Martedì pomeriggio il Regno Unito ha confermato di voler cambiare radicalmente la propria politica di contenimento del coronavirus, e ha annunciato misure più drastiche per evitare che il contagio dilaghi: le scuole saranno chiuse in tutto il paese a partire da venerdì. La frequentazione di pub, cinema e teatri era già stata fortemente sconsigliata lunedì pomeriggio, quando Boris Johnson aveva fatto capire che il suo governo era pronto ad assumere un nuovo piano per contenere il coronavirus. Saranno possibili – anche se non sono state ancora annunciate ufficialmente – ulteriori misure. Il governo ha anche comunicato che la capacità di effettuare tamponi per diagnosticare la malattia aumenterà (fino a 25.000 al giorno), in modo da avere un quadro più completo dei contagiati e dei loro contatti sociali.
Giovedì scorso il primo ministro britannico aveva comunicato alla Nazione una situazione completamente diversa: poche misure restrittive, nessuna chiusura delle scuole, semplice quarantena per gli anziani. L’obiettivo, detto più o meno esplicitamente, era cercare di non fermare il paese e puntare sull’immunità di gregge. Sir Patrick Vallance, consigliere scientifico del governo aveva spiegato nel dettaglio le intenzioni di Downing Street: non è «desiderabile» che la popolazione non contragga il virus, anzi. È necessario che il virus circoli per sviluppare anticorpi, l’importante è che non lo faccia troppo velocemente.
L’approccio era rivendicato sia nelle conversazioni pubbliche che in quelle ufficiose, come dimostra quanto riportato dal giornalista di Itv Robert Peston. L’8 marzo ha trascritto su Twitter una sua breve conversazione con un alto funzionario del governo britannico, che giudicava in modo molto duro le scelte del governo italiano: «Gli italiani hanno preso molte misure populiste inutili e non basate sulla scienza. Non sono l’esempio da seguire».
https://twitter.com/Peston/status/1236739529303830530?ref_src=twsrc%5Etfw
A far cambiare idea a Boris Johnson e al suo governo è stato lo studio di un team di 30 scienziati dell’Imperial college di Londra. I ricercatori, guidati dal professor Neil Ferguson, sono giunti alla conclusione che con la strategia messa in atto da Johnson, cioè senza o quasi misure drastiche di contenimento, circa l’80 per cento della popolazione britannica verrebbe infettata, gli ospedali collasserebbero e le vittime sarebbero oltre 500.000.
Il governo britannico è stato quindi costretto ad ammettere di avere sottovalutato la malattia, che adesso ha raggiunto 2.626 contagiati e causato 103 morti. Per adesso non sono previste misure vincolanti: i cittadini sono stati semplicemente invitati non tenere determinati comportamenti, ma i locali restano aperti e non sono per adesso previste sanzioni per chi non rispetta la distanza prevista nei luoghi pubblici, che è di circa un metro. Nella conferenza stampa di mercoledì, Johnson ha escluso misure più stringenti nelle grandi città come Londra, che è densamente popolata e potrebbe vedere un aumento esponenziale di casi nei prossimi giorni.
Molti scienziati britannici hanno duramente criticato il governo conservatore per il modo in cui ha gestito l’inizio di una crisi che durerà per molti mesi. Richard Horton, direttore della rivista scientifica Lancet, ha scritto sul Guardian che l’atteggiamento del governo è incomprensibile, così come la sua scelta di cambiare strategia soltanto dopo aver letto il report dell’Imperial college: «La scienza dice le stesse cose da gennaio. Nulla è cambiato. Quello che è cambiato sono le idee dei consiglieri del governo, che hanno infine capito cosa stesse succedendo in Cina. Non erano necessarie le previsioni pubblicate questa settimana dagli scienziati dell’Imperial college per stimare l’impatto dell’approccio compiacente del governo. Qualunque studente saprebbe fare un calcolo simile».