Il suo capolavoro assoluto fu l’opera Holger Danske (Il danese Ogier), ancora oggi considerata simbolo della cultura danese. Eppure, quando venne eseguita per la prima volta nel 1789, il suo autore fu costretto a fuggire e lasciare il Paese per le proteste, violentissime.
Povero Friedrich Ludwig Æmilius Kunzen: il musicista e direttore d’orchestra tedesco del XVIII secolo, proveniente da una famiglia di compositori di Lubecca, non si aspettava certo questo trattamento. Erano anni che, ormai, viveva in Danimarca. Nato il 24 settembre 1761, e dopo aver buttato alle ortiche una carriera nella legge a Kiel per dedicarsi alla musica, era diventato un expat ante litteram e, negli anni, era anche riuscito a farsi conoscere e apprezzare: prima come pianista nelle corti e nei club, poi addirittura componendo una cantata per la memoria del conte Otto Thott (noto bibliomane) e infine scrivendo la musica per il matrimonio della principessa Luisa Augusta con Frederik Cristian II, duca di Augustenborg. Un trionfo.
I guai vennero dopo e, per la precisione, dal momento in cui decise di collaborare con Jen Baggesen, giovane poeta brillante e belloccio per la scrittura di Holger Danske. Il singspiel, che raccontava in una ambientazione piuttosto fantasiosa (a metà tra Baghdad, Tunisia e Libano) la fantasiosa storia del cavaliere Ogier (del drappello di Carlo Magno) e della sua relazione, rispettosissima, con la figlia del sultano, proprio per questo premiata da Oberon e Titania, andò in scena il 31 marzo 1789, sollevando un polverone.
Il problema principale, a parte alcuni difetti della trama e dell’idea (anche comprensibili, visto il pasticcio tra elementi nordici/shakespeariani, la mitologia carolingia e il vicino Oriente), era la provenienza tedesca dell’autore della musica: il nazionalismo danese, “inventato” pochi decenni prima, era ancora vivo e non vedeva di buon occhio la presenza del povero Kunzen sui cartelloni dei teatri di Copenhagen. Ancora meno apprezzavano quella che, ai loro occhi, appariva come una colonizzazione culturale.
Insomma, le critiche furono così forti che l’opera venne sospesa dopo sei giorni e i due autori lasciarono la Danimarca. Baggesen per sempre. Kunzen, invece, per ritornarvi dopo qualche peregrinazione tra Germania (Berlino e Francoforte) e Repubblica Ceca (Praga).
Il ritorno di Kunzen fu, stavolta, più proficuo: mise in scena opere di Mozart (all’inizio senza successo, poi con sempre maggiori apprezzamenti), divenne professore, entrò a far parte dell’Ordine cavallersco del Danneborg (una riparazione?) e poi, addirittura, nella Reale accademia musicale svedese.
Tutto sembrava andare bene, ma le sue disgrazie, in realtà non erano finite. E avevano sempre stesso nome e cognome: Jen Baggesen. Fu durante un litigio con lui in merito ad alcune accuse di plagio, nel gennaio del 1817, che ebbe un colpo al cuore. La rabbia era così forte che non si riprese. E morì subito dopo. La loro opera, Holger Danske, nel frattempo, era stata dimenticata da tutti. Ci vorrà molto tempo prima che venga riscoperta e diventi, in modo abbastanza paradossale, simbolo della resistenza danese all’invasione tedesca del 1945 Per assrugere al ruolo di “musica nazionale”, ormai tesoro culturale di un Paese.