Facciamo un piccolo esperimento. Un gioco. Siete il capo di un partito politico di estrema destra, uno dei pilastri di quella cosiddetta Internazionale Sovranista che da qualche anno si aggira per l’Europa con virile furia nazionalista. Nel vostro paese siete giunto al potere: dopo una serie di risultati elettorali lusinghieri oltre le aspettative siete entrati nella coalizione di governo come socio di minoranza – l’altro partito ha pur sempre preso più voti di voi – ma riuscite lo stesso a condizionare le scelte dell’esecutivo, sulle cose che vi stanno più a cuore e che sono parte centrale del vostro messaggio riuscite a portarlo a destra, dove volete voi. Diventate ministro, addirittura vice-capo del governo. All’estero i vostri alleati, quelli dell’Internazionale Sovranista di cui sopra, vi indicano come un modello, come un esempio da seguire per entrare finalmente nella fantomatica stanza dei bottoni: “Vedi? Dovremmo fare come loro!”.
A un certo punto, però, succede una cosa: un giornale pubblica uno scoop, materiale esplosivo che rivela come il vostro partito si sia incontrato segretamente con degli emissari di una potenza straniera, per la precisione russi, con lo scopo di ottenere dei finanziamenti da usare in campagna elettorale, in cambio probabilmente di favori e chissà cos’altro. Il vostro partito, voi stessi venite travolti dallo scandalo, e va a finire nel peggiore dei modi: crisi di governo, voi restate fuori, non potete far altro che tornare all’opposizione lamentando di essere vittima di un complotto, di un gioco di palazzo.
Ecco, se io a questo punto vi chiedessi di indovinare che personaggio politico siete, sono sicuro che la maggior parte di voi risponderebbe “Matteo Salvini!”, senza esitazione. E invece no, avreste perso. Stiamo parlando di Heinz-Christian Strache, l’ex leader della FPÖ, il Partito della Libertà austriaco.
A vostra difesa, va detto che le similitudini fra le due vicende colpiscono: come Salvini, Strache è riuscito a modellare il suo partito su se stesso dopo il tramonto del primo capo carismatico (Jörg Haider, ve lo ricordate?) e a trasformarlo in un perno centrale del panorama politico, tanto da contendere ai socialdemocratici il ruolo di seconda forza del paese – quando, alle politiche del 2017, la FPÖ fece il botto e arrivò ad un soffio dal 26%.
Non era la prima volta in Europa che i sovranisti arrivavano a giocarsela fino alla fine: era però la prima volta che ci arrivavano dopo aver ottenuto la pole position
E se le somiglianze dei due percorsi sono suggestive, quelle dell’imprevisto, del sassolino messo male che fa inciampare e cadere per terra, sono addirittura impressionanti: anche Strache ha infatti avuto il suo Russiagate, simile a quello di Savoini all’hotel Metropol, solo che in questo caso si tratta di un video e non solo di un audio, la location era Ibiza, gli emissari russi avevano l’aspetto di una non meglio identificata “nipote di un oligarca vicino a Putin”, e fra i protagonisti compare lo stesso Strache.
Certo la caduta dell’ex vice-cancelliere austriaco è stata più rovinosa: estromesso dal governo, ha perso anche il controllo del partito, che ne ha fatto il colpevole principale – se non l’unico – della vicenda, ed è finito al centro di altre indagini per corruzione. Fino al colpo di grazia: dopo il risultato deludente delle elezioni di domenica scorsa, in cui la FPÖ ha perso praticamente 10 punti rispetto a due anni prima e si è fermata al 16%, Strache ha deciso di mollare, e ha annunciato che lascerà a politica. Ascesa e caduta di un populista, titola lo Spiegel, ed è inevitabile chiedersi se ci si trovi di fronte a un possibile punto di svolta, non solo per l’Austria ma per tutta l’Europa.
Strache e la FPÖ sono stati i primi sovranisti ad arrivare così in alto: già nel 2016, quando in Austria si tennero le elezioni presidenziali, il loro candidato Norbert Hofer vinse il primo turno, scatenando ondate di panico su tutto il continente e spingendo gli altri partiti a convergere su Alexander van der Bellen, originariamente candidato dei Verdi, che grazie a questa specie di “patto repubblicano” in salsa viennese riuscì a spuntarla. Non era la prima volta in Europa che i sovranisti arrivavano a giocarsela fino alla fine: era però la prima volta che ci arrivavano dopo aver ottenuto la pole position.
Dopo le politiche del 2017 e la creazione del primo governo guidato da Sebastian Kurz, l’Austria era una specie di laboratorio politico del sovranismo occidentale, un modello che i populisti di destra sparsi sul continente potevano indicare come la via da seguire per entrare finalmente nel palazzo. Di nuovo: non era la prima volta che la FPÖ entrava in una coalizione di governo (successe già fra nel 2003, e negli anni Ottanta addirittura insieme ai socialdemocratici), ma il contesto gli dava un significato decisamente nuovo. La FPÖ era l’apripista, il primo dei fratelli sovranisti ad arrivare al potere.
Chi doveva spalancare le porte al sovranismo di governo è stato invece già buttato fuori. Un segnale premonitore anche per gli altri?
A due anni da quel risultato trionfale, la FPÖ è sconfitta e in pezzi, Strache si ritira dalla politica. Chi doveva spalancare le porte al sovranismo di governo è stato invece già buttato fuori. Un segnale premonitore anche per gli altri? Alla fine AfD in Germania ottiene buoni risultati ma non sfonda, Salvini non è più al governo e si ritrova a dover puntare quasi tutto sulle regionali in Umbria, Le Pen ha vinto le Europee in Francia ma Macron è dato in rimonta. Siamo già ai titoli di coda?
Certamente è troppo presto per dirlo. Se però sarà così, se davvero la vicenda di Strache racchiude in sé la parabola dell’ondata populista, si può forse individuare il momento in cui si è messo in moto il leggendario fiocco di neve che poi dà origine alla slavina: e se non è privo di simbolismo il fatto che quel momento veda un’altra volta uniti i due protagonisti principali di questa storia, Strache e Matteo Salvini, è certamente ironico che si situi temporalmente proprio quando il leader della Lega pensava di celebrare il suo trionfo, la sua incoronazione pubblica come campione del sovranismo contro l’Europa degli Juncker, delle banche eccetera eccetera.
Il 18 maggio di quest’anno, infatti, Salvini organizza a Milano un grande evento in chiusura della campagna elettorale per le Europee, e invita in Piazza Duomo tutti i suoi alleati continentali, nomi che in questi anni abbiamo imparato a conoscere bene: sul palco sfilano, acclamati dalla folla, Jörg Meuthen, il capo dei tedeschi di AfD, Geert Wilders dall’Olanda, Marine Le Pen. Nella delegazione della FPÖ c’è anche Strache, ma a parlare al microfono è Georg Maier, un nome non proprio di primo piano. Strache rimane defilato, in disparte, si fa qualche selfie con Salvini ma sul palco non lo si vede. È comprensibile: solo due giorni prima lo Spiegel e la Süddeutsche Zeitung hanno pubblicato il video di Ibiza, e le polemiche sono furibonde – a Vienna e non solo. Strache diventa in un attimo un appestato; il modello a cui i sovranisti si ispirano diventa di colpo piuttosto complicato da esibire come esempio virtuoso di strategia politica.
Ecco, chi era su quel palco in Piazza Duomo quasi sei mesi fa non poteva immaginarlo, ma forse, più che lo slancio decisivo verso la vittoria, stava celebrando l’inizio della fine.