Fa un certo effetto sentire Matteo Salvini passare dalle accuse di golpe e alto tradimento alla proposta di governare insieme, tutti quanti, avversari storici ed ex alleati, in un «comitato di salvezza nazionale» che permetta di riscrivere le regole, a cominciare dalla legge elettorale, per poi tornare al voto. Fa ancora più effetto sentire la spiegazione che ne dà Giancarlo Giorgetti nella sua intervista di ieri alla Stampa, con le stesse precise parole pronunciate da Pier Luigi Bersani nel 2011, nel momento in cui decideva di non chiedere le elezioni anticipate e dava il via libera al governo Monti: «Non si governa sulle macerie». Ma bisogna fare attenzione perché, almeno quest’ultimo, è soprattutto un effetto ottico, dato da una falsa analogia: nel 2011, senza il via libera di Bersani, non si sarebbe fatto nessun governo; nel 2019, senza il via libera di Salvini, e nonostante le sue invettive, il governo si è fatto eccome, e sta ancora lì. Questa è la differenza, non piccola, tra i due casi: che Salvini, al momento, sulle macerie non potrebbe governare nemmeno se volesse.
Dunque è ragionevole accogliere l’offerta – a cui Giorgetti aggiunge pure la clamorosa opzione «Draghi premier» – con grande cautela, ben consapevoli del fatto che alla primissima occasione il leader della Lega non esiterebbe a riconvocare le cubiste del Papeete per fare ciao-ciao al nuovo capo del governo e a tutto il comitato di salvezza nazionale, fossero anche presieduti entrambi dall’autorevolissimo Mario Draghi.
Se non vogliamo che il vincitore delle elezioni possa da solo cambiare la Costituzione e nominarsi tutte le autorità di controllo, la garanzia non può essere data da una legge ordinaria che la maggioranza può ri-cambiare a proprio piacimento
C’è però un modo molto semplice per verificare la solidità dell’offerta salviniana senza consegnarsi in ostaggio alla Lega. Ed è quello di procedere non solo all’approvazione di una legge elettorale proporzionale – come la direzione del Partito democratico ha deciso venerdì, preda di un improvviso attacco di lucidità politica – ma anche a una sua costituzionalizzazione. Sappiamo infatti che il taglio dei parlamentari produce una torsione maggioritaria che deve essere necessariamente compensata, se non vogliamo che il vincitore delle elezioni possa da solo cambiare la Costituzione e nominarsi tutte le autorità di controllo, cioè se non vogliamo uscire dalla democrazia liberale, ed è evidente che la garanzia contro un simile esito non può essere data da una legge ordinaria, che qualunque successiva maggioranza può ri-cambiare a proprio piacimento. Che poi è più o meno quello che è accaduto dal 1994 a oggi, inchiodando l’intero sistema politico a un’incessante guerra di trincea attorno a leggi elettorali e riforme istituzionali piegate di volta in volta alle esigenze della maggioranza di turno, con gli effetti che abbiamo sotto gli occhi (prima ancora che sulla cosiddetta governabilità del sistema, sulla cultura democratica dell’intera nazione).
In questo modo si otterrebbero dunque due vantaggi. Il primo è che si metterebbero in sicurezza la divisione dei poteri e lo Stato di diritto, chiunque vinca le prossime elezioni, senza necessariamente precipitare subito al voto (o quanto meno possiamo dire che le possibilità che una simile iniziativa vada in porto, pur con tutti i rischi e le ragioni di prudenza anzidette, appaiono decisamente superiori a quelle di cui sembra disporre attualmente il governo Conte). Il secondo vantaggio è che si aprirebbe lo spazio per tentare persino un più ambizioso sforzo di ricostruzione delle garanzie minime dello Stato di diritto e dell’autonomia della politica, come avevamo suggerito sabato su queste pagine, giusto ventiquattro ore prima delle clamorose dichiarazioni di Salvini e Giorgetti.
Considerando la facilità con cui il leader della Lega ha cambiato posizione in questi mesi, essere prudenti è dunque più che giusto. Ma restare inerti e non provare nemmeno a cogliere l’occasione, considerando cosa potrebbe accadere all’indomani di un trionfo sovranista in un sistema privo delle minime garanzie a difesa dell’equilibrio e della divisione dei poteri, sarebbe peggio che criminale. Sarebbe suicida.