Caos di cittadinanzaUn 2019 di disastri sul lavoro: tra navigator, Mississippi, app milionarie e decreto dignità

Due ministri: Di Maio e Catalfo. Un guru arrivato dagli Usa: Mimmo Parisi. E 3,8 miliardi spesi nel reddito di cittadinanza. Eppure, i nuovi posti creati sono solo il 3,6 per cento. Calano i contratti stabili, aumentano la cassa integrazione e gli inattivi

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella lo ha detto nell’incontro con le alte cariche dello Stato al Quirinale per gli auguri di fine anno. La grande emergenza nell’Italia che entra nel nuovo decennio è ancora «il lavoro che manca». Non sono bastati due ministri del Lavoro in un anno, Luigi Di Maio e Nunzia Catalfo – entrambi 5S – un decreto dignità e un reddito di cittadinanza a risollevare nel 2019 le sorti del lavoro in Italia. Né è bastato il trasferimento a Roma del guru del Mississippi Mimmo Parisi, presidente di Anpal, annunciato in pompa magna dal capo politico grillino per importare in Italia i “navigator” e rivoluzionare i centri per l’impiego con un software simile a quello sviluppato oltreoceano. In tanti lo avevano detto da subito che non sarebbe servito copiare il modello di collocamento al lavoro di uno degli Stati più poveri degli Usa né adottare nuovi termini anglofoni per creare lavoro. E così, infatti, è stato.

Quasi un anno dopo il trasferimento del prof italoamericano, il bilancio è tutt’altro che positivo. Quello che sappiamo è che il termine navigator è entrato nel dizionario comune dopo il concorsone alla Fiera di Roma e l’assunzione di 2.980 di loro nei centri per l’impiego, senza in realtà sapere davvero che cosa facciano. Che Mimmo Parisi ha fatto su e giù tra l’Italia e il Mississippi più o meno una volta al mese, presentando note spese che in sei mesi superano i 100mila euro, come raccontano fonti interne di Anpal (che però contrariamente a quanto prevede la legge non ha pubblicato nessuna informazione né sui compensi né sulle spese di Parisi). E che il software di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, Italy Works (sul modello del Mississippi Works creato da Parisi negli States), ancora non è pronto. Parisi è tornato a negoziare con Invitalia lo sviluppo della app al costo di 17 milioni, nonostante una consulenza privata fatta ad Anpal abbia messo nero su bianco che basterebbe meno di un milione per farlo, ma ancora si aspetta di capire come e chi svilupperà la app. Sul piatto del decretone, il Movimento Cinque Stelle ha stanziato ben 25 milioni per lo sviluppo della piattaforma. In compenso, ancora si tratta e si litiga per la stabilizzazione dei 654 precari di Anpal che per tutto il 2019 hanno organizzato scioperi, manifestaizoni e sit-in tra l’agenzia, il Mise e il ministero del Lavoro.

E il lavoro? In questo bailamme di guru, navigator, software americani, Big Data, convention con campane di vetro e musica dei Queen, l’unico vero assente del 2019 è – appunto – il lavoro. Il primo dicembre scorso Il Messaggero faceva sapere che per il reddito di cittadinanza erano stati spesi 3 miliardi di euro e soltanto mille persone avevano trovato un posto grazie ai patti per il lavoro sottoscritti. Mimmo Parisi ha subito smentito parlando di 18mila posti di lavoro, senza entrare nei dettagli. Poi, dopo un tira e molla sui dati e una conferenza stampa saltata all’ultimo momento su ordine del ministero del Lavoro, il 23 dicembre scorso, a sorpresa, Anpal ha pubblicato il resoconto di quanti percettori del reddito di cittadinanza hanno trovato lavoro da maggio – mese dell’avvio dell’erogazione del sussidio – fino al 10 dicembre: 28.763 su 791.351 beneficiari avviabili al lavoro. Vale a dire il 3,63%. Pochino. Da Anpal, non a caso, si sono guardati bene dal fornire la percentuale sul totale. In compenso scrivono che l’accelerazione si è avuta nell’ultimo mese: +63,3% rispetto alla precedente rilevazione. «Comunichiamo questi dati», ha dichiarato il presidente Anpal, Mimmo Parisi, «con grande soddisfazione, poiché indicano come il reddito di cittadinanza stia funzionando su tutto il territorio, compreso il Mezzogiorno». Secondo Parisi, esperto conoscitore di dati, insomma i numeri sarebbero positivi. E il dubbio è che il guru stia facendo anche da noi quello che i giornali del Mississippi denunciano da tempo: utilizzare i dati a proprio favore per descrivere una realtà più rosea. Si spera di essere smentiti, con i risultati ovviamente.

Intanto, mentre i bonifici continuano ad arrivare puntuali nelle PostePay dei beneficiari del reddito, al 13 dicembre sono stati convocati nei centri per l’impiego per la fase due del reddito solo 422.947 beneficiari. Vale a dire: poco più della metà dei percettori ritenuti occupabili. Pochi. Se si conta che a fine 2019 il costo totale del reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare a 3,8 miliardi di euro, il risultato è di una spesa di oltre 130mila euro per posto di lavoro creato. Più gli stipendi dei navigator assunti ad hoc.

Ma se per arrivare al primo compleanno del reddito di cittadinanza e tirare le somme bisognerà aspettare la primavera, quello del decreto dignità grillino – primo provvedimento del fu ministro del Lavoro Di Maio – lo abbiamo già “festeggiato” a inizio novembre. A dir la verità, però, in pochi hanno fatto festa. Tranne la ministra Catalfo, ovviamente, che a fine novembre esultava per una crescita dell’occupazione dello 0,2% in un mese. «Avanti così», scriveva. Senza sapere che se è vero che l’occupazione aumenta di poco, è anche vero che da qualche mese ormai non si tratta più dei contratti stabili a cui puntava il decreto dignità grillino, ma soprattutto di lavoratori autonomi e a termine. Aprendo l’ipotesi di un continuo turnover dopo l’introduzione dei paletti più rigidi sui rinnovi, come raccontano d’altronde gli addetti delle risorse umane. Anche a guardare i dati Inps, si vede che la crescita dei contratti a tempo indeterminato negli ultimi mesi si è arrestata, facendo registrare numeri più bassi rispetto al 2018. E con le nuove regole stringenti, sono stati i contratti in somministrazione a subire un tracollo verticale. Da qui, probabilmente, la crescita delle partite Iva individuali, che invece avevano preso a diminuire. Con l’ipotesi che più che di vero lavoro autonomo si tratti in realtà di false partite Iva.

E il tasso di disoccupazione giovanile, che pure è sceso in un anno di oltre il 4%, è stato accompagnato anche dall’aumento dei giovani inattivi, cioè di coloro che non studiano e non lavorano. Nel complesso, i Neet nella fascia di età15-29 anni sono pari a 2.116.000, rappresentando il 23,4% dei giovani della stessa età. Con l’Italia che resta ancora maglia nera d’Europa.

Intanto, tanto per capire quanta attenzione ci sia sull’occupazione giovanile nel Paese di quota cento, il decreto attuativo del decreto dignità sui bonus per le assunzioni stabili degli under 35 non è mai stato varato né da Di Maio né da Catalfo. L’articolo del decreto era scritto male e non si poteva appliocare. E per il momento, l’imprenditore che voglia assumere un giovane deve rifarsi ai bonus della manovra 2018. Cosa che crea non poca confusione. Non solo. Il famoso Bonus Eccellenza, l’esonero contributivo per l’assunzione di laureati e dottori di ricerca non è mai stato attivato dall’Inps di Pasquale Tridico.

Il vero campanello d’allarme, ora, è che, nell’ultima rilevazione Istat, di fronte al calo generale dei disoccupati, si è assistito anche all’aumento degli inattivi totali, cioè di quelli scoraggiati che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano più. Un dato che va nella direzione opposta rispetto all’effetto atteso del reddito di cittadinanza che, almeno nelle intenzioni, sarebbe dovuto servire anche a trovare un lavoro a chi non ce l’ha. Facendo aumentare positivamente la disoccupazione.

Anche perché, nonostante nel trimestre del 2019 le persone occupate abbiano superato – seppur di poco – il livello del 2008, sia le ore lavorate sia le unità di lavoro (Ula) non sono tornate ai livelli precrisi. In dieci anni, gli occupati a tempo parziale perché non sono riusciti a trovare un lavoro a tempo pieno sono cresciuti di 1.560.000 unità, passando dal 5,8 al 12,3 per cento, mentre quelli a tempo pieno hanno perso quasi 680 mila unità. Mentre le ore di cassa integrazione continuano a salire: a novembre 2019 l’Inps ha concesso 30,9 milioni di ore, segnando un +37,7% rispetto allo stesso mese di novembre del 2018. In totale, nei primi undici mesi del 2019 sono stati chiesti 243,3 milioni di ore di cassa con una crescita del 20,45% sullo stesso periodo del 2018, dato trainato dalle richieste di Cig straordinaria (+33,39%).

Colpa di tutte quelle crisi aziendali rimaste irrisolte sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico. Passate di mano in mano da Luigi Di Maio a Stefano Patuanelli, senza mai trovare una soluzione. E il 2020 che sta per iniziare sarà tutt’altro che un anno semplice. Le stesse crisi aziendali del 2019, che i sindacati hanno da poco portato in piazza a Roma, si presenteranno anche nel nuovo decennio. In ballo ci sono circa 300mila posti di lavoro per 159 vertenze aziendali, molte delle quali si trascinano stancamente da anni. Non solo quelle “grandi” come Ilva e Alitalia, ma anche quelle crisi che riguardano le “periferie del lavoro” di cui nessuno sembra volersi occupare. Se non con proroghe continue della cassa integrazione.

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