Quando si parla di Checco Zalone in Italia si apre una voragine emotiva, una scissione che sembra avere la ferocia dell’odio tra guelfi e ghibellini. Due fazioni contrapposte pronte a darsi battaglia pur di osannare oppure denigrare il comico pugliese. C’è chi crede che Zalone sia l’incarnazione massima della risata nostrana, erede dei grandi maestri del passato, capace come nessun altro a mostrare i vizi dell’italiano medio contemporaneo creando la maschera del qualunquista alla Sordi (anche se non con il suo stesso sadico cinismo).
Dall’altra parte della barricata c’è chi lo odia profondamente indicandolo come simbolo massimo della decadenza italiana, capace di far ridere solo gli ignoranti o il popolino incapace di qualsiasi analisi critica, figli di Zelig pronti a ridere a comando come il pubblico non pagante di una trasmissione televisiva. Io mi ritrovo nel mezzo – un po’ ignavo, un po’ pigro – a pensare che Checco Zalone sia un ottimo comico, una persona estremamente intelligente che mi fa ridere senza però farmi gridare al miracolo ogni volta che vedo un suo film.
In Italia un fenomeno di costume dal grande successo commerciale diventa immediatamente motivo di battaglia e divisione, come se non esistesse il bello senza che sia per forza un capolavoro o il brutto che si trasforma come per magia nella cosa peggiore mai vista. La comicità di Zalone oscilla con grazia tra la commedia popolare e quella considerata più alta attraverso un uso sapiente dei tempi comici e della fisicità e dell’espressività del suo volto. Se nei suoi film si cercano i ragionamenti complessi e la scorrettezza intelligente e tagliente dei migliori comici stand-up si sta sbagliando campo da gioco. E anche se si volesse vedere il rapporto tette/culo e scorregge non è Zalone il comico giusto per questa equazione che ha avuto tanto successo nel passato, anche prossimo. Checco Zalone si posiziona in una dimensione nuova con il physique du rôle perfetto per il ruolo che interpreta (come lo era Villaggio per il suo Fantozzi) e un modo unico di interpretare un certo tipo di italiano post berlusconiano e ora tendente al populismo esasperato, un essere umano – parafrasando Steinbeck – che non si sente povero ma un milionario in temporanea difficoltà.
Tolo Tolo è la sua opera più ambiziosa, un viaggio a ritroso di un italiano coperto dai debiti per tornare dall’Africa in Europa. Anche se Zalone – in maniera commercialmente intelligente – non trasforma il suo film in una commedia drammatica che forse gli avrebbe dato meno pubblico ma più valore critico. Ad esempio il personaggio interpretato da Roberto Benigni è dovuto morire per dare a La vita è bella la maestosità dell’opera immensa capace di entrare nel micro mondo dei premi attraverso una commedia che tratta un tema delicato come l’Olocausto. Ma quello di Checco Zalone non ha l’ambizione di cambiare la mentalità in ottica di giusto e sbagliato, non vuole essere un faro che illumina il pensiero ma vuole ridere con (con de) gli spettatori e delle loro nuove paure, come quelle dell’immigrato pronto a rubargli il lavoro, anche se il lavoro non c’è. Il film ha una certa continuità con l’Africa del film precedente Quo Vado? e un modo di trattare le grandi tematiche sociali similare a Che bella giornata, in quel caso si trattava di terrorismo mentre in Tolo Tolo sono il razzismo e il fascismo ad essere il fulcro della narrazione (trattare il fascismo come una malattia che aumenta con il caldo e lo stress è una trovata molto azzeccata).
A me Zalone fa ridere, a volte tanto a volte un po’ meno, ma guardo volentieri un suo film perché credo nel valore della risata e penso che abbia il talento necessario per farci immergere in un contesto che conosciamo bene ma di cui si fatica a parlarne senza finire a litigare. Lui riesce a essere l’uomo qualunque, ignorante e truffatore ma sostanzialmente buono, che attraverso il paradosso del suo vissuto riesce a migliorare pur rimanendo sostanzialmente uguale a prima. Non penso sia corretto parlare dei suoi lavori con la scimitarra della ragione. Sono 90 minuti piacevoli, un’ora e mezza di risate e sorrisi che non hanno bisogno di tifosi pronti a una resa dei conti finale in stile hooligans per disquisire sul film. Non è una vergogna andare al cinema a vedere Tolo Tolo, come non lo è decidere di non farlo. Per fortuna esiste il libero arbitrio, anche se spesso ce lo dimentichiamo.