La moltiplicazione dei pani non c’è stata ma quelle delle Sardine sì, ed è questo il vero miracolo e probabilmente la chiave di questa lunghissima campagna elettorale per le regionali dell’Emilia-Romagna, il giudizio di Dio su questa regione, sul governo di Roma, su Nicola Zingaretti come su Matteo Salvini, mentre si staglia imprevedibilmente la figura di Mattia Santori, 32 anni, bolognese, il ragazzo che può cambiare il corso della politica. Artefice, con i suoi amici-colleghi, della ennesima grande manifestazione di ieri a Bologna messa in piedi soldino su soldino, con i cantanti, i discorsi e tutto quanto fa spettacolo, e non è nemmeno l’ultima kermesse di questo strano movimento che è di sinistra senza urlarlo ai quattro venti, come se un esorcismo o un nascondimento psicologico gli impedisse di dirlo. Ma si è capito che sono Santori e i suoi ragazzi a fare la differenza.
Già, la sfida diretta piazza contro piazza ci sarà giovedì a Bibbiano diventato come il ring del Madison Square Garden dove a fronteggiarsi sarà il cattivo Matteo Salvini e i buoni di Santori nel match decisivo per la corona. E così invece di un normale e dovuto faccia a faccia Bonaccini-Borgonzoni, l’incontro del secolo sarà fra un aspirante premier che in tale veste promette Gerusalemme capitale d’Israele (gran tema “emiliano”…) e un bel giovane bolognese con in tasca qualche idea di buona politica, un finale di campagna elettorale imprevisto, esattamente il contrario di quella umbra immortalata dalla tristanzuola foto di Narni con Conte, Di Maio, Zingaretti, Speranza, tutta gente che stavolta non si è vista o si è vista pochissimo. Certo, c’è la coalizione “bonacciniana”, il centrosinistra emiliano, ma quello nazionale mei fatti non c’è più.
Difficile capire quale sia l’aria che tira, se ci siano novità rispetto a quello che tutti dicono, la Lega primo partito ma Stefano Bonaccini forte, con la sinistra forte nelle città e Salvini nelle periferie e nelle zone interne, nei paesi: una conferma della dicotomia elettorale-sociale che è esplosa fragorosamente alle ultime politiche. C’è chi osserva che un’affluenza alta favorirebbe Borgonzoni ma è tutto scritto sull’acqua. Lei è completamente sparita dalla scena, una diserzione che ha pochi precedenti, a totale beneficio del “Capitano” in piena estasi agonistica, in un’autoesaltazione fanatica, aggressiva, da ultradestra americana o ungherese. Se fallisce la spallata, Salvini dovrà rivedere molte cose, ma molte.
Perché anche le pietre sanno che in gioco non c’è solo la Regione ma la tenuta del governo nazionale. Conte, probabilmente imbeccato da Rocco Casalino, ha già pensato di stabilire un contatto diretto con Santori, proprio perché sa bene che se salva il posto lo dovrà a lui, mentre il segretario del Pd, sempre più lento e guardingo dei suoi colleghi, attende ancora ma spera di pescarlo con la sua rete congressuale, sempre se Bonaccini vince.
I partiti di governo, oltre naturalmente Palazzo Chigi, hanno già costruito una rete di protezione non si sa quanto solida ma tale per loro da garantire la tenuta del governo anche se domenica 26 si perdesse. Nessuna crisi, il voto è locale. Una parola d’ordine che dovrà probabilmente scontrarsi con quelle dei cortei della destra che reclameranno nuove elezioni.
Negli ultimi giorni a sinistra si è diffusa una forte apprensione per il risultato, ed è anche per per questo che il numero uno del Nazareno ha fatto balenare l’ipotesi di una palingenesi del suo partito, cosa che però è stata criticata anche dall’interno perché rivelatrice di uno scontento che non è certo utile esibire a pochi giorni da un voto così importante. E tuttavia Zingaretti è convinto che, superato l’ostacolo emiliano, tutto andrà per lui in discesa verso un Congresso senza avversari interni, un “piano” che se riesce dovrà comunque moltissimo a Stefano Bonaccini e Mattia Santori, la vera star di queste elezioni.