È morto a Neuilly, a 92 anni, Albert Uderzo. Non servono presentazioni: insieme a René Goscinny creò nel 1959 la serie di fumetti Asterix e Obelix, destinata a diventare un fenomeno globale da 300 milioni di copie in tutto. Il villaggio dei galli ribelli, l’assedio dei romani al villaggio, la pozione come salvezza (elemento che, in tempo di coronavirus, suonano forse familiari) diventano presto un cartone animato, un film con attori in carne e ossa, un riferimento culturale globale.
Un sodalizio fortunato: i Fruttero e Lucentini del fumetto si incontrano alla fine degli anni ’40 negli uffici della World Press, ramo della International Press ma specializzato in contenuti illustrati. Partono con i consigli del galateo del settimanale femminile ma passano presto al fumetto, con tentativi non molto fortunati. Fino a quando, lavorando al progetto, all’epoca innovativo, di un giornale illustrato, Pilote, per bambini e sostenuto da una radio, non lanciano la celebre coppia di galli ribelli.
Alla fine degli anni ’50 un po’ di colore francese era suggerito, anzi richiesto, per compensare la prevalenza dei temi americani (indiani, cowboys, gangster) nel fumetto. Più di così era diffcile immaginare: galli contro romani, francesi contro invasori. Se pure Asterix assume il ruolo principale, grazie al suo carisma, alla serietà e al valore in guerra, Obelix ne rappresenta il controcanto: buffo, pasticcione, generoso. È la spalla, anche se viene inventato prima ed è – come confessa lo stesso Uderzo – il suo preferito. Forse perché, come scrive Le Monde, in fondo gli assomiglia: nei modi, nella corporatura. Certo, non nell’abitudine di lanciare menhir.
Uderzo, nato a Fismes, in Francia el 1927, era figlio di immigrati italiani (e anche Goscinny, di un polacco e un’ucraina). Da subito mostra interesse e capacità nel disegno, anche se ancora durante l’infanzia scopre di essere daltonico. Si appassiona alle storie di Walt Disney, pubblicate su Le Petit Parisien, ma spazia anche agli altri fumetti del periodo Robinson, Hop-là !, L’Aventure, L’As Junior, Hourra, fino a quando non incontra Braccio di Ferro (Popeye).
Comincia a lavorare a 14 anni, presentato dal fratello alla Société parisienne d’édition, dove viene messo a curare il lettering e, ogni tanto, a riempire qualche illustrazione. Prova anche nel mondo dei cartoni animati, ma non dura tanto. Torna al fumetto, in un’epoca in cui Parigi esplodeva di piccole case editrici e agenzie specializzate nell’illustrazione, satirica e umoristica. Bussa a tutte le porte, inventa personaggi di ogni genere (Clopinard, il reduce napoleonico senza una gamba sopravvissuto mangiando polvere da sparo, o Zartan, alter ego di Tarzan, o ancora Zidore l’uomo macaco). Fino a quando non entra nel giornalismo: il suo compito è rappresentare tutto ciò che ancora non poteva essere disegnato. È lì, che incontra Goscinny e cambia la sua vita.
Ad amareggiarlo, anche verso la fine dei suoi anni, è la mancanza di riconoscimento. Soffriva, già in gioventù, a essere classificato tra i disegnatori della scuola belga. «Il mio stile è più americano», rispondeva ogni volta. E gli dispiaceva che, se Tintin riceveva elogi e celebrazioni, Asterix e Obelix restavano sempre sullo sfondo. Con 375 milioni di copie vendute, si chiedeva ancora nel 2017: «Perché si parli di me bisogna che muioa?» Si domandava con asprezza, prima di una importante operazione chirurgica. Forse non si sbagliava. Ma di Asterix e Obelix si parla, eccome. E si continuerà a parlarne.