Servono 40 miliardi per salvare tutta l’Italia dal dissesto idrogeologico. Ma tutti questi soldi lo Stato non li ha. Ci sono però una decina di miliardi che i governi hanno stanziato negli ultimi anni che potrebbero sistemare in gran parte il nostro Paese, ma questi finanziamenti vengono spesi poco e male. Perché? Burocrazia, incapacità dei Comuni nell’elaborare i progetti, iter infiniti e vertenze impediscono di rimettere a posto i ponti, le strade e le scuole danneggiate dal maltempo. Un sistema inefficiente che costringe a riparare invece di prevenire. A denunciarlo è la Corte dei Conti in un referto del 31 ottobre in cui segnala che «le risorse effettivamente erogate alle Regioni a partire dal 2017 rappresentano solo il 19,9 per cento dei 100 milioni di euro in dotazione» al Fondo Progettazione. Creato nel 2015, quel fondo serve per progettare le opere pubbliche anti dissesto, ma gli ultimi dati disponibili dicono che solo il 10% delle opere potenziali avevano un progetto concreto. Senza, non possono partire i cantieri. Le cause? Procedure inadeguate, revisioni di progetti approvati e procedure di gara non svolte, scarso monitoraggio, assenza di comunicazione tra Stato e Regioni, spesso in competizione tra loro. E soprattutto la difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali di svolgere le funzioni ordinarie che ha portato al «ricorso ripetuto alle gestioni commissariali».
Tutto questo secondo la Corte dei Conti si è tradotto in una «mera raccolta di richieste di progetti e di risorse, talvolta non omogenee, senza addivenire ad una vera e propria programmazione strategica del settore». Secondo la Corte servirebbe almeno un sistema unitario di banca dati di gestione del fondo. E più si aspetta, più aumentano i danni. Secondo l’Ance, associazione nazionale costruttori edili, frane e alluvioni ci sono costate 3,5 miliardi all’anno dal 1944 al 2012. Oggi, con il cambiamento climatico le bombe d’acqua che devastano ponti e fanno esondare i fiumi sono triplicate: dalle 395 del 2008 alle 1024 del 2018. E secondo il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli il conto del maltempo può salire a 7 miliardi ogni anno. E anche quando l’Unione europea sporca, brutta e cattiva ci tende una mano, non sappiamo stringerla a dovere. Secondo l’Agenzia per la coesione territoriale dal 2007 a oggi le regioni Italiane hanno speso appena il 20% degli 1,6 miliardi concessi da Bruxelles tramite i fondi dedicati a progetto contro il dissesto idrogeologico: 320 milioni.
Eppure i soldi ci sono sempre stati, almeno per fare gli interventi più urgenti. Nel 2014 il Governo Renzi con ItaliaSicura stanziò 9,5 miliardi di euro, ma ne furono spesi solo tre in 1475 progetti. Addirittura nel 2017 Gentiloni riuscì a trovare 10 miliardi per il suo SbloccaItalia, aggiungendo un miliardo dai prestiti della Banca europea degli investimenti. Più o meno la stessa cifra prevista da Giuseppe Conte che ha cambiato il nome del piano in Proteggi Italia: 10,853 miliardi di euro stanziati per il triennio 2019-2011. Italia Sicura, Sblocca Italia, Proteggi Italia. Passano i governi, cambiano i nomi, aumentano frane e alluvioni. E si rimandano interventi necessari. Oltre 140 milioni di euro per il piano anti dissesto in Veneto, 120 milioni per i cantieri bloccati o mai partiti che dovrebbero bloccare l’esondazione del Seveso o i 220 milioni per mettere in sicurezza il Sarno. Per dirne tre.
Su tre miliardi a disposizione i commissari straordinari hanno stanziato per il 2019 solo 315 milioni di euro in 263 progetti esecutivi di tutela del territorio dal dissesto idrogeologico. Un decimo dei finanziamenti previsti
Certo, con dieci miliardi stanziati dal Governo Conte si potrebbero fare tante cose. Anche se i miliardi da poter spendere sono solo 3,124 per «16 Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano colpite dal maltempo nei mesi di ottobre e novembre 2018». Pazienza, è una bella cifra. Peccato che nel Piano Stralcio, ovvero i soldi gestiti dal ministero dell’Ambiente, i commissari straordinari abbiano stanziato per il 2019 sono solo 315 milioni di euro in 263 progetti esecutivi di tutela del territorio dal dissesto idrogeologico. Un decimo dei finanziamenti previsti. Un decimo. Dove sono finiti gli altri progetti che servirebbero a rimettere a posto il 79% del territorio nazionale colpito dal dissesto? Per questo il ministro Costa ha creato una task force per aumentare la comunicazione tra Stato e Regioni. L’obiettivo è che i progetti diventino cantieri il prima possibile. La cabina di regia del ministero si chiama Strategia Italia. La fantasia non è al potere.
Il problema è che i Governi prevedono misure perfette sulle carta che hanno il piccolo difetto di essere messe nel bilancio nella casella “conto capitale”. Tradotto: hanno bisogno di seguire la procedura ordinaria. Bisogna prima inserire i fondi in un piano triennale di opere pubbliche, poi lasciare alle Regioni il compito di richiedere i fondi e infine lasciare ai Comuni il compito di redigere i progetti specifici e segnalare alle Regioni dove intervenire. Tra il programmare e il progettare possono passare tanti mesi. E il 69% degli 8100 comuni italiani ha meno di cinquemila abitanti. Non tutte le amministrazioni possono vantare geometri competenti o almeno tenaci nel seguire l’iter burocratico per inserire i progetti nella piattaforma Redis. Il software previsto dal ministero che permette di sbloccare i fondi solo se la Regione approva il progetto del Comune.
Secondo una stima ancora più recente del 2017 basterebbero 29 miliardi per mettere in sicurezza il Paese. Più o meno la cifra che secondo il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che si potrebbero sbloccare per la cura del territorio italiano. Sarebbero 25,9 miliardi e proverrebbero dai fondi non utilizzati dopo lo smantellamento di Italia Sicura. Dai 12 miliardi 800 milioni per la mitigazione del rischio, ai 3 miliardi a testa previsti per l’edilizia scolastica, le reti fognarie e depuratori, il sisma bonus, il piano invasi e acquedotti. Questi sono i dati snocciolati durante la presentazione del piano Shock il 15 novembre a Torino. I soldi in teoria ci sarebbero, ma sono previsti per i prossimi decenni. Per esempio la legge di Bilancio ha già stanziato 3,5 miliardi per la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico delle oltre 7.400 scuole, ma all’interno di un piano che va dal 2020 al 2034. Solo 100 milioni saranno erogati per il 2020 e 450 milioni fino al 2022. Quindi sono finanziamenti previsti ma a oggi non disponibili. In futuro però entreranno sicuramente nelle casse dello Stato perché il Governo ha previsto di spostare in questo settore una parte del gettito fiscale dei prossimi anni. Secondo il leader di Italia Viva, quei soldi potrebbero essere “anticipati” perché sarebbero molti i soggetti disposti a fornire dei prestiti ponte per pagare le imprese in attesa di ricevere gli stanziamenti statali. Soldi sicuri, secondo l’ex presidente del Consiglio. Ma che siano 25 miliardi, 10, 1 o 315 milioni, se saranno gestiti a questo ritmo e con questa burocrazia non saranno utili neanche 40 miliardi. E faremo prima ad aspettare che il maltempo butti giù tutto per ricostruire da zero.