Dallo scorso 7 marzo la giustizia italiana è quasi ferma. Il coronavirus ha bloccato il lavoro dei giudici, degli avvocati, dei cancellieri e delle forze dell’ordine con l’eccezione dei processi indifferibili come disposto dal decreto Cura Italia. Se è escluso che i tribunali riprendano la loro attività ordinaria nel breve termine, ciò non vuol dire che la paralisi del sistema è inevitabile, e le prime iniziative in tal senso cominciano a vedersi. In particolare, il settore giustizia sta prendendo spunto ed estendendo una disposizione prevista dal decreto Cura Italia, che consente la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare «mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto».
«Per l’attività giudiziaria il processo da remoto sarà implementato sicuramente», dice l’avvocato Gigi Pansini, segretario nazionale Associazione Nazionale Forense (ANF). «Oggi tutti i provvedimenti sono improntati all’emergenza, quindi il principale fattore da valutare sarà l’elemento relativo alla complessione dei diritti. Nel giudizio penale sopratutto, si tratterà di trovare un esatto bilanciamento tra presenze telematiche e la tutela dei diritti».
Attuare le pratiche flessibili del protocollo, come la videoconferenza o la call conference, emanate dal Consiglio superiore della magistratura – che Linkiesta ha potuto leggere -, trova infatti notevoli criticità con la natura stessa delle professioni forensi. «Si pone il problema della presenza dei soggetti terzi per il processo penale, così come dei testimoni per il processo civile. Tutta l’idea di processo dovrà essere ricalibrata, in quanto noi oggi conosciamo una trattazione pressoché orale, mentre da remoto questa viene attenuata a favore anche di alcuni passaggi scritti».
I modi in cui il foro intende sopperire a questo e al periodo successivo all’emergenza sono sia virtuali sia cartacei. Nel civile la notificazione del provvedimento sarà digitale, gli avvocati potranno accedere ai fascicoli informatici mediante una «richiesta di visibilità», dove si potrà acquisire l’indirizzo telematico dell’aula virtuale e il link con il quale fissare l’udienza. Potranno essere ammesse dal giudice deduzioni delle parti tramite l’uso della chat o di un altro strumento di condivisione dei testi, mentre lo svolgimento dell’udienza sarà video, con un’alternanza audio tra i vari attori e con la sospensione per l’ingresso virtuale in camera di consiglio del giudice prima della lettura della sentenza.
Le linee guida del Consiglio superiore della magistratura prevedono anche delle procedure scritte. Il giudice in questo caso dispone che l’udienza venga svolta con provvedimento telematico, assegnando congruo termine, eventualmente differenziato per ciascuna parte, per il deposito telematico delle note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. A ciò segue, dopo avere stabilito la data dell’udienza, la deposizione da parte dei difensori delle note di “trattazione scritta” e lo svolgimento degli atti. Fino alla sentenza, puramente in forma cartacea e nei formati ammessi dalla normativa.
«Prima dell’emergenza, va ricordato, era in atto il dibattito sulla riforma del processo e della prescrizione, sia per il civile sia per il penale. L’implementazione del processo tecnologico e quello della digitalizzazione degli uffici, tuttavia, metteranno in secondo piano quelle riforme che nascono teoricamente per accelerare tutti i procedimenti di giustizia», continua Pansini. Tra le righe del protocollo del Csm, infatti, si legge come allo stato attuale «risulta che il personale amministrativo non ha accesso da remoto ai registri della cognizione civile e penale e, pertanto, può gestire soltanto dall’ufficio gli adempimenti conseguenti alla celebrazione delle udienze che comunque vengono svolte in quanto indifferībili (ossia quelle indicate dal comma 3 cit.) nonché all’accettazione dei provvedimenti depositati dai magistrati in via telematica».
Una migrazione tecnologica che avrà quindi bisogno di tempo, in forza anche delle peculiarità assegnate ai penalisti. L’assenza di una compiuta digitalizzazione del processo, il necessario contraddittorio orale per la formazione della prova e la mancanza di un sistema di firma digitale con connesso deposito telematico obbligano alla partecipazione da remoto anche le persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, in tutti i casi in cui ciò sia possibile. Collegamenti da remoto che utilizzeranno i programmi Skype for Business e Teams, legati ad aree di data center riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia.
Le misure emergenziali adottate per il processo penale hanno tuttavia riscosso aspre critiche da parte dei diretti interessati. L’Unione delle Camere Penali Italiane, l’organizzazione che rappresenta gli avvocati penalisti, in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha sottolineato «l’assurdità semplicemente inspiegabile» di tali misure, in quanto «destinate a stravolgere il processo ed a violarne le regole basilari più sacre e secolari».
Quanto al digital divide, invece, per tutti coloro che non possono o non sono in grado di fruire di una connessione o di dispositivi telematici la soluzione rimane quella più classica. «Recentemente non ho potuto ricevere una signora anziana in quanto, oltre al lockdown, non sapeva utilizzare il computer. Ci sono materie e settori per le quali il rapporto e il contatto “fisico” tra professionista e cliente rimarrà sempre necessario (ad esempio per i diritti personali, famiglia, minori). Inoltre, dovrà essere garantito il diritto alla difesa anche alla persona che non può o non è in grado di utilizzare strumenti telematici attraverso la relazione e l’intuitus personae. Siamo convinti che il rapporto personale crediamo non verrà mai meno» conclude l’avvocato.