L'aveva predettoCarlo Calenda: «La vicenda Ilva dimostra che Il Pd è diventato un partito populista»

Il fondatore di Siamo europei: «Ogni volta i dem cercano di convincere il M5S che sono più grillini di loro. Il governo non durerà e ha già fatto fuori l'ultima forza riformista che era rimasta in Italia»

«La vicenda dell’ex Ilva dimostra che il Pd non esiste più». A Carlo Calenda non è piaciuta la decisione del governo di eliminare lo scudo penale per i vertici di ArcelorMittal. L’emendamento approvato ieri dalle commissioni Industria e Lavoro del Senato, toglie l’immunità a tempo chiesta dall’azienda per completare senza noie legali l’ammodernamento degli impianti e attuare così il piano ambientale concordato col Governo. Quando tra pochi giorni il dl Salva Imprese sarà convertito in legge, l’ArcelorMittal avrà la scusa perfetta per chiudere lo stabilimento che fa perdere all’azienda tra i 30 e i 40 milioni al mese, come ha già minacciato di fare tre settimane fa. Secondo i sindacati sono a rischio 8mila posti di lavoro. Per l’ex ministro dello Sviluppo economico e leader di Siamo europei è «una decisione totalmente folle».

Calenda, cosa c’è di male nella revoca dello scudo penale?
Ma come si fa a pensare di cacciare un investitore così? Stiamo parlando di 4 miliardi e 200 milioni di euro complessivi tra pagamento del prezzo, investimenti industriali e ambientali. Cosa vuole fare il Governo? Tenersi l’Ilva ferma, non bonificata, che continua a inquinare? Non c’è un piano, né una logica. Soprattutto in una situazione difficile per il mercato dell’acciaio. Stanno offrendo ad ArcelorMittal il casus belli per ridimensionare l’azienda. Non ci meravigliamo se spegneranno la produzione a caldo e faranno solamente lavoro secondario sull’acciaio.

Eppure secondo il ministro dell’Istruzione Fioramonti, l’Ilva rappresenta il passato ormai, un modello industriale anacronistico e non più sostenibile.
Fioramonti ha sostituito Toninelli nel ruolo di ministro che dice le boutade. Si dovrebbe impegnare a risolvere i problemi della scuola, dove la situazione è difficilissima, invece di dire idiozie. Non sa di cosa sta parlando. Spegnere l’Ilva vuol dire rimanere dipendenti dall’acciaio che viene prodotto in Cina a condizioni ambientali incomparabilmente peggiori. L’Italia non avrebbe più una produzione primaria di acciaio mandando al diavolo la competitività del sistema Paese. Se potesse attuare il piano senza problemi l’Ilva diventerebbe la fabbrica per standard ambientali più pulita di tutta Europa. Nessuno ha mai investito quelle cifre per un piano industriale. Basta andare a Taranto a vedere cosa si sta costruendo in termini di copertura dei parchi minerari. Se con queste scelte si decide di far chiudere il più grande insediamento industriale del Sud Italia vuol dire che questo Paese ha perso il senso della sua missione: costruire lavoro e crescita.

Anche il Partito democratico sembra aver perso la sua antica missione di combattere il Movimento Cinque Stelle.
Il Pd è diventato un’appendice dei grillini. Basta andare a vedere cosa pensa di reddito di cittadinanza, quota 100, la nazionalizzazione di Alitalia, il taglio dei parlamentari. Il Partito democratico non c’è più. Continua a chiedere al Movimento 5 Stelle di fare un’unione politica e si becca il rifiuto di Di Maio che non ci pensa proprio. Ogni volta i dem cercano di convincere il M5S che sono più grillini di loro. Guardate che la norma sull’immunità non l’ho mica fatta io, l’ha fatta il governo del Pd. Forse non se lo ricordano.

Il Pd si è grillinizzato anche nel fare la Legge di Bilancio?
Certo, dicono di pensare ai giovani e poi varano un documento programmatico di bilancio che sugli under 30 non mette un euro. Noi di Siamo europei abbiamo proposto una manovra alternativa: zero imposizione fiscale per chi ha fino a 25 anni d’età e poi una progressiva dai 25 ai 30. Consentirebbe ai giovani che vogliono metter su famiglia, che hanno un’attività economica o che prendono stipendi da fame di avere più soldi in tasca. Però ovviamente questo non interessa più, così come non interessa la scuola che un tempo era una priorità del Partito democratico. Anche lì, zero euro. Si sono persi. Pensano di risolvere il problema dell’ambiente con la plastic tax mentre il punto centrale è creare gli stabilimenti di riciclo del pet. Il Pd è diventato un partito populista,era prevedibile.

Addirittura.
Ma certo. Era prevedibile che Renzi facesse la scissione, che il Pd andasse al seguito dei 5 Stelle, che il governo non riuscisse a governare, che Forza Italia sarebbe tornata nel centrodestra. L’avevo scritto fino all’ultima riga qualche mese fa e non perché sono brillante io: era sotto gli occhi di tutti. L’unica differenza tra il Pd e il M5S è nei toni. Zingaretti va in televisione con un’aria simpatica e gentile ma non dice nulla e segue i grillini fino al punto di dire che la Raggi governa bene a Roma. Mi sono sbagliato solo sui tempi: non ci sono voluti sei mesi per la metamorfosi, è bastato un mese e mezzo. Il risultato è che il Pd è tornato nei sondaggi ai livelli del 4 marzo 2018. E dire che eravamo arrivato al 23% alle elezioni europee, contenti loro.

Visto che era tutto prevedibile, come andranno le elezioni in Umbria?
L’alleanza M5S-Pd perderà il 27 ottobre. La Lega ormai è ritornata al 34% nei sondaggi, e sta crescendo molto anche Fratelli d’Italia. Avremo due poli: uno sovranista guidato dalla Lega e uno populista guidato dai 5 Stelle.

Ecco perché al centro cominciate a essere in tanti. Perché non si unisce con Italia Viva di Renzi? Ci sono così tante differenze?
Renzi è parte stabile di questa maggioranza, nata grazie a lui. Il suo comportamento è persino più indecoroso di quello di Zingaretti. Renzi sta dentro la maggioranza ma si sta alleando con Di Maio per far fuori Conte. È una compulsione a ripetere quello che era già successo con Gentiloni. Chiunque diventa presidente del Consiglio, Renzi non lo può vedere, perché ci vuole stare lui a Palazzo Chigi. Non è la premessa per fare buona politica.

E con chi si può fare buona politica?
Inizieremo a lavorare con Più Europa, lo stiamo facendo anche con Stefano Parisi. Cercheremo mobilitare il Paese. La strada non può essere quella di Renzi, perché ha fatto un’operazione di palazzo che nulla c’entra con Macron.

Lei ha detto che Renzi assomiglia di più a Mastella.
Sì perché non c’è niente di serio nel varare un governo alleandosi coi 5 Stelle che aveva insultato fino al giorno prima. E poi dopo aver messo dentro i suoi fidati, ha fatto una scissione, si è preso dei senatori e martella l’Esecutivo ogni giorno. Così non ha senso.

Perché allora durante la Leopolda ha twittato una foto di lei e Renzi quando eravate al Governo?
Perché rappresentava un momento storico in cui combattevamo le partite a viso aperto. Avevamo coraggio, non tatticismo. Eravamo veramente convinti che l’Italia si dovesse cambiare senza paura. Quella cosa non c’è più. La sconfitta alle elezioni amministrative del 2016 ha determinato in Renzi un cambiamento profondo ed è diventato ciò che voleva rottamare. Ovvero il contrario di quello che era per come me lo ricordo. Sono amareggiato perché è dal governo Gentiloni che Renzi è diventato irriconoscibile.

Non penso sopravvivrà. Ormai è troppo compromesso ed è ridotto a brandelli. Il problema è che abbiamo fatto fuori l’ultima forza riformista che era rimasta in Italia: il Partito democratico


Carlo Calenda

I 5 Stelle no, il Pd no, Italia Viva no. A che elettorato guarda Siamo europei?
Semplice: siamo alternativi ai populisti e ai sovranisti. Sono due ricette fallimentari che hanno in comune un rifiuto per la democrazia liberale e rappresentativa. C’è a rischio la collocazione italiana nel mondo. Fuori c’è un elettorato vasto da conquistare e non solo nell’area dell’astensione. Ci sono tanti elettori che votano la Lega perché non esiste un’alternativa. Lo stesso vale per i delusi di Forza Italia e del Partito Democratico, che sono molti. Quando abbiamo fatto i focus group per il lancio del nuovo movimento mi ha impressionato sentire dagli elettori frasi del tipo: “Lo so che Salvini non è adatto e Zingaretti è scolorito, ma non c’è altro in giro” e così via. Ma la partita più grande è un’altra.

Quale?
Non ha senso darci una collocazione rispetto ai vecchi partiti, questa classe politica è destinata a scomparire. Sembra di stare nella fine della Prima Repubblica. Ormai siamo in un sistema politico dove nessuno vota più con convinzione. Per questo non ho fatto neanche una telefonata per portarmi dietro dei parlamentari.

Lei ha detto che non vuole fare un partitino e spera di arrivare alle elezioni con almeno il 10% nei sondaggi. Se si andasse a votare tra poco sareste pronti?
Dipende quando si andrà a votare. Sicuramente da giugno in poi saremo pronti. Anche se penso che la legislatura andrà avanti.

E il Governo?
Non penso sopravvivrà. Ormai è troppo compromesso e ridotto a brandelli. Il problema è che abbiamo fatto fuori l’ultima forza riformista che era rimasta in Italia: il Partito democratico.

In attesa delle elezioni, parliamo di due questioni ancora calde in sospeso: Whirlpool e Alitalia. Come si possono risolvere?
Whirlpool non è più risolvibile, è stata gestita in un modo terrificante con menzogne agli operai e dichiarazioni da bulli. C’è una responsabilità gigantesca dei sindacati che non hanno detto nulla sulle sue bugie di Di Maio. Hanno esultato quando prometteva di togliere i contributi a Whirlpool pensando fosse la panacea di tutti i mali. E ora che nel dl Imprese stanno mettendo i contributi nessuno dice bah. L’ironia è che la stessa Whirlpool ha detto che non serviranno a niente. Un dilettantismo mai visto.

Come se ne esce?
La Whirpool è pronta a dare una sostanziosa dose a chi re industrializzerà l’azienda. Ma abbiamo visto con Embraco che chi re industrializza non è sempre capace. Per questo avevo creato un fondo di anti-delocalizzazioni che consentiva all’Agenzia Nazionale per lo sviluppo d’impresa di prendere delle piccole minoranze nelle società che subiscono queste storture del mercato. Avevo proposto di prendere il 10% di Whirlpool e verificare come va, in maniera da non trovarsi con sorprese. Di Maio invece ha cancellato la mia idea e ha deciso di dirottare i finanziamenti in un fondo di venture capital come se fosse questo il compito del Governo. Ricreare il fondo anti-delocalizzazioni potrebbe essere un buon primo passo.

E Alitalia?
L’unica cosa che bisognava fare era venderla a Lufthansa. Col nostro governo eravamo arrivati al metro prima del traguardo. C’era un’offerta chiara che avrebbe mantenuto il logo e le rotte. Certo la manutenzione si sarebbe dovuta vendere a un’altra azienda con il taglio di numerosi posti di lavoro, ma era l’unico modo per farla sopravvivere. Poi ci sono state le elezioni, è arrivato Di Maio che ha voluto fare il fenomeno e ha tirato su un accrocchio terrificante con un conflitto d’interessi gigantesco. Atlantia e Ferrovie dello Stato praticano già la rotta Milano-Roma e avrebbero il completo monopolio di tutti i mezzi. Una follia. Che Di Maio fosse una persona impreparata nei tavoli delle trattative lo sapevamo, ma almeno i sindacati potevano fare qualcosa.

Perché non l’hanno fatto?
Perché a eccezione della Cisl che ha preso posizioni coraggiose, i sindacati hanno deciso di fiancheggiare il M5S. In particolare mi riferisco a Cgil e Fiom. Hanno firmato un accordo sull’Ilva che oggi porta 4.800 persone in cassa integrazione. Sapevano perfettamente che la situazione era questa. Se noi avessimo fatto un decimo di quello che hanno fatto i Cinque Stelle ci sarebbe stata la rivoluzione. Basta un’immagine per capire quanto i sindacati non abbiano fatto il loro dovere.

Quale?
La foto di Di Maio al convegno della Uilm con indosso il cappello dell’Ilva che gli aveva dato festante il segretario Rocco Palombella. Sembrava il salvatore di Taranto e nessuno ha fatto notare che negli stessi giorni parlava della chiusura dell’impianto. Hanno avuto un collateralismo politico gigantesco.

Alitalia, Ilva, Whirlpool. Non sarà facile neanche per Patuanelli al Mise.
Patuanelli è più preparato di Di Maio, non che ci voglia molto. Il problema è che ha mantenuto tutto lo staff del capo politico M5S responsabile dei disastri ai tavoli delle trattative. Con il capo di gabinetto, il segretario generale e il responsabile delle crisi scelti da Di Maio, può fare ben poco di diverso.

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