la fine del commercio, Smeerenburg era una sorta di Las Vegas artica. Accoglieva almeno 18mila abitanti (quando ne ha avuti, al massimo, 200) e luccicava per i divertimenti e i traffici: negozi, artigiani, pasticcieri. Alcuni, nella loro immaginazione, ci avevano messo anche chiese, fortezze, case con pannelli di legno colorati in modo vivido; oppure soltanto case, ma enormi e bellissime. Per non parlare del porto, che ospitava centinaia di navi a perdita d’occhio.
Il mito, che ha viaggiato sottotraccia ma sempre inscalfibile, ha perfino costretto alcuni archeologi, negli anni ’80 del XX secolo, ad andare a verificare di persona la veridicità di queste affermazioni. Come era d’aspettarsi, era tutta una fola inventata da marinai e pescatori, viziati dalla solita tendenza a ingrandire le cose. Smeerenburg era solo un avamposto, contava un totale di 19 edifici, compresi quelli adibiti alla trasformazione del grasso in olio (portavano il nome della città che li possedeva). Non c’erano divertimenti, ma solo tanta desolazione e, c’è da immaginare, una puzza nsopportabile. Si lavorava tutto il giorno e, considerando che d’estate il giorno non finisce mai, si lavorava sempre, con turni tra chi stava in laboratorio e chi si imbarcava sulle navi. Il clima, nonostante non fosse glaciale, poteva essere proibitivo. Inoltre la salute vacillava: per chi viveva mesi mangiando carne secca e, quando andava bene, una volpe (ma sempre condita con erba da scorbuto, una pianticella che teneva lontana la malattia ma aveva un sapore amarissimo), la situazione non era delle più positive. Vicino ai forni sono stati trovati resti di casupole e, poco lontano, anche un cimitero.