La tentazione di candidare Teresa Bellanova c’era stata prima del ciclone-Emiliano (prima cioè di quelle che Calenda chiama le “primarie militarizzate”) e non è impossibile che esista ancora. Quello che è certo è che il “terzo polo” né emilianesco né di destra è ormai in incubazione, «un’ipotesi plausibile e politicamente significativa», la definisce Benedetto Della Vedova, leader di + Europa: insieme a Italia viva e Azione sono alla ricerca di un nome nuovo, che avrebbe poche chances di vincere ma parecchie possibilità di incarnare un fatto nuovo, in Puglia e domani chissà in altre regioni. Renzi cerca un nome forte. Carlo Calenda, che giudica positivamente il suo incontro con il renziano Ettore Rosato, ci ha detto che immagina una candidatura della società civile, ma nomi nisba. Circola anche quello del sottosegretario Ivan Scalfarotto, supercritico di Emiliano. Il quale ovviamente tira dritto come se niente fosse: e sbaglia, perché intorno a lui il quadro è cambiato. Ma ascoltare la ministra Bellanova su quanto sta avvenendo nella sua regione è interessante.
Bellanova, una sua candidatura in Puglia è da escludere categoricamente o è un’ipotesi difficile ma non impossibile?
Al momento l’impegno qui al Ministero dell’Agricoltura è a tempo più che pieno pienissimo, e il mio obiettivo oggi è dare risposte al sistema agroalimentare che ritengo uno degli asset più straordinari e strategici su cui il sistema-paese deve fare leva. Io però sposterei un attimo la riflessione dai nomi alle cose. Come Italia Viva abbiamo posto una questione eminentemente politica: ha a che fare con quello che vogliamo sia la Puglia nei prossimi anni e con un pensiero sul Mezzogiorno e la sua classe dirigente, attuale e da costruire.
Italia Viva e il Pd parlano due lingue diverse…
Queste questioni le abbiamo poste al Pd in tempo debito, non a ridosso delle primarie e, se devo dirla tutta, io la vado ponendo da prima. Abbiamo detto: siamo disponibili a una discussione programmatica purché il tavolo sia libero da ipoteche di qualsiasi natura e si parta dall’ascolto dei territori. Non c’è stata risposta. Né l’abbiamo avuta quando abbiamo fatto presente che quelle erano primarie non di coalizione, che al momento non vedo, ma del Pd. Quello che è accaduto domenica dimostra che avevamo ragione.
Ma Emiliano ha stravinto le sue primarie. E quindi ora che si fa?
Io credo che ci sia lo spazio concreto per parlare a tutti quei soggetti sociali che in questi anni non hanno avuto nessuna risposta dal governo regionale pugliese in termini di buon governo e a tutti quei territori che si sono sentiti esclusi da logiche spesso opache. Non mi pare una bestemmia in chiesa. Né una sfida impossibile lavorare per mettere in campo una classe dirigente nuova, riformista, giovane, competente e anche generosa. Di certo, sarò impegnata in questa direzione.
Dunque, nessun ripensamento neanche se, per ipotesi, il Pd azzerasse tutto?
Sarebbe un’ipotesi del terzo tipo, e io non credo alle favole. Da due anni Michele Emiliano ostinatamente e pervicacemente si muove per imporre, in tutti i modi, primarie e date. Con il Pd regionale praticamente azzerbinato. È il Pd che deve scegliere cosa vuole fare in Puglia. Se sostenere una candidatura divisiva o resettare il file e lavorare per costruire una coalizione ampia, riconoscibile, autorevole, credibile per l’elettorato. Soprattutto quello che va conquistato al voto e anche alla politica attiva. Noi coltiviamo questa ambizione e questa direzione: un fronte largo, moderato e riformista, per parlare a tutti quei cittadini e soggetti sociali distanti anni luce dal trasformismo peggiore che Michele Emiliano ha incarnato ma che non vogliono sostenere una destra a trazione leghista.
Però la legge elettorale regionale dice di qua o di là.
Ma fra questi due eccessi, che paradossalmente rischiano di essere la faccia della stessa medaglia, c’è lo spazio del riformismo. Vede, se spendersi in Emilia Romagna nella campagna elettorale di Bonaccini è gratificante per il volume immenso delle cose fatte e il pensiero di lungo periodo che le sottende, la stessa cosa in Puglia è molto ma molto difficile, direi impossibile. Non è una questione personale, è un dato politico. Ed è un dato che dovrebbe farci riflettere anche su cosa resta della sinistra in Puglia e non solo. Se per caso tutto questo non sia anche l’esito di una crisi verticale della sinistra, di certe furbizie di corto respiro, degli ammiccamenti tattici, di un trasformismo senza riformismo. Come vede, c’è molta più materia di quanto non lo siano solo i nomi. Quello che proprio in queste ore è accaduto sulla prescrizione, ancora una volta ci fa dire che non stiamo sbagliando.