Keir non è un nome diffuso nel Regno Unito, ma ricorre, una volta al secolo, nella politica. È il nome di Keir Hardie, sindacalista scozzese e fondatore del partito laburista, nonché primo deputato di sinistra mai entrato a Westminster, nel 1906.
Oggi, cento e spicci anni dopo, Keir Starmer è candidato alle primarie per la leadership del Labour del post Jeremy Corbyn. Il suo nome non è un caso. Anzi. I suoi genitori, un operaio e un’infermiera, lo chiamarono apposta come il loro beniamino Hardie. Un po’ come se da noi si chiamasse un figlio Palmiro. Poi, instradatolo sulla via del socialismo fin da subito, lo fecero studiare e di sacrificio in sacrificio, di borsa di studio in borsa di studio (il ragazzo era talentuoso e ne vinceva a raffica) riuscirono a farlo arrivare a Oxford alla facoltà di Legge. Da lì, studia oggi studia domani, Starmer riuscì a diventare uno dei più importanti avvocati per i diritti umani del Regno Unito e del mondo. Titolare di ben sei lauree honoris causa e avvocato di grido, occupatosi soprattutto di pena di morte, Starmer, benché abbia respirato politica e sinistra fin da piccolo, è un volto relativamente nuovo tra le fila del Labour Party. Eletto per la prima volta al parlamento nel centralissimo collegio londinese di Holborn e St. Pancras, nel 2014 (ai tempi della leadership di Ed Milliband), è considerato da molti un centrista, un erede del ‘New Labour’, uno pronto a rinnegare da un giorno con l’altro il corbinismo.
In realtà le cose non stanno per niente così. Anzi. Tutto il contrario. E Starmer si sta dando da fare a ripeterlo da settimane, anche se piuttosto invano. Perché ai suoi oppositori (che per lo più sostengono la pupilla di Corbyn, rebecca Long Bailey) fa gioco dipingerlo con il marchio infamante (almeno in certi ambienti) di “amico di Tony Blair”. Non è vero. Ma a chi importa?
A valergli questa nomea, poveretto lui, non sono tanto le sue posizioni (che, anzi, appaiono molto più radicali di quelle del leader degli anni ‘90) quanto il fatto, puro e semplice, di non essere mai stato sostenitore di Corbyn e della sua corrente “Momentum”.
Al contrario, Starmer è sempre stato avversario di Corbyn: lo ha criticato aspramente sulla questione, mai del tutto chiarita, del presunto antisemitismo («Se sei un antisemita non puoi stare nel Labour, è semplice» ha detto), sia sulla questione Brexit. In particolare, Starmer, che pure è stato Segretario ombra per Brexit, ha guidato la fazione del Labour sostenitrice del Remain ed è riuscito, con non poco sforzo politico, a ottenere da Corbyn una sospiratissima apertura rispetto al People’s Vote, il referendum che avrebbe potuto, potenzialmente, cancellare Brexit. Nonostante abbiano lavorato insieme, Corbyn e Starmer non si sono mai piaciuti. E sarebbe una feroce beffa, per Corbyn, se a succedergli fosse proprio uno che detesta.
Ma la politica, si sa, ha uno sviluppatissimo senso dell’umorismo. E soprattutto corre veloce. Sì, perché, anche se le primarie laburiste non sono ancora entrate nel vivo (succederà a marzo), dalla notte delle elezioni del 12 dicembre sembra passato un secolo. Corbyn è ormai archiviato. Così come la Brexit. E ora, davanti alla sinistra inglese, è tutta prateria.
Il partito Laburista deve ripartire da un risultato elettorale pessimo (il peggiore dal 1935), deve trovare un modo per parlare a un paese lacerato da anni di dibattito quasi esclusivo su Brexit, deve cercare di fare opposizione a un partito conservatore mai così forte e popolare (gli ultimi sondaggi danno il partito del premier Boris Johnson al 43% , cioè +4% in un mese). Compiti non da poco.
Il modo con cui Starmer (dato per favorito nella corsa alla leadership, con il 61%, contro il 39% di Long Bailey) ha intenzione di portarli a termine passa da una ricerca di una nuova unità del partito. E l’unico modo per farlo è quello di riuscire a parlare sia con i corbinisti più accesi, convinti che un nuovo socialismo sia possibile, sia con gli orfani di Tony Blair e del New Labour, che mai hanno digerito le ruvidità politiche di Corbyn, e che sono fuggiti in parte dai Lib-Dem (che hanno raccolto circa il 10% dei voti) e in parte verso i Tory. Starmer, se vorrà vincere qualcosa, oltre alle primarie del suo partito, dovrà riuscire a parlare con entrambi. E già da ora ci sta provando: «Non distruggeremo l’ultimo governo laburista, né distruggeremo gli ultimi quattro anni di Jeremy Corbyn», ha detto provando a bere due amari calici in un colpo solo. E poi, ammiccando alla sinistra del partito, insospettita dal suo essere Sir e dalla vicinanza con Ed Milliband, «È importante non sovrasterzare. L’ipotesi di un governo laburista coraggioso e radicale è importante adesso come lo era prima delle elezioni».
Così, scrive The Spectator, Starmer si trova impegnato a passare da Corbynite (il nome dell’ala più di sinistra del partito) a Corbyn Lite, una sinistra meno intransigente di quella del vecchio leader ma meno liberal di quella di Tony Blair. In pratica, quella proposta da Ed Milliband. Ed è subito 2015.