C’è solo da essere grati a Dua Lipa. Prima di tutto perché di fronte alla pandemia, che ha messo in ginocchio l’industria musicale dei tour, anche l’artista inglese (di origini kosovare) dalla carriera fulminante avrebbe potuto fermare tutto, rimandando il nuovo album a tempi migliori. Lady Gaga, per fare un esempio, ha fatto così. E nel loro piccolo anche le Haim. Lei no. Al contrario, complice un leak di un anonimo che una settimana fa ha pubblicato in anticipo le tracce del suo nuovo album, va nella direzione opposta e anticipa al 27 marzo l’uscita di “Future Nostalgia”, prevista per il 3 aprile.
Il momento è cupo e serviva musica «che distogliesse dai pensieri», come ha dichiarato. «Volevo solo rendere un po’ più facile alzarsi al mattino e non pensare alle cose negative che accadono nel mondo». Ed è proprio così: Dua Lipa ha regalato al mondo un’occasione di tregua. Dance, se possibile, con tanto pop che alleggerisce l’anima. “Future Nostalgia”, con i suoi singoli sbarazzini, fa ballare. Toglie di mezzo «i pensieri», e si candida a diventare la colonna sonora per queste pigre giornate senza tempo, dove forse manca il futuro, ma abbonda la nostalgia.
Senza saperlo, le hit ci giocano. Volano tra passato e presente, mescolando sonorità disco degli anni ’70 a sfondi anni ’90 (sì, si tratta di “Love Again”), punteggiando una storia d’amore che si sviluppa in un album fiammeggiante: c’è l’amore, la fiducia ritrovata di sé (“Don’t Start Now”) e tanto erotismo, che declina in una sorta di manifesto, come la già celebre “Physical”, cantata anche a Sanremo, e senza dubbio “Good in Bed”, canzone che – lo hanno notato tutti – ricorda la prima Lily Allen. Tutto questo, si tiene a puntualizzare, dopo mille delusioni. È lo stile di Dua Lipa, la famosa «recipe» per una «timeless song» citata nel brano eponimo. Situazioni comuni, ma interpretate come esperienze personali (non teme di sfoggiare le sue debolezze, ha detto) vengono trasformate in ritmi pop di fiera rivalsa, sostenuti da una linea di basso solidissima, con attimi di rapimento e di entusiasmo (da godere tutta “I Feel Love” e i chorus di “Hallucinate”, per capire di cosa si parla).
In mezzo, per chi lo ama, c’è il gioco delle citazioni: come il riferimento all’architetto americano John Lautner, i richiami a Gloria Gaynor, il sample di INXS a sostenere “Break My Heart”, il già famoso remix di Olivia Newton-John, i violini di “Your Woman” dei White Town che scandisce “Love Again”. E ancora: Kesha nello stile cantato-parlato, Kylie Minogue (e anche una Madonna anni ’90).
Ma il risultato è tutto Dua Lipa: una ventata di allegria intelligente, capace di suscitare qualche invidia – quando dice «Baby I could see us in the real life you know» per chi è costretto a estenuanti sessioni su Skype – ma anche un certo ottimismo, se è vero che «I never thought that I would find a way out», sottintende che la via d’uscita alla fine si è trovata. E si troverà.
Da notare anche il brano finale: una presa di posizione (femminista?) sulle situazioni difficili che vivono le donne ogni giorno. Un canto di genere che accusa media e politica. Gli sguardi, i giudizi, il pericolo di tutte le sere che si torna a casa, si intrecciano alla colpevole accettazione di questi atteggiamenti nella società di oggi. «Boys will be boys», dice. Ma «girls will be woman». Una cantata di empowerment collettivo, che vuole superare il lato personale di chi affronta delusioni e difficoltà.
Scegliere di chiudere così è significativo: avrebbe potuto farlo con “Good in Bed”, lasciando gli ascoltatori con una canzone spensierata come una scampagnata di primavera. Ma ha preferito l’impegno e un inno pop barocco – richiama i Queen, ma riscritti da Sia – che rimane nelle orecchie e fa partire la giornata. Dopo che ci si è rinfrescata l’anima.