Non ama parlare in pubblico, non chiama alle sei del mattino i giocatori della Juventus e non mette l’orologio sopra il polsino. John Elkann non ha mai voluto apparire come la copia del nonno Gianni Agnelli. E forse per questo è l’uomo d’affari più sottovalutato d’Italia, un paese che sa riconoscere leadership domestiche ma che fatica a capire le dinamiche globali. Nonostante frequenti Jeff Bezos di Amazon, Larry Page di Google e Barack Obama, in Italia Elkann è considerato una specie di alieno. È stato definito «inesperto», «miracolato» e anche peggio. Descritto così, non si spiega come abbia potuto trasformare l’azienda di famiglia con i conti in rosso nel terzo gruppo automobilistico del mondo, prima grazie all’operazione Chrysler e ora alla fusione con i francesi di Psa. I numeri sono ancora più chiari: dal momento in cui Elkann è diventato presidente della Exor, il primo marzo del 2009, le azioni del gruppo sono cresciute ogni anno di oltre il 27% fino al 2015. Nel 2018 il fatturato del gruppo è arrivato a 143,2 miliardi di euro e il valore complessivo netto è passato dai 3,9 miliardi di euro del 2009 ai 23,9 di quest’anno. In dieci anni il valore in Borsa è aumentato di dieci volte: 1,7 miliardi di dividendi dati agli azionisti. Tradotto: chi ha investito 1 ha guadagnato dieci. In mezzo, anche otto scudetti della Juventus, affidata al cugino Andrea Agnelli.
Una crescita dovuta a una strategia poco italiana realizzata con Sergio Marchionne, ma consolidata da Elkann: fusioni internazionali per competere a livello globale, prima con Chrysler, ora con Psa e scorporamento delle aziende per valorizzare i singoli marchi, come Iveco e Ferrari (quotata in Borsa nel 2016) o per cederli a terzi, come la Magneti Marelli. La vendita di MM alla giapponese Calsonic Kansel ha fatto triplicare gli utili del gruppo nel primo trimestre del 2019: da 741 a 2.427 milioni di euro. Grazie alla fusione con Psa, la prima società in Italia per fatturato e la 19esima al mondo (dati Forbes 500), nel 2022 avrà a disposizione in cassa 3,6 mliardi per nuove acquisizioni, forse nel mercato asiatico. «Continueremo a costruire grandi aziende – ha detto Elkann – E nei prossimi dieci anni ne compreremo di nuove».
Gran parte del merito è di Marchionne, ma a sostenere il suo piano è stato fin dal primo momento Elkann. Nel 2004 la Fiat perdeva 2 milioni di euro al giorno e le banche premevano affinché l’azienda fosse venduta per ripagare il prestito di 3 miliardi di dollari. Fu Elkann, allora vicepresidente, a chiedere a Marchionne durante una cena all’Hotel Angleterre a Ginevra, di prendere in considerazione l’idea di diventare il Ceo di Fiat. E fu sempre Elkann a sostenere il piano del manager italo-canadese di ottenere da General Motors i due miliardi di dollari di penale per il mancato acquisto e ripagare le banche, contro il volere del resto della famiglia che spingeva per la vendita. Ma soprattutto lui e Marchionne hanno progettato la fusione nel 2009 con Chrysler, creando una casa d’auto da 25 miliardi di capitale.
Ora Elkann non solo possiede uno dei più importanti giornali economici del mondo ma anche il primo gruppo editoriale italiano. Siamo sicuri che sia stata una mossa dell’ultimo minuto di un inesperto?
Dopo la morte di Marchionne, in molti hanno dubitato della capacità di Elkann di proseguire la strada del manager italo-canadese. E invece il patron di Exor è diventato il primo membro di Casa Agnelli a guidare la Ferrari ottenendo un 2018 da record con oltre novemila auto vendute e 3,4 miliardi di euro di ricavi. Sempre nel primo trimestre del 2019 le azioni Ferrari sono aumentate del 63,3% rispetto allo stesso periodo nel 2018 e la partecipazione di Exor è arrivata a 2,79 miliardi. «La Ferrari ha vissuto nel 2018 l’anno migliore degli ultimi dieci anni, anche se purtroppo non è stato sufficiente a vincere il campionato. Il fondatore Enzo Ferrari era stato molto chiaro quando disse: “Nessuno ricorda chi arriva secondo, io certamente no”», ha scritto Elkann in una lettera agli azionisti Exor. Vero, la Ferrari non ha vinto il mondiale di Formula 1, ma ci sono stati momenti peggiori.
Non solo la Rossa, il patron di Exor ha dimostrato di aver capito la lezione di Marchionne e dopo il fallimento della trattativa con Renault non ha smesso di cercare il partner internazionale in grado di rendere Fca competitiva a livello globale. Ed è riusciuto a chiudere la fusione con Psa. Un corteggiamento durato mesi che creerà il terzo gruppo automotive al mondo: 8,7 milioni di veicoli e 170 miliardi di euro ricavi. Una svendita a Peugeot secondo gli addetti ai livori. Ma, invece, andando a guardare tra le pieghe dell’accordo la fusione sarà 50 e 50. Perché l’amministratore delegato di Fca-Psa sarà Carlos Tavares, ma il presidente della nuova società paritetica con sede nei Paesi Bassi sarà proprio John Elkann.
La visione internazionale e il coraggio di attaccare il mercato nel momento in cui sembra rinculare, hanno caratterizzato l’atteggiamento di Elkann nell’editoria. Nel 2016 cede le azioni del Corriere della Sera dopo essersi assicurato il controllo del prestigioso The Economist (primo azionista al 43%). Criticato in Italia per aver abbandonato il salotto buono della finanza italiana, in cambio di quella europea, la scelta del presidente di Exor appare più razionale in un mercato sempre più competitivo dove per fare profitto bisogna puntare ai prodotti in inglese, letti da sempre più lettori. Così come è stata giudicata remissiva la scelta di Elkann di diventare socio di minoranza del gruppo Gedi dopo la fusione di Itedi, la società editrice de La Stampa e il Secolo XIX con il gruppo l’Espresso-Repubblica, quattro anni fa.
Eppure sembrava strano che il rampollo di casa Agnelli, nipote per parte di madre del fondatore del gruppo editoriale L’Espresso, Carlo Caracciolo, rinunciasse a una posizione centrale nell’editoria italiana. Non a caso, a poche settimane dall’annuncio della fusione tra Fca e Psa che porterà 1,6 miliardi nelle casse di Exor, appena Elkann ha avuto la liquidità necessaria per nuovi investimenti ha ripreso il controllo dei gioielli di famiglia. E ha comprato per 102,4 milioni di euro la quota del gruppo Gedi detenuta dai fratelli Marco, Rodolfo ed Edoardo De Benedetti. Ora Elkann non solo è il primo azionista di uno dei più importanti giornali economici del mondo ma guiderà anche il primo gruppo editoriale italiano. Siamo sicuri che sia stata una mossa dell’ultimo minuto di un inesperto?