Rinascite letterarieAndrea Mascetti: “Meno Wikipedia e più piccole librerie: così si salva la cultura”

Libri-fotocopia, lettori disinteressati, mancanza di attenzione della politica: per il coordinatore della commissione “Arte e cultura” di Cariplo serve un cambio di passo. A cominciare dalla scuola

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Nel cuore di Milano, risuona Herman Hesse – in forma concreta e volitiva è lui a raccontarmi i punti salienti e ‘attuali’ (ovvero: perennemente inattuali al fluire della Storia) di “Demian”, pubblicato esattamente un secolo fa. Poco prima, per messaggio – i cellulari hanno inevitabili vantaggi se li domini con il cervello senza farti soggiogare dalla lascivia del ‘fare’ – discutiamo della propensione verso l’occulto, lo spiritismo, il ‘meraviglioso’ di William Butler Yeats. Andrea Mascetti è avvocato assai solido, con uno studio nel cuore di Milano, appunto, e a Varese. Di inossidabile eleganza, pare sempre pronto allo scatto, parla forbito e ha lo sguardo ferino, affronta complicatissime carte ma può, all’improvviso, darsi a sfidare un ghiacciaio. Abita in metropoli, ma ama la solitudine montana. Quando scopro, nel giugno scorso, che in Fondazione Cariplo l’avvocato Mascetti è il coordinatore della commissione “Arte e Cultura” mi sorprendo. Uno che legge, che ha testa adatta al pensare e all’agire, spesso controcorrente, in un ruolo istituzionale così importante, ambito. In una delle prime dichiarazioni, rilasciate qualche giorno fa, Mascetti cita, tra le ‘linee guida’ che definiscono il suo progetto – direi: sentieri nel deserto del contemporaneo – “la rinascita delle librerie indipendenti”, la “formazione culturale dei giovani”, un elogio esplicito ai “piccoli editori, di libri rari o creati in modo artigianale”. Mascetti è allo stesso tempo pragmatico e lucidamente antimoderno. Lo contatto. Mi concede una intervista controcorrente, avventata? Ci sta. Eccoci.

Ho letto di un suo impegno a tutelare, anzi, direi, a salvare le librerie indipendenti. Ci vedo una idea culturale precisa, svincolata dall’incatenamento delle grandi catene. Sbaglio?
L’idea è quella di uscire dalle strade obbligate, o meglio da quelle già indicate da altri. Oggi nelle città si vedono due catene di librerie, forse tre, sempre le stesse. I piccoli editori indipendenti arrancano, salvo alcuni che resistono con piglio e originalità. Le librerie dedicate a temi specifici o, più semplicemente, a propri gusti stravaganti, sono quasi estinte; e con loro quel bel tipo umano che ricercava con passione luoghi inconsueti e seduzioni esotiche. Sorte ancor più crudele è toccata alle librerie antiquarie, un tempo luoghi votivi di tante donne e uomini colti ed appassionati, ricercatori entusiasti di tesori nascosti tra mille scaffali. In tutto questo panorama i lettori decrescono di anno in anno, come in una spirale infernale. Siamo forse giunti al trionfo del generalismo: sapere poco di tutto e nulla di ciò che veramente vale. Il modello Wikipedia è giunto alla sua ennesima potenza. E così anche la lettura è stata divorata dal Leviatano. Per leggere occorrono infatti tempo, quiete, noia fors’anche: tutte cose che nel frenetico mondo dei cellulari non sono più consentite. E l’Italia, questa creatura bizzarra, pare abbia pagato a più caro prezzo il mutamento dei tempi, con una riduzione drammatica della lettura, soprattutto tra i più giovani. Ad onore del vero, con quello che pubblicano, si capisce perché ad uno passi la voglia di leggere. Personalmente faccio molta fatica a trovare cose interessanti in libreria, soprattutto presso le grandi edizioni. O ripubblicano classici, o cadono in cose illeggibili e pacchiane. Con l’eccezione di Adelphi e di alcuni pochi altri intraprendenti editori.

In particolare, lei parla di una ‘emergenza lettura’. Io aggiungerei, malignamente, che c’è anche una ‘emergenza letteratura’, ma non è questo il punto. Perché, fuori di retorica, ritiene la lettura così importante?
Perché leggere è come “sperimentare”, se stessi e il vasto mondo; è uno dei pochi strumenti di libertà che ci permettono di comprendere la complessità dell’esistere e le mille sfaccettature di questa nostra condizione umana. Togliere questo mezzo di confronto è come togliere i giochi ai fanciulli: si impedisce loro di crescere in armonia. Il mondo precedente all’invenzione della stampa aveva l’esperienza della terra e una tradizione millenaria che istruiva e formava. L’uomo che invece noi abbiamo conosciuto ebbe la lettura e la scuola: entrambe queste sono cadute in condizioni dolorose, mi pare.

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