Può la tecnologia intercettare i virus in tempo, prima che diventino catastrofici come il Covid_19? Non intendo la tecnologia applicata alle terapie, che agisce una volta che il virus sia stato scoperto, analizzato e, nei casi fortunati, curato; ma prima, non appena compare e si manifesta. Sappiamo che arrivare a tempo debito fa tutta la differenza. Il problema è che non sappiamo dove e come spunterà, non sappiamo neppure quali caratteristiche avrà, e quali sintomi lo renderanno palese: è come cercare nel buio qualcosa che non sappiamo: per niente facile. La notizia però è che oggi, con l’intelligenza artificiale, è possibile farlo o quanto meno è possibile provarci con buone probabilità di riuscirci. Non è possibile stabilire ex-ante dove e come il virus apparirà, ma si può organizzare per bene la ricerca “nel buio”. È possibile farlo. Hanno cominciato a sperimentarlo da meno di un anno in Australia e Canada, grazie a un’azienda italiana, Expert System, leader nell’analisi semantica.
Come funziona? Il punto inziale è quello di cogliere in tempo i weak signal, cioè i segnali significativi ma deboli, cioè i dati e le combinazioni di dati, che ci indicano che qualcosa di anomalo sta succedendo in una città o in una regione in un dato momento. Siamo nel campo della scienza delle reti, dove ogni individuo (o segnale) non è considerato come un’entità isolata, ma inserito all’interno di un contesto di relazioni e i virus procedono proprio da punto-a-punto, poi da punto-a-snodo, esattamente come i virus informatici che conosciamo: per definizione hanno bisogno della rete, che nel caso umano sono i rapporti sociali. Il nome e il modello sono gli stessi.
Quali sono questi segnali e come si ricavano? Le fonti d’informazione sono molteplici, e questo è il punto di forza della tecnologia: arrivano dalle prestazioni dei pronto-soccorso degli ospedali; dalle cartelle cliniche dei ricoverati; dalle chiamate al numero di emergenza; e addirittura dalle parole più cercate sui motori di ricerca e più usate sui social media nelle normali conversazioni.
Cosa succede, di fatto, quando compare un virus? All’improvviso qualcuno accusa sintomi (o una combinazione di sintomi) particolari, allora, se sono di una certa gravità, va al pronto soccorso; o va dal medico di riferimento; spesso twitta o fa un post sul suo stato di salute per capire quale sia la patologia più probabile; o ancora digita il nome di alcuni famaci per capire se sono adatti al suo caso. La piattaforma è organizzata per ricevere (indicizzare e analizzare) tutte queste informazioni e se trova, all’improvviso, che in una data area accade che alcuni sintomi di una certa intensità si stiano sviluppando in maniera più intensa del solito o insolita, scatta un alarm. Queste informazioni sono analizzate insieme alle visite mediche, ai ricoveri e alle cartelle cliniche che vi si riferiscono; così che, nel caso, si genera automaticamente un cluster (cioè una combinazione inedita di sintomi/analisi cliniche/correlazioni temporali e territoriali) che rappresenta appunto un weak signal. Accade così che sintomi presi uno per uno non significano nulla, ma diventano cruciali nell’unità di tempo e di luogo, perché sotto-traccia disegnano un modello inedito di patologia.
Può sembrare una digressione che l’unità di tempo e di spazio siano anche la definizione di teatro, ma per la diffusione del virus non siamo lontani: è un attore che arriva, si confonde e si relaziona con gli altri: bisogna scoprire chi c’è dietro la maschera ogni volta che un nuovo attore (cioè una nuova combinazione di sintomi) entra in scena.
A questo punto sulla piattaforma sono presenti, e aggiornati a ogni minuto, migliaia di record provenienti da tante fonti, e su questi dati l’intelligenza artificiale lavora proprio per distinguere ciò che è segnale da quel che è puro “rumore”, cioè insiemi di informazioni che non dicono nulla di nuovo (o di non preoccupante). Una volta estratto il segnale e scoperta l’anomalia, tocca ai medici e agli scienziati scavare intorno a quel segnale per capire l’effettiva pericolosità di quanto trovato, con approfondimenti, ricerche e il coinvolgimento dei medici che, ad esempio, sul campo hanno trattato proprio quei potenziali “pazienti zero” identificati dalla piattaforma.
La logica funziona anche a rovescio, perché, una volta conosciuto il virus, si può andare a vedere dove quei sintomi (e comportamenti) correlati si sono registrati, definire il modello di comportamento del virus e intervenire in chiave preventiva. Tutto questo può avvenire in tempo reale e senza che vi sia – teoricamente – un gap tra il sintomo e l’intervento. Questo può essere realizzato anche per l’epidemia in corso, per ricostruire il suo andamento, le patologie con cui più pericolosamente entra in contatto, e le eventuali diversità di sviluppo tra un’area e all’altra.
Ad esempio, c’è una spiegazione comune nella circostanza che il virus Covid_19 abbia avuto uno sviluppo lineare a Singapore, Hong Kong e Giappone ed esponenziale in Cina e in Europa, e del caso della Corea che ha iniziato esponenzialmente e poi è diventata lineare?
Consideriamo che un virus è sempre correlato al comportamento delle persone, perciò stabilire modelli che favoriscono o impediscono la sua diffusione è il punto centrale dell’epidemiologia. L‘intelligenza artificiale permette proprio di generare questi modelli ex-post, cioè sulla base delle risultanze che arrivano dalla raccolta e dall’elaborazione dei dati. Così si può scoprire, ad esempio, che un farmaco usato in una certa terapia, in un dato ospedale e in certe condizioni funziona e che non funziona in altre condizioni.
Siamo perciò davanti a una tecnologia, per di più italiana, che correla due grandi dimensioni: una di fisica sociale, relativa cioè a come le persone si comportano, e in questo caso a come si comportano di fronte ai sintomi di malessere, e l’altra di natura sanitaria e farmacologica. Da un lato capisco come scoprire qualcosa che al momento neppure so cos’è, e imparo a colpirlo non appena appare, e dall’altro cerco di capire come funzionano le varie terapie di fronte al nemico che, essendo inedito, non ha già pronta una terapia standard, insomma un vaccino.
Dobbiamo approntarci a utilizzare questo tipo di tecnologie, considerando due fattori: i virus sono un numero senza fine, di molti non sappiamo nulla, e possono formarsi senza nessuna previsione; il mondo è diventato più piccolo e più affollato, sia perché la mobilità è diventata facile e coinvolge un numero crescente di persone, sia perché le città enormi sono sempre più enormi, e perciò alcuni virus possono incendiare il mondo in un attimo.
Non ci sono però solo i virus prodotti dal caso, senza intenzionalità, ma c’è anche il rischio biologico in senso generale, perché la biologia è anche un’arma che può essere usata contro un paese o contro intere popolazioni. Per Andrea Melegari, vice Presidente di Expert System e grande esperto della materia, «La minaccia biologica è il nemico più invisibile e nascosto che conosciamo. Persino il rischio nucleare può essere più facilmente individuato e monitorato. È un problema di sanità, ma anche di difesa nazionale». L’epidemiologia è la scienza dove l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è più fruttuoso, perché la sua logica è la stessa che sovrintende alla logica delle reti, proprio per la sua capacità di simulare (e prevedere) i comportamenti umani e quelli dei virus. La sorveglianza di massa dei virus, a dispetto di quella personale, sembra una buona prospettiva.