Antifascismo scoppiato Lettera ad Antonio Scurati, che su Mussolini non ha scritto un vero romanzo

Vincere il premio Strega non significa aver scritto un capolavoro. E infatti l’autore di “M. Il figlio del secolo” non ha prodotto un romanzo, ma un variopinto libro di storia, monotono e stucchevole. Per favore, ora non ce ne propini altri due volumi

Marco Bertorello / AFP

Caro Antonio Scurati,

non ci conosciamo, sa come la penso, le porgo i miei sinceri complimenti. Ha ottenuto ciò che voleva e al vincitore va dato atto della vittoria – tuttavia, sa anche questo, non basta una bottiglia di liquore e la rampicata per la cima della classifica delle vendite a fare il capolavoro. A volte la immagino travestito come il “Duca di Ferro”, Amedeo di Savoia-Aosta, mentre cavalca il Duce, aggiogato da sella eritrea, che gli stuzzica il cranio e lo imbocca con carote a fiotti, ridendo, beato. Una scena raccapricciante, ha ragione. D’altronde, è ciò che ha fatto: cavalcando Mussolini, equino di razza, ha vinto lo Strega e le reticenze dei lettori di ogni latitudine.

Caro Scurati, le scrivo convinto di poter raffinare il suo trinariciuto narcisismo. La prego, ha ottenuto quel che voleva, ora basta, non ci propini il ricino di altri due volumi di M. Il figlio del secolo, uno è sufficiente – per altro, mi creda, lo sa, non ha la statura di un Malaparte né la verve di un Pasolini, le seconde puntate funzionano peggio della prima, non sarà ammansito dallo Strega, venderà di meno.

Didascalico, retorico, cronachistico, il suo libro ha retrodatato la nostra letteratura di due secoli: probabilmente ha preso a modello Dumas figlio, non possiede il genio di Thomas Mann, ha ignorato la perizia di Uwe Johnson e le peripezie stilistiche di William Vollmann (perché?), le è aliena la furia apocalittica di un Giuseppe Genna (le consiglio, per variare sul menù, la lettura delle Lettere dalla Russia di Astolphe de Custine, può esserle utile: lì l’osservazione politica s’innerva perfettamente allo sketch narrativo). Ha scoperto l’uovo di Colombo – scrivere un romanzo sul Dux, cent’anni dopo i Fasci di combattimento, colpo da biliardo retorico – e l’ha cucinato per le masse, mirando a una narrazione populista più che popolare, anelando a essere (come i narratori deboli) il Duce della letteratura italiana, il guru con le verità in tasca.

Sostanzialmente, il suo non è un romanzo, ma un vago, variopinto libro di storia

Il romanzo, una frittata, è scritto male – che erotico grigiore le chiavate del Mascellone con la Sarfatti, “il secolo vibra nei suoi seni, nel suo ventre, nelle sue cosce nude, spudorate” –, è monotono – a causa della scansione cronologica, pedante: bisogna variare, stupire, volare alto! –, storicamente stucchevole – chi non sa che Marinetti “nel millenovecentonove ha fondato la prima avanguardia storica del Novecento italiano” e che “Il suo manifesto per un movimento poetico futurista ha avuto risonanza europea”?, non faccia il ciuco! –, con affondi psicologici degni di un gestore di racchettoni ad agosto che abbia l’estro di sfidare Roger Federer – del tipo: “Tutto va male. Non c’è nemmeno un soldo. A volte si fa anche la fame”.

Sostanzialmente, il suo non è un romanzo, ma un vago, variopinto libro di storia. Una di quelle lagnose biografie che trovi a stagionare in una bancarella periferica. Non è un’illazione, la mia, ne è consapevole anche lei. Appena ha vinto l’ambito premio, non ha parlato di letteratura ma di storia: “moltissimi altri lettori italiani conosceranno attraverso M la loro storia, la nostra storia”, ha detto. Quando la interpellano in certe trasmissioni televisive, in effetti, è preteso a parlare del Ventennio, della figura storica di Mussolini, non certo della sua opera, del suo genio romanzesco, e lei si presta al gioco medianico della tivù, vegeta nell’ambiguo.

A me sembra, caro Scurati, che il Duce la abbia annientata, la ha vampirizzata: esiste, come romanziere, perché esiste Lui, delle cui ombre si nutre con avidità da iena. Viene trattato alla stregua di uno storico – neanche, a ciò che dicono gli esperti, particolarmente dotato. Ha imparato la strategia di dire stratosferiche banalità ammansite da aggettivi, come quella che Mussolini abbia lavorato sugli “umori più neri delle masse, per alimentarle, soffiare su quel fuoco che soffia in basso, nelle paure, nei risentimenti, nei timori”. Ci vuole un romanziere per dire il risaputo, per sputacchiare l’ovvio, che si attaglia al Dux come a Salvini come a Di Maio o al Commissario Zingaretti?

Il suo antifascismo, caro Scurati, è vilmente di facciata: perché non ha scritto la biografia romanzata di Gramsci, di Giacomo Matteotti, di Carlo Roselli, di Piero Gobetti?

Caro Scurati, lei è uno scrittore da molto tempo, la prego, si conceda un po’ di dignità. Vederla scodinzolare intorno al mausoleo dei luoghi comuni, a fare la solita pisciatina, squalificando l’opera, “Dedico la vittoria ai nostri nonni e ai nostri padri, che furono prima sedotti e poi oppressi dal Fascismo”, è imbarazzante proprio per chi, come me, come tutti, ha avuto padri e nonni martirizzati dai fascisti. Ci mancherebbe che avesse scritto un romanzo in favore delle camicie nere – anche se forse sarebbe stato un azzardo narrativo più interessante (realmente, potentemente narrativo), indagare l’obbrobrio degli sconfitti, lo scempio degli ulcerati.

Il suo antifascismo, caro Scurati, è vilmente di facciata: perché non ha scritto la biografia romanzata di Gramsci, di Giacomo Matteotti, di Carlo Roselli, di Piero Gobetti? Capisco, editorialmente sono personaggi che non ‘tirano’ come il Duce. Perché, allora, non ha avuto il coraggio di scrivere il romanzo su Mussolini più che un bignami di storia sul Ventennio, all’acqua di rose, con qualche sortita letteraria a imbonire i lettori? Capisco, aveva timore che l’accusassero di apologia del fascismo. Ma uno scrittore, caro Scurati, non scrive per accontentare cani e porci: né zuppa né pan bagnato, ideologo dell’inerzia, Lancillotto dei pavidi, non le resta che fondare il Partito degli Ignavi. In effetti, che completi la trilogia del suo progetto narrativo o la interrompa, poco importa. Lei non è uno scrittore e io mi preparo, per tempo, a ballare il tango con la camomilla.

Stia bene, cordialmente,

Davide Brullo

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