Perché (ti) scrivo?
Perché, tra parentesi, non so chi sei. Siamo stati niente, l’una per l’altro, l’altra per l’uno. Non siamo stati. Non ci siamo mai visti né sentiti né pensati. Infatti non ci siamo.
Non ci siamo. In che senso? Con le mani, con le mani non ci siamo, ecco in che senso.
Questo senso, il tatto, sbriciola con due dita gli altri sensi, già un po’ leziosi e metafisici anche quando sono in attività (il suono è aria mossa, l’odore è aria annusata, la vista è aria dipinta, robe eteree), escluso, forse, il gusto ma solo inteso come lingua, più la punta che tutto il resto (sì, certo, come no, anche la superficie, convessa ma anche concava, e in ogni direzione, certo, sì).
E allora a chi scrivo? A te, e non so chi tu sia. Non sto parlando di chi legge (mi districo tra chi legge, come in un canneto, per raggiungerti), no, sto parlando a te, una, a te che avrei potuto incontrare e non avvenne.
Mi stai leggendo? Ti riconosci? Non nel personaggio, qui non c’è personaggio. I personaggi più sono personaggi meno sono te, sono tutt’al più quasi eterni, i meglio riusciti, un po’ immortali, così pare, quindi la vita umana non è vita da personaggi, che è troppo lunga e poi troppo a parole.
Tu, qui, riconosci te?
Abbiamo poche righe in corsa, queste, per lasciar scritto che noi siamo colei e colui che non si incontrarono, non sapendo nemmeno dove e nemmeno quando, e nessun fatto avvenne.
C’è tra noi questa scimmietta e questo pappagallo: la scrittura, che è un testo a due bestie, versi rifatti e parole ripetute, agilità e piumaggio, code prensili e code colorite. Ma la nostra coda mancante mai si prolungò in coda narrativa di bertuccia o di cacatua.
Ci immagini tra i rami, con addosso frammenti mossi di sole infranto dalle foglie agitate?
Sarebbe bello, no? Se fossimo bestiole. Ma siamo solo umani ossia carne che parla, e parla, e addirittura scrive, e anche dipinge.
I quadri, a che servono? Soprattutto i quadri a vapori, quei quadri a pennellate tipo Turner, nebbie e polvere d’acqua, foschie. Per farmi venire in mente sempre questo, sennò a che servirebbero quegli intrugli di colori e diluente? Questo: dov’è la sconosciuta, sotto gli strati, oltre la tela, di là dalla parete, nel mondo che forse è pure un altro quadro ?
A cosa servono i fumi delle arti negli occhi? A farci consapevoli che non incontrammo chi non incontrammo. C’è dell’ovvio in questo? Certo. E nell’ovvio ci sei tu che non ci sei. Questo è ovvio. Ti è sempre parso o no che dove c’è l’ovvio noi non ci siamo? L’ovvio è potente, esclude tutto il resto.
Insomma, io che ti scrivo, scrivendo a te, non so a chi scrivo, e però ti scrivo fuor di scrittura ossia fuor di metafora, là dove nulla è scritto. Insomma, sto tacendo.
‘Mi pare ovvio’ significa che nient’altro appare.
Non dovremmo che creare un ovvio nuovo.
Dietro velature di parole, dove sei? Io sono qua, Mi riconosci, adesso, un poco?
Siccome non ci conoscemmo, mi riconosci qui? Siamo noi coloro che non sappiamo chi. Ricordi? Siamo quelli che non hanno alcun ricordo di loro, che saremmo noi non essendo noi due.
Io non mi stupirei se tu da un quadro… da un libro uscissi come un segnalibro al contrario che se n’esce da le pagine a segnare in me la vita. O no?
Ecco, noi non ci conosciamo, o sconosciuta. E io, per il potere che mi do da solo, in assoluto arbitrio assolutista, qui svelo l’ambizione dello scrivere: farti piangere il cuore. Perdonami. L’effetto mi ha preso la mano, ma l’ho fatto apposta e l’ho lasciato fare, perché qualcosa mi prendesse la mano. Ma le parole non sono tutte, forse, un po’ iperboliche?
Insomma, io che ti scrivo, scrivendo a te, non so a chi scrivo, e però ti scrivo fuor di scrittura ossia fuor di metafora, là dove nulla è scritto. Insomma, sto tacendo.
Questo testo, come avrai notato, è in 4D. L’hai notato? Tu chi?